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Ucraina: la questione religiosa

by redazione

(questo commento esce anche su Adista n. 10/2014)

Insieme ai loro decisivi risvolti geopolitici – che qui diamo per conosciuti – le drammatiche giornate di Kiev, bagnate dal sangue a piazza Majdan, e il contrasto russo-ucraino per la Crimea, hanno innescato anche una questione religiosa che è forse utile focalizzare, in se stessa e per le sue inestricabili connessioni con la situazione storica e sociale, ieri e oggi, dell’Ucraina.

di Luigi Sandri

 

Ucraina: come eravamo

Storicamente, il Paese da mille anni è sempre stato ortodosso. Nel 988 missionari bizantini battezzarono il principe Vladimir di Kiev, guida della Rus’ (l’Ucraina meridionale), e di conseguenza il popolo dovette farsi cristiano. Nel 1054 Roma e Costantinopoli si scomunicarono reciprocamente; una frattura, però, quasi ignorata nella Rus’. Quando i Tartari, alla metà del secolo XIII, devastarono Kiev, il metropolita della città riparò in Russia, infine fissando la sua sede a Mosca, pur mantenendo il suo titolo ecclesiastico originario. Con la nascita del patriarcato di Mosca (1589) la Chiesa ortodossa russa si riorganizzò e a poco a poco arriverà a controllare ecclesialmente parte dell’Ucraina.

Ma nel 1595-96 gran parte dei vescovi ucraini riconobbero il papato: nacquero così i greco-cattolici, definiti “uniati” dagli ortodossi che li detestano. I primi ritennero di esplicitare un’unione mai in realtà spezzata con Roma; i secondi accusarono i re polacco-lituani ed i pontefici di aver organizzato il “tradimento” per distruggere dall’interno l’Ortodossia. Complicate vicende politiche porteranno poi l’Ucraina ad essere spartita: in particolare, la Galizia finirà sotto l’impero austro-ungarico; e Leopoli sarà asburgica dal 1772 al 1918, poi polacca e, dal 1939, sovietica.

Ai tempi dell’URSS, e nei limiti di azione permessi dal regime comunista, il patriarcato di Mosca ad un certo punto creò in Ucraina un esarcato, guidato dal metropolita di Kiev, membro permanente del Santo Sinodo russo. Tra la prima e la seconda Guerra mondiale vi fu un tentativo di creare in Ucraina una Chiesa autocefala, ma rimase minoritaria e svanì.

Quando, nel 1941, Hitler attaccò l’URSS, gruppi di “uniati” (forse alcuni pochi, ma il Cremlino li ritenne molti) salutarono i nazisti come liberatori dal giogo dei sovietici atei. Nel 1946, a Leopoli, un Sinodo – praticamente imposto da Stalin, ma disapprovato dalle legittime autorità canoniche – annullò l’unione a Roma che i greco-cattolici avevano deciso nel XVI secolo; perciò essi divennero fuorilegge, e i loro beni, chiese ed edifici, passati allo Stato o alla Chiesa ortodossa. L’arcivescovo maggiore di Leopoli degli Ucraini, Iosif Slipyj, già nel ’45 era stato arrestato e mandato ai lavori forzati in Siberia: lo farà liberare, nel 1963, Nikita Khruscëv, per un gesto di deferenza verso Giovanni XXIII.

Ucraina: come siamo

Nel clima della “perestrojka” avviata da Mikhail Gorbaciov, e nel contesto di un’URSS che vedeva i Paesi baltici proclamarsi indipendenti, anche in Ucraina, nel 1990, si avviano analoghi movimenti, spesso guidati da “uniati”. Nel ’91 l’Ucraina proclama la sua indipendenza; nel dicembre di quell’anno l’Urss implode. Nel 1992 l’esarcato dipendente dal patriarcato russo si sfalda, e gli ortodossi si dividono in tre tronconi: Chiesa ortodossa ucraina, legata a Mosca; Chiesa autocefala ucraina; patriarcato di Kiev. Queste ultime due creazioni non sono riconosciute da nessuna Chiesa ortodossa al mondo. Il Santo Sinodo russo, da parte sua, degrada al rango di semplice monaco il metropolita Filaret, l’autoproclamatosi patriarca di Kiev; ma lui tira dritto.

Nel frattempo, gli “uniati”, pienamente rilegittimati, chiedono la restituzione dei beni loro sottratti nel 1946: nascono molti contenziosi, perché le tre Chiese ortodosse, là ove sono in possesso di beni già “uniati”, non intendono, spesso, restituirli.

