«Ora et labora», ma anche medita e dialoga - Confronti
Home Religioni «Ora et labora», ma anche medita e dialoga

«Ora et labora», ma anche medita e dialoga

by redazione

Intervista al monaco benedettino Laurence Freeman, che guida la Comunità mondiale per la meditazione cristiana. Nata nel 1975 da un gruppo di laici radunati in un’abbazia di Londra da John Main, la Comunità coniuga la vita benedettina con la pratica della meditazione, con grande attenzione al dialogo interreligioso e di pace.

Per maggiori informazioni sulla Comunità mondiale per la meditazione cristiana: http://www.wccm.org/  – http://www.meditazionecristiana.org/

intervista a Laurence Freeman

Laurence Freeman è un monaco benedettino inglese di origine irlandese che ha fondato e guida dal 1991 la Comunità mondiale per la meditazione cristiana. Prima di entrare in monastero ed essere ordinato prete ha studiato letteratura a Oxford, ha lavorato in banca, alle Nazioni Unite e anche come giornalista (tuttora tiene una rubrica sul Tablet, settimanale cattolico che si stampa a Londra). La Comunità nasce nel 1975 da un gruppo di laici radunati in un’abbazia di Londra dal benedettino John Main (1926-1982), che ha proposto loro di sperimentare la vita benedettina e la meditazione. Dopo anni di studio Main ha scoperto, infatti, straordinarie analogie fra le pratiche meditative tramandate da uno dei Padri del Deserto (Giovanni Cassiano, cui san Benedetto si è ispirato nella sua regola) e quelle che Main, ai tempi in cui lavorava in Malesia per il Foreign Office, aveva appreso dal monaco indiano Satyananda.

Su questa solida base benedettina, che lega la preghiera silenziosa del cuore alla dimensione comunitaria costitutiva della vita cristiana, Main intende rilanciare in tutta la Chiesa la pratica della meditazione (che anni prima ha interrotto quando i superiori hanno giudicato il mantra del monaco indiano «non in linea con la devozione cristiana»). Così, con Freeman, istituisce a Londra il primo Centro per la meditazione cristiana e nel 1977 lo porta con sé in Canada a fondare, su richiesta del vescovo di Montreal, un’altra comunità di monaci e laici. In questi stessi anni Freeman studia teologia, prende i voti e nel 1980 viene ordinato prete.

La malattia e la precoce morte di Main consegnano a Freeman, che ha solo 31 anni, le redini del grandioso progetto del suo maestro e confratello, del quale pubblicherà anche tutti gli scritti (è appena uscito, per la serie «Il Pellicano Rosso» di Morcelliana, un libro di Main con introduzione di Freeman: Abbracciare il mondo. Scritti fondamentali). Oggi la Comunità mondiale per la meditazione cristiana, strutturalmente aperta a tutti i battezzati, è presente in più di cento paesi (Italia inclusa) e coniuga alla pratica della meditazione iniziative di dialogo interreligioso e di pace, dal programma «Way of Peace» (serie di dialoghi cristiano-buddhisti con il Dalai Lama tenuti nel triennio 1998-2000 in India, Italia e Irlanda del Nord e ripresi a gennaio di quest’anno) all’incontro islamo-cristiano tenuto all’università di York nel 2006.

Meditazione cristiana e contemplazione sono sinonimi oppure c’è una differenza, e quale?

Nella tradizione i termini «contemplazione» e «meditazione» hanno una storia ricca e a volte contraddittoria. Partirei da Tommaso d’Aquino, che definisce la contemplazione come il «semplice godimento della verità». Nella nostra teologia la contemplazione è sempre una grazia, un dono, non il risultato di uno sforzo umano o di una tecnica. Tuttavia, come dice Teresa d’Avila, dobbiamo disporci a ricevere questo dono di «pura preghiera». La meditazione può allora essere descritta come il modo in cui ci prepariamo a ricevere il dono della contemplazione che ci unisce alla preghiera di Gesù, e ci porta così all’unità con il Padre nello Spirito.

Il motto del suo ordine religioso è «ora et labora», prega e lavora. Nella ragione sociale della Comunità mondiale per la meditazione cristiana il lavoro, invece, non compare. C’è qualche contraddizione?

Anche la meditazione è lavoro! San Benedetto parla di preghiera della comunità come «lavoro di Dio» e la tradizione mistica intende la preghiera del cuore come un lavoro ascetico. Questo lavoro della preghiera richiede tempi propri e una disciplina, naturalmente, ma entra poi in tutte le altre forme di lavoro. Nel lavoro l’energia si trasforma – da ultimo nell’energia dell’amore, che è la vita di Dio. Così arriviamo a capire il significato di «preghiera continua» che il monaco – e ogni cristiano – cerca di realizzare in qualsiasi tipo di attività nella quale è impegnato.

