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La lacerazione di Aleppo

by redazione

intervista a Joseph Tobji (a cura di Mostafa El Ayoubi)

Abbiamo intervistato l’arcivescovo di Aleppo per farci raccontare la drammatica situazione in cui vive la popolazione della città siriana, provata da anni di guerra e di privazioni, ma anche per analizzare le questioni geostrategiche sul tappeto e il ruolo giocato nella guerra dalle varie potenze e dai media.

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Quali sono le sue considerazioni, da cittadino siriano e da religioso, riguardo alla devastante guerra in Siria?

Prima della guerra noi stavamo bene in Siria. C’era un mosaico di religioni e di culture e si conviveva bene. Certo, c’erano alcuni problemi (nessuno è perfetto), però convivevamo da 1400 anni. Si stava bene anche dal punto di vista economico, se facciamo il confronto con altri posti nel mondo. Non avevamo un debito con l’estero e ad Aleppo c’erano tante industrie – soprattutto il tessile – che esportavano in tutto il mondo. Vi era una situazione tranquilla, la Siria era uno dei primi paesi nel mondo per quanto riguarda la sicurezza: le donne potevano passeggiare di notte in sicurezza e tranquillità.

 

Cosa è successo dal 2011, anno di inizio della cosiddetta “primavera araba”?

È successo che questa presunta “primavera araba” in pratica si è rivelata un modo per distruggere il Medio Oriente. È stato uno strumento per mettere in atto un nuovo colonialismo, diciamo così, che vuole imporsi nella regione ma in un altro modo: rispetto al passato, infatti, oggi le grandi potenze del mondo non si sporcano le mani direttamente. Nel caso del Medio Oriente, hanno seminato questa discordia, questa zizzania, tramite un’ideologia islamo-politica pervenuta soprattutto dall’Arabia Saudita. La democrazia di cui si parla è solo un pretesto dietro il quale si cela tutto un gioco di interessi: geostrategico, economico e legato al commercio di armi e alla speculazione sull’immigrazione.

Si può parlare di un secondo trattato Sykes-Picot?

Sì, possiamo dire che è un nuovo Sykes-Picot (l’accordo segreto tra Regno Unito e Francia per definire le zone di influenza nel Medio Oriente durante la Prima guerra mondiale, in vista dell’imminente crollo dell’Impero ottomano, ndr), perché le grandi potenze occidentali vogliono ri-dividere di nuovo il Medio Oriente, ma questa volta in Stati confessionali ed etnici.

Com’è la situazione sociale e umanitaria adesso?

Gran parte dei siriani vive al limite della soglia di povertà. Prima della devastazione del paese, una famiglia composta da quattro persone poteva vivere in modo normale con 300/350 dollari. Era un salario medio. Oggi per un impiegato il salario è di 60 dollari al massimo. Si può quindi capire quanto è lontana la normalità. Questo ha fatto impoverire tutti: la guerra e anche le sanzioni. Sono cinque anni che siamo senza elettricità: c’è sì e no per due ore al giorno. Abbiamo poi seri problemi di mancanza di acqua e di cure mediche.

 

Si parla di centinaia di migliaia di morti. Lei ha un’idea di quanti siano realmente le vittime di questa guerra imposta ai siriani?

Alcuni dicono che i morti sono circa 300mila, qualcun altro parla di 450mila persone. Io credo più alla seconda ipotesi. Non ci sono statistiche, ma da come la vedo io, nella nostra parte di Aleppo, quella occidentale, cosiddetta sicura (la parte ancora protetta controllata dal governo), cadono decine di persone al giorno, figuriamoci nella altre aree del paese. La stima sui feriti è impossibile farla. E i danni alle infrastrutture pubbliche e private sono inestimabili: scuole, ospedali, luoghi di culto, fabbriche e via dicendo.

Si è parlato di saccheggi di intere fabbriche siriane con macchinari che sono stati praticamente venduti attraverso la Turchia…

Abbiamo visto che sono stati saccheggiati tutti i macchinari delle fabbriche di Aleppo, che è la prima città industriale del Medio Oriente.

Molto materiale di produzione è stato portato via tranquillamente attraverso la frontiera turca. Che ruolo ha giocato la Turchia nella guerra in Siria?

La Turchia ha fatto il più grande danno possibile. Attraverso una frontiera di 900 chilometri, ha organizzato il transito verso la Siria di decine di migliaia di terroristi e ingenti quantità di armi. Come ha anche partecipato al contrabbando del petrolio rubato ai siriani. Quindi la Turchia ha giocato un ruolo centrale in questa guerra, insieme all’Arabia Saudita e al Qatar, che finora hanno finanziato i gruppi terroristici.