Il patriarca di Mosca, Aleksij II, accusa Giovanni Paolo II di sostenere la causa degli “uniati” a spese della Chiesa ortodossa russa. Quando papa Wojtyla, nel 2001, programma un viaggio in Ucraina, il Santo Sinodo russo si oppone, per quanto può, a quell’iniziativa; ma il pontefice insiste e, malgrado il “niet” di Mosca, nel giugno di quell’anno visita Kiev e Leopoli, qui accolto trionfalmente. Nella capitale ucraina il papa incontra il Consiglio pan-ucraino delle Chiese e delle Organizzazioni religiose: tra i suoi rappresentanti manca però il metropolita (moscovita) di Kiev e di tutta l’Ucraina, Vladimir – “partito per le ferie”, si premura egli stesso, polemicamente, di far sapere. E, nell’incontro con il Consiglio, è il “patriarca” Filaret a dare il benvenuto al papa. Uno schiaffo inaudito a Mosca.

D’altronde, vi erano tensioni anche in casa cattolica, soprattutto tra i latini ucraini – quasi tutti di origine polacca – e i greco-cattolici. Il che spinse papa Wojtyla, pochi mesi prima di recarsi in Ucraina, ad una singolarissima decisione: nel concistoro del 21 febbraio 2001 creò cardinali l’allora arcivescovo maggiore di Leopoli degli Ucraini, Lubomyr Husar, e l’allora arcivescovo di Leopoli dei latini, Marian Jaworski. Una città, due porporati!

Ucraina: come, forse, saremo

Nell’ultimo decennio ci sono state varie proposte – sostenute da molti politici ucraini; non da tutti – per unificare le tre Chiese ortodosse e crearne una sola, così come esistono la Chiesa ortodossa russa, romena, serba, bulgara, greca… Ipotesi sempre respinta dal patriarcato russo. Ma le recentissime vicende geopolitiche inaspettatamente hanno modificato anche lo scenario religioso.

Infatti, il Santo Sinodo della Chiesa ortodossa ucraina (legata a Mosca) il 24 febbraio ha comunicato al patriarca russo Kirill di avere deciso, essendo il metropolita Vladimir di Kiev assai malato, di nominare locum tenens al suo posto Onufrij, metropolita di Chernovtsy e Bukovina. E Kirill ha augurato al neo-eletto di “essere aiutato da Dio a sostenere le sue responsabilità nel servizio della Chiesa in un momento difficile per il popolo ucraino”. Parole significative, dato che nella stessa riunione nella quale aveva scelto Onufrij, il Santo Sinodo ucraino aveva deciso di creare una Commissione per aprire il dialogo con la Chiesa autocefala ucraina e con il patriarcato di Kiev; un dialogo, negli ultimi vent’anni, mai davvero avviato.

Si potrebbe dunque dischiudere una pagina nuovissima nell’Ortodossia ucraina; per andare dove, però? Al momento – e mai scordando che la situazione geopolitica, e il mantenimento o, al contrario, la dissoluzione dell’unità territoriale dell’Ucraina, peserà moltissimo sulle decisioni delle Chiese – si delineano scenari assai differenti. Ove le tre Chiese ortodosse ucraine si unificassero, dando vita ad una sola Chiesa ortodossa nel Paese, quali sarebbero i suoi rapporti con Mosca? Il patriarcato russo, che ha “assorbito” l’eredità della Rus’, accetterebbe una Chiesa ucraina autocefala, da esso slegata, e guidata da un patriarca di Kiev? Insomma, per dirla con la terminologia cara alle Chiese ortodosse: l’Ucraina fa parte, o no, del “territorio canonico” del patriarcato russo, cioè di quello da esso storicamente controllato? D’altronde, a parte le questioni di principio, o di gloria, non va dimenticato che, oggi come oggi, proprio dall’Ucraina proviene una parte notevole del clero della Chiesa russa, e questa non potrebbe privarsene a cuor leggero. Comunque, se gli ucraini riuscissero nel loro ambizioso progetto (il che non è scontato: intricatissimi sono i nodi, storici e canonici, da sciogliere), epperò Mosca lo contrastasse, che accadrebbe? Non rischierebbe, l’intera Ortodossia, dai patriarcati storici (Costantinopoli, Antiochia, Alessandria e Gerusalemme) a quelli balcanici (Serbia, Romania, Bulgaria), di spaccarsi tra favorevoli e contrari alla scelta di Kiev? E i greco-cattolici – tra i maggiori sostenitori della rivolta di febbraio contro il presidente Viktor Yanukovich – come si muoverebbero? E il papato?

I drammatici eventi sociali e geopolitici che hanno avuto il loro epicentro in piazza Majdan hanno avviato qualcosa di irreversibile anche nell’Ortodossia ucraina e nell’insieme delle Chiese di quel Paese; ma, per ora, è arduo sapere in quale direzione.

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