Sulle orme di Thomas Merton, Bede Griffith e John Main, la vostra Comunità combina spiritualità monastica ed ecumenismo; come funziona, in pratica, questa combinazione? La comunità è aperta a tutti i cristiani nello stesso senso, per esempio, di Taizé, o invece è un’istituzione strettamente cattolica?

Siamo una comunità cristiana ecumenica. L’idea di «ecumenismo spirituale», così come è stata promossa in anni recenti, è al cuore dell’ecumenismo contemporaneo. Lo scorso anno Rowan Williams, arcivescovo di Canterbury, ne ha parlato in questi termini al Sinodo Vaticano sulla Nuova evangelizzazione. In quell’importante intervento ha menzionato la Comunità mondiale per la meditazione cristiana insieme a Taizé e a Bose come esempi di questo nuovo approccio all’ecumenismo. Si basa sulla scoperta che la contemplazione non è un elemento marginale, ma si trova invece al cuore stesso di ogni vita cristiana. Il dialogo interreligioso, che è anche parte del moderno approccio all’evangelizzazione, è molto arricchito da questa visione di una cristianità contemplativa che si lascia coinvolgere nei bisogni del mondo e dà eco al grido del povero nei frutti della propria preghiera.

Lei hai incontrato il Dalai Lama più di una volta: come si è sviluppata questa relazione negli anni? E in che modo questa esperienza si riversa nella Comunità mondiale per la meditazione cristiana?

Ho incontrato per la prima volta il Dalai Lama da giovane, nel 1980, grazie alla sua amicizia con dom John Main, fondatore della nostra Comunità. Dopo la sua morte, il Dalai Lama condusse la storica edizione 1994 del Seminario John Main intitolata «Il cuore buono», poi pubblicata in molte lingue (The Good Heart: A Buddhist Perspective on the Teachings of Jesus, ndr). La condivisione di questo seminario e le risposte del Dalai Lama ai passi evangelici che gli ho proposto, e che erano alla base del nostro dialogo pubblico, ci hanno portato a stretto contatto personale. Era un grosso rischio per tutti e due! Negli anni abbiamo poi guidato insieme gli eventi «Way of Peace» per mostrare che dalla profonda contemplazione è nata un’amicizia fra figli di due diverse tradizioni che può servire a guarire le ferite e le divisioni di un mondo che soffre. Credo che una simile amicizia sia la base di ogni dialogo fruttuoso, e sono stato molto arricchito nella mia vita di monaco cristiano da questa particolare amicizia.

Le dimissioni di Benedetto XVI e l’elezione di Francesco sono segnali di rinnovamento nella Chiesa cattolica. In che modo la vostra Comunità contribuisce al rinnovamento della Chiesa?

La vita contemplativa ha sempre salvato la Chiesa dalla propria tendenza a diventare troppo istituzionalizzata e auto-centrata. Papa Francesco ci esorta ad evitare tre tentazioni: 1) trasformare il vangelo in una ideologia, 2) governare la Chiesa come una grande azienda, 3) il clericalismo.

Io spero che la nostra comunità, riproponendo la tradizione cristiana della meditazione in ogni ambito della vita ecclesiale – e ad ogni stadio del viaggio individuale della fede – stia dando un contributo utile ad evitare questi pericoli; e anche ad approfittare del nuovo spirito di speranza e gioiosa energia liberato nella Chiesa universale dallo Spirito attraverso papa Francesco.

Il paradosso è che più profondamente ci inoltriamo nel mistero di Cristo che è dentro di noi, più lo incontriamo in tutte le attività esteriori della nostra vita. La dicotomia fra contemplazione e azione è in effetti un artificio intellettuale, visto che il Regno di Dio è sia dentro di noi sia in mezzo a noi – una «ambiguità» che si trova nelle parole del Vangelo per mostrarci che in Cristo siamo tutti una sola cosa. Questo è un tempo imprevedibile ed entusiasmante per tutta la cristianità, un ritorno alle basi del vangelo, incarnate nella persona di Gesú, uomo d’azione la cui attività era determinata dalla sua preghiera e fluiva dalla sua comunione con Dio.

intervista a cura di Gian Mario Gillio

(pubblicato su Confronti di ottobre 2013)

Articoli correlati

Scrivici
Send via WhatsApp