 

Di che nazionalità sono questi terroristi?

Ci sono ceceni, tunisini, libici, palestinesi, cittadini che vengono dal Belgio, dalla Germania e da diverse altre nazioni.

 

Questi jihadisti e mercenari militano in diversi gruppi armati e milizie (ex) Al Nousra, Daesh, Esercito libero siriano e altre denominazioni. alcuni vengono considerati terroristi e altri moderati che lottano per la democrazia in Siria. Lei cosa ne pensa?

Queste denominazioni sono tutte uguali. Per noi hanno tutti la stessa ideologia, hanno lo stesso scopo: instaurare un califfato; non un califfato religioso, ma politico. Vogliono invadere ed istituire questo stato islamico strumentalizzando la religione. Per questo vengono anche mercenari pagati dai paesi del Golfo e via dicendo.

Noi dall’interno del paese vediamo le cose con chiarezza ed evidenza. Quello che punta un’arma contro un civile non può essere chiamato rivoluzionario. Un ceceno, un tunisino si ribella contro chi? Nell’Esercito libero siriano militano molti stranieri: nel 2013 un video postato su internet mostrava un tunisino che mangiava il cuore di un siriano filo-governativo. Questo esercito libero non può essere opposizione moderata…

Faccio questa domanda: perché l’America non vuole fare seriamente la distinzione tra l’opposizione militare moderata e quella terrorista? Perché secondo me non c’è differenza.

 

Prima di affrontare il ruolo giocato ad oggi dagli Usa, qual è quello dell’Iran?

Noi siriani non siamo ingenui, sappiamo bene che nessuno ci viene in aiuto per il colore dei nostri occhi: tutto si fa per interesse. Però per noi va bene collaborare con chi ha posizioni chiare, mentre non ci piace quando qualcuno cambia continuamente posizione, come fanno gli americani e i loro alleati: non si può trattare con loro perché non rispettano la sovranità dello Stato siriano.

 

E l’Iran, invece?

L’Iran ha detto chiaramente che sta appoggiando il governo siriano e contribuisce nella lotta al terrorismo e nella difesa del territorio di una Siria unita.

 

Teheran dice che la sovranità della Siria non si tocca e sono i siriani che devono decidere del loro futuro.

Infatti. E i siriani hanno chiamato in aiuto l’Iran e la Russia.

 

I cittadini siriani come considerano questo aiuto che i russi hanno portato? Secondo molti osservatori, se non ci fosse stato l’intervento dei russi probabilmente la Siria sarebbe diventata come la Libia.

Questi osservatori hanno detto bene, perché è così. La Russia ha appoggiato fortemente l’esercito regolare siriano. La gente da noi vede di buon occhio questo intervento. Un civile come me, che tutti i giorni ha il terrore di essere colpito (lui o i suoi cari) o che magari ha visto morire i genitori, i figli o il fratello, se vede che qualcuno lo difende lo guarda con simpatia.

Lei è cittadino siriano di Aleppo. Aleppo è oggi sotto assedio, da molto tempo, è divisa in due, la parte dell’est e la parte dell’ovest, dove vive la maggioranza degli abitanti della città tra i quali la totalità dei cristiani. Qual è la situazione di questi cristiani?

Tanti sono scappati perché non ce la fanno a rimanere in questa situazione drammatica. Gli altri, che non hanno avuto i mezzi o la voglia (ce ne sono tantissimi che non hanno voglia di uscire), sono rimasti lì. Un terzo, al massimo, dei cristiani di Aleppo è rimasto in città: prima della guerra si contavano 150mila cristiani di diverse denominazioni.

Noi maroniti ad Aleppo abbiamo due chiese: la cattedrale e una parrocchia. Tutte e due sono danneggiate, senza tetto, forate, e la nostra chiesa maronita fa il proprio culto in una sala nell’episcopato perché è ancora sano, grazie a Dio, è separato dalla cattedrale, a 200 metri, e vi preghiamo con circa 70 persone. Facciamo 2-3 messe la domenica, invece nelle grandi feste chiediamo ospitalità alle altre chiese: celebriamo il culto nella chiesa caldea, o chiesa latina, o dalle suore francescane.

 

Lei come cristiano ha parlato di una convivenza che dura da 1400 anni con la realtà islamica. Che conseguenze ha avuto la guerra su questo rapporto?

