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La quarta volta dello “zar”

by redazione

di Luigi Sandri (redazione Confronti)

Malgrado una situazione non facile per molti russi, il 18 marzo Putin è stato rieletto, per la quarta volta, con il 76,6% dei voti. Con un messaggio all’Occidente: nessun cruciale problema del mondo può essere risolto contro, o senza, la Grande Russia.

 

“Make America great again”. Per capire meglio, in Occidente, l’esito delle elezioni presidenziali svoltesi il 18 marzo nel più vasto paese del mondo, è forse utile prendere lo slogan che ha portato Donald Trump a conquistare la Casa Bianca, ma sostituendo America con Russia. Infatti, proprio per questo – volere, come fu un tempo, la Russia grande e rispettata nel mondo – tre quarti dei russi, con il 76,6% dei voti, e la partecipazione del 67,5% dei centodieci milioni di aventi diritto al voto, per la quarta volta ha scelto come presidente Vladimir Vladimirovic Putin.

Le condizioni del voto – il presidente-candidato presidente aveva in mano, di fatto, la tv; qua e là sono stati accertati brogli o procedure improprie – fotografano una situazione lontana dagli standard occidentali per le competizioni elettorali; non annullano però, nella sostanza, il risultato finale.

Aleksei Navalny, il blogger diventato il maggior oppositore politico di Putin, già da dicembre era stato giudicato “non idoneo” alla candidatura, in quanto nel 2017 era stato arrestato tre volte per aver tenuto comizi senza le necessarie autorizzazioni. Un’esclusione fondata forse su motivi pretestuosi (e pressioni del Cremlino), per cui lui aveva invitato i suoi seguaci a protestare, astenendosi dall’andare a votare. Un invito accolto da alcuni settori, ma non da quella massa che il contestatore sperava.

In quanto ai sette competitor di Putin, i risultati da essi ottenuti sono stati relativamente significativi solo per un candidato, il leader del partito comunista, Pavel Grudinin, che ha superato le due cifre, ottenendo l’11,77 dei voti. Va poi notato che egli in certe zone della Siberia ha ottenuto oltre il 20%: segnale, là, di un disagio sociale crescente rispetto alle carenze socio-economiche del regime putiniano. Per il resto… delusioni: il liberale Vladimir Zhirinovsky si è fermato al 5,65%; tutti gli altri (tra essi la pasionaria Ksenia Sobchak, figlia di Anatolij, sindaco di San Pietroburgo nei primi anni del periodo post-sovietico, e “sponsor” dell’avvio alla politica dell’allora poco noto Putin) hanno preso poco più o poco meno dell’1%.

Il risultato complessivo delle elezioni premia dunque Putin, in tutte le circoscrizioni. Lo premia, in particolare, in Crimea, la penisola ucraina che l’uomo forte del Cremlino esattamente quattro anni prima, il 18 marzo 2014, aveva deciso di annettere alla Russia (alla quale un tempo pur apparteneva): infatti là ha ottenuto il 92,15%. Un messaggio all’Occidente che, ritenendo illegale tutto l’iter dell’annessione russa della Crimea, aveva decretato aspre sanzioni contro la Russia, che tuttora perdurano.

Perché Putin ha vinto, malgrado i tanti problemi che pur incombono sul suo paese, e che rendono difficile la vita di una parte considerevole della popolazione (un sesto della quale vive sotto la soglia di povertà)? Perché l’ex colonnello del Kgb, e dal 2000 “zar” della Russia post-comunista, conferma nella testa della gente che la ex capofila dell’Urss è tuttora una grande potenza, contro la quale o senza la quale è illusorio risolvere i cruciali nodi internazionali, dalla Siria all’auspicata riduzione degli armamenti nucleari. E chi a Londra pensava, forse, di indebolire le possibilità del “candidato” Putin accusandolo di essere il mandante del tentativo di avvelenare, con gas nervino, in Inghilterra, l’ex spia russa Sergei Skripal e sua figlia Yulia, ha fatto male i conti: quell’accusa, definita “una sciocchezza” dal presidente, e un’ignobile calunnia da gran parte dei russi, semmai ha portato a lui ulteriori voti.

Tre settimane prima delle elezioni, rivolto all’Occidente, il capo del Cremlino aveva sottolineato le capacità militari (e nucleari) della Russia; a vittoria ottenuta, ha invece insistito sulla necessaria collaborazione per affrontare, con il dialogo, tutti i problemi pendenti sullo scacchiere internazionale. Ma anche sul fronte interno Putin è atteso da sfide davvero aspre: accorciare le gravi disparità sociali esistenti nel paese, e snellire una burocrazia ancora soverchiante. Impresa ardua.

Dio salvi lo “zar”, che ora, a Pasqua, si reca in chiesa per proclamare, come faranno il patriarca Kirill e milioni di ortodossi russi: Khristos voskriese, vo istinu voskriese, Cