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Una riforma che risolve molti problemi

by redazione

intervista a Carlo Fusaro (professore ordinario di Diritto pubblico comparato all’Università di Firenze)

Fusaro

Professor Fusaro, può spiegarci quali sono a suo giudizio i principali vantaggi di questa riforma costituzionale?

Questa riforma affronta (e secondo me con ogni probabilità risolve) alcuni dei maggiori problemi della Parte seconda della Costituzione: dei quali in effetti si discute da oltre trent’anni e sull’esistenza dei quali quasi tutti concordano. Si tratta del superamento del bicameralismo fondato su due camere quasi gemelle che fanno le stesse cose e rappresentano tutt’e due i cittadini politicamente organizzati. Il cosiddetto “bicameralismo paritario e indifferenziato”. A dire il vero una differenza c’è: e costituisce un serio problema democratico. Il Senato non è eletto dai cittadini fra i 18 e i 25 anni: quattro milioni. Non è poco.

Inoltre la riforma affronta un problema più recente: il rendimento discusso della riforma del titolo V (Rapporti Stato-Autonomie) del 2001. Lo fa chiarendo la preminenza legislativa dello Stato: in compenso porta Regioni e Comuni dentro il nuovo Senato, in Parlamento. Infatti, senza limitarsi ad abolire il Senato, la riforma lo trasforma nella camera destinata a rappresentare gli interessi delle istituzioni territoriali (Comuni, Città metropolitane, Regioni). Conseguentemente a quanto appena detto, il nuovo Senato non intratterrà più il rapporto fiduciario col Governo. In altre parole, il Governo dovrà avere la fiducia e potrà essere sfiduciato dalla sola Camera (che diventa l’unica di indirizzo politico generale in rappresentanza dei cittadini politicamente organizzati). Questa è una grande e positiva novità: perché non esiste al mondo una sola democrazia parlamentare (com’è e resta la nostra) che imponga una doppia fiducia con due Camere diverse. Questa semplificazione permette anche un perfetto coordinamento con la riforma elettorale Italicum approvata un anno fa e in vigore dal prossimo 1° luglio.

Ci sono poi nella riforma altre cose buone: più partecipazione e più referendum; più possibilità per il Governo di attuare il proprio programma e più limiti ai decreti legge; più garanzie con maggioranze più ampie per eleggere il capo dello Stato e con il ricorso diretto alla Corte costituzionale per le leggi elettorali. Infine: via le Province dalla Costituzione, soppressione di un organo inutile come il Cnel, riduzione di alcuni costi della politica (indennità dei consiglieri regionali, finanziamenti ai gruppi regionali, 315 senatori in meno: quelli in rappresentanza di Comuni e Regioni, solo 95, non avranno indennità aggiuntive rispetto a quelle che prendono; infine, unificazione dell’organizzazione e del personale delle due camere).

L’idea del cosiddetto “spacchettamento” dei quesiti potrebbe evitare che il referendum costituzionale di ottobre si trasformi in un plebiscito pro o contro il governo Renzi?

Dovrei rifiutare di rispondere al fantacostituzionalismo. Questa proposta è infatti una più o meno intelligente invenzione che non ha alcun aggancio con il vigente ordinamento costituzionale italiano: non è prevista dalla Costituzione, non è disciplinata dalla legge 352/1970 che regola tutti i referendum, quello costituzionale compreso. È dunque poco serio a giochi quasi fatti (siamo, nel processo di revisione, ai supplementari!) proporre di cambiare le carte in tavola. È una cosa semplicemente impensabile e giuridicamente impossibile. Infatti, ciascun deputato e senatore, ciascuna delle due Camere si è già espressa con un voto solo sull’intera legge di revisione. Non è neppure concepibile che qualcuno – dopo – suddivida in più voti (nell’ambito di un unico procedimento in Parlamento concluso) ciò che appunto è stato votato unitariamente.