Ancora non si intravedono le conseguenze, perché la situazione è estremamente esplosiva. Però posso dire che tantissima gente che è riuscita a scappare prima della divisione della città, dalla parte orientale (per la stragrande maggioranza musulmana, ndr) verso la parte occidentale, è accolta bene nei nostri quartieri: vengono, chiedono aiuto e tutte le chiese, prestano soccorso a tutti gli sfollati scappati dalla zona controllata dai terroristi. Paradossalmente, questa guerra ha contribuito al consolidamento della conoscenza reciproca: siamo tutti quanti fratelli!

Che ruolo hanno giocato i mezzi di comunicazione nel riportare quello che avviene in Siria?

Negativo, perché sono parziali. Quando Aleppo occidentale è stata assediata, diverse volte e per diversi mesi, nessuno ha parlato di questo dramma, di un milione e mezzo di persone senza medicine, senza cibo, senza pane. Quando manca l’acqua nella parte nostra, quella occidentale, nessuno dice niente. Quando si bombardano gli ospedali, le università, quando muore la gente, nessuno dice niente. Invece quando l’esercito regolare tenta di colpire i terroristi nell’est della città tutti i media occidentali strillano: «Al Assad sta uccidendo il suo popolo». Tutti hanno i loro padroni, se uno ti paga lo stipendio devi dire quello che vuole lui.

Di quanta popolarità godono ancora al Assad e il governo di Damasco?

Almeno il 70%. Avanzo questa stima perché durante le ultime elezioni presidenziali sono andati a votare in milioni. I media hanno parlato di gente costretta ad andare a votare. Ma poi in Libano, nel 2013, 300mila siriani profughi hanno intasato le strade di Beirut per raggiungere l’ambasciata e votare.

Chi li ha costretti? Chi li ha pagati? Per me le cose sono molto chiare: il problema che ho trovato qui in Europa è quello di spiegare cose evidenti, perché se dici le cose così come sono ti etichettano immediatamente come filo-Assad e filo-russo.

 

Tra le tante vittime di questa feroce guerra vi sono anche i religiosi. Diversi sono ancora in mano ai jihadisti estremisti. Lei ha qualche idea sulla sorte dei suoi correligionari rapiti in Siria?

Ci sono due vescovi (sirio ortodosso e greco ortodosso) di Aleppo e ci sono un sacerdote greco ortodosso e uno armeno cattolico che erano stati rapiti due mesi prima dei due vescovi; e c’è padre Paolo Dall’Oglio: quindi tre sacerdoti e due vescovi rapiti, e nessuno ha la minima idea di che fine hanno fatto, se sono vivi, se sono morti… nessuno sa niente.

 

In Italia c’è molta preoccupazione per la sorte di padre Paolo Dall’Oglio. che idea si è fatto circa la faccenda del sacerdote gesuita rapito a Raqqa, città occupata dall’Isis?

Padre Dall’Oglio è stato imprudente. Lui ha preso parte a questa guerra di informazione.

In che senso?

Conduceva un programma politico sul canale “Orient” di proprietà di un siriano e con sede a Dubai. Padre Dall’Oglio pensava di essere amico dei cosiddetti ribelli ed è andato a Raqqa, in mano all’Isis. Forse ha considerato male la sua amicizia con loro, forse ha considerato male la sua posizione. Ha fatto questa imprudenza, ma lui è una brava persona e faceva un bel lavoro quando si occupava del monastero.

Sembra che i curdi siriani vogliano approfittare di questa guerra per imporre in qualche modo la loro autonomia rispetto al resto del paese…

A nessuno piace la divisione della Siria. Quando entra il virus dell’etnia, della religione, in senso negativo, allora si cambia: questo è il guaio.

Da religioso, come vede il futuro della Siria?

Da religioso, da vescovo, io conto sul Signore. Quando si prega, quando chiediamo l’aiuto a Dio, lui farà per il nostro bene e meglio di quello che l’uomo può fare. Quindi da religioso ho questa speranza nel Signore. Noi crediamo nella vita, non crediamo nella morte; e nostro Signore Gesù non conosce morte, si propone sempre la vita. Per questo credo: abbiamo la speranza, abbiamo la fede, il Signore risponderà a tutte queste grida dei poveri, dei sofferenti. Detto in modo pratico, la preghiera cambia i cuori di questa gente che vuole la guerra. Credo anche nella buona volontà: l’uomo ha sempre un germe buono, non è un diavolo, quindi tutti gli uomini hanno qualcosa di buono dentro.

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