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Medio Oriente: il futuro è donna?

by redazione

di Amelia Vescovi

Ospiti internazionali al convegno «Le donne, un filo che unisce mondi e culture diverse», organizzato a Roma dall’Associazione Telefono Rosa, in occasione della Giornata contro la violenza sulle donne del 25 novembre. Tra i partecipanti, Ozlem Tanrikulu, componente della Commissione degli Affari Esteri del Knk (Congresso nazionale del Kurdistan) e presidente dell’Ufficio di informazione sul Kurdistan in Italia, che ha parlato al pubblico di studenti delle scuole superiori del sistema di auto-organizzazione delle donne curde nella regione di Rojava, divisa nei cantoni di Kobane, Efrin e Cizre, dove si sono create unità di difesa in cui uomini e donne vivono e combattono in un regime di democrazia pura, oltre ogni forma di patriarcato o matriarcato.

Qui sono nate le Accademie delle donne, dove si è insegnanti ed allieve allo stesso tempo, con l’obiettivo comune di rintracciare la propria identità e i propri bisogni. E qui sono state aperte le Case delle donne, per la prevenzione della violenza di genere, fisica, economica, psicologica. Insieme agli uomini, le donne di Rojava hanno aiutato i civili a fuggire in sicurezza durante gli attacchi ai centri abitati, ed hanno allestito campi per i profughi su modello della loro comunità: un microcosmo dove la solidarietà deve vincere su ogni forma di comprensibile vittimismo.

La rivoluzione attuata dalle donne curde parte dall’interno: Ozlem ha spiegato come sia vitale smantellare una società di tipo patriarcale e creare nuovi equilibri fra i sessi: «Stiamo cercando di dare più voce alle donne, per organizzare una società democratica dove ognuno ha un ruolo». Esiste poi una forma di resistenza pacifica ma determinata: le donne curde hanno sempre difeso la loro cultura, scegliendo di non frequentare le scuole turche e arabe, e rischiando, in quanto non islamiche, di essere deportate o vendute al bazar.

Della speranza di pace e democrazia delle donne in Siria ha parlato la scrittrice e giornalista italo-siriana Asmae, che ha documentato con una carrellata di fotografie la disperazione dei civili vittime della guerriglia. «La Siria è la culla della civiltà del Mediterraneo, ed il paese più riformista del Medio Oriente. In Siria – ha dichiarato Asmae – le donne erano più istruite, più libere. Quando si è instaurato il regime dittatoriale, le donne sono state le prime ad opporsi organizzando manifestazioni di piazza. Libertà e dignità sono state le parole che si gridavano. Le donne siriane vivono con il lutto nel cuore. In Siria ci sono quasi dieci milioni di sfollati costretti a vivere nelle tendopoli. E fra le macerie qualcuno trova la forza di reagire. In molte città della Siria non esistono più le scuole, ma alcune donne hanno creato delle classi in luoghi improvvisati, come gli scantinati».

Asmae Dachan si è rivolta ai giovani in sala sottolineando anche la distanza fra religione islamica e terrorismo: «Nel Corano c’è scritto che chi uccide una persona è un assassino, ed è come se avesse annientato l’intera umanità. Noi non siamo alleati dei terroristi dell’Isis: loro uccidono la nostra gente, storpiano il senso delle parole dei testi sacri. Le donne siriane sono contro il terrorismo, il traffico di armi, il mercato di essere umani».

Uccidere in nome della religione, mescolando spiritualità e sangue: così come ha raccontato Lucia Borsellino, figlia del giudice ucciso dalla mafia nel 1992, responsabile per Agenas dei lavori del Tavolo congiunto Ministero della Salute-Anac-Agenas: «La mafia uccide come l’Isis, in nome di Dio. Quando i mafiosi vengono arrestati nelle loro abitazioni, hanno tutti la Bibbia sul comodino, e nei riti di affiliazioni è tradizione bruciare un santino. Durante la mia partecipazione al governo regionale ho subito una sorta di violenza psicologica, perché è più facile aggredire una donna, soprattutto se ha un aspetto mite e poco combattivo. Ma la disperazione si è trasformata in forza di reazione. Le vere armi contro la violenza sono la cultura e la solidarietà. La cultura, che si può trovare nei libri, ma anche in un paesaggio».

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