Ciò detto, se ne può parlare per il futuro: ma non è una buona idea. Primo, perché qualsiasi legge di revisione comporta accomodamenti e intese fra le forze politiche, compromessi che impongono un voto finale unitario (se no tutto si rimette in discussione e accordi non se ne fanno), come del resto avvenuto alla Costituente! Secondo, perché anche in una legge composita come questa della riforma Renzi-Boschi tutto si tiene: il Senato è concepito in un certo modo perché i rapporti Stato-Regioni sono rivisti a loro volta in un certo modo; il Senato è eletto indirettamente e perciò non può dare la fiducia al Governo (né toglierla: né in compenso essere sciolto); il Governo ha il voto a data certa mentre in compenso il potere di far decreti è ridotto. Eccetera. Le Costituzioni sono cose troppo serie per trasformarle in un supermercato, dove gli elettori prendono questo e lasciano quello. Ne verrebbe un ingestibile vestito d’Arlecchino.

Cosa risponde a chi sostiene che i nuovi procedimenti legislativi differenziati porteranno incertezze e conflitti di competenza tra Stato e Regioni e tra Camera e nuovo Senato?

Fermo restando che qualsiasi riforma incisiva pone problemi successivi di interpretazione e incertezze (rispetto a ciò che è stato sperimentato e consolidato per decenni) e così sarà anche stavolta (ma allora per evitarlo l’unica cosa sarebbe non far nulla!), la critica mi pare di un conservatorismo preoccupante. Il procedimento è ben descritto dal nuovo articolo 70. Si fa molto terrorismo sulla sua lunghezza a fronte dell’attuale articolo 70. Bella forza: chiaro che se passo da un sistema in cui le due camere fanno le stesse cose e devo differenziare ciò che fa l’una rispetto all’altra, devo dirlo, descriverlo, regolarlo. Si guardi le corrispondenti Costituzioni di altri paesi: dappertutto è così (Francia, Germania…). In realtà ci sono due procedimenti legislativi base: a) quello che resta paritario e bicamerale (con elenco del tipo di leggi specificato cui si applica); b) quello ordinario che prevede la prevalenza della Camera sempre e comunque e un potere di proposta di modifica del Senato. Su questi si innescano poi alcune varianti, né più né meno come accade anche nel procedimento legislativo ex Costituzione del 1948 (che prevede per casi particolari una lunga serie di procedimenti particolari).

Un’altra critica che viene mossa dal fronte del no riguarda il “combinato disposto” tra riforma costituzionale e nuova legge elettorale, che conferirebbe troppo potere a un solo partito, anche con una percentuale di voti bassa al primo turno.

Molti, come me, considerano questo uno dei maggiori pregi della riforma che dovrebbe consentire di rendere più governabile e stabile la nostra forma di governo: e più omogenee e coerenti le politiche di governo. Ma abbiamo una specie di tendenza alla smemoratezza: dal 2006 a pochi anni fa si è passato anni a criticare maggioranze raccogliticce come quella che fece vincere le sinistre nel 2006 e portò al governo Prodi II, con ministri di 11 o 12 partiti diversi. Fu un calvario e cadde per l’uscita di un partitino che a malapena raggiungeva l’1% dei voti (l’Udeur di Mastella). Si disse, giustamente: mai più coalizioni buone per vincere ma pessime per governare. La riforma elettorale punta ad evitare questo. In compenso prevede o il quorum del 40% (che non è poco) oppure un secondo turno di ballottaggio al quale tutti gli elettori partecipano: per cui quanto un partito ha avuto al primo turno non conta più. Il calcolo va fatto sui consensi avuti al secondo turno: necessariamente più della metà più uno. Quanto al “potere a un solo partito”: questo è il modello del governo di partito di molte democrazie parlamentari, a partire da quella inglese. È esattamente quello che si vuole, altro che pericolo! Del resto, garanzie e contrappesi ce ne sono a bizzeffe: decisioni e norme europee, ruolo della Corte costituzionale, ruolo della magistratura, informazione, associazionismo, pluralismo istituzionale con Comuni vivissimi e Regioni con funzioni rilevanti. Davvero qualcuno può pensare a rischi autoritari? E perché – al mondo – solo qui?

(intervista a cura di Adriano Gizzi, pubblicata su Confronti di giugno 2016)

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2 comments

riforma costituzionale: @carlofusaro a Confronti | stefanoceccanti 27 Maggio 2016 - 10:05

[…] Fusaro […]

Grande riforma o rottamazione costituzionale? 1 Giugno 2016 - 14:59

[…] approfondire le ragioni del Sì e del No, rimandiamo a due interviste: una a Carlo Fusaro (professore ordinario di Diritto pubblico comparato all’Università di Firenze) e l’altra a […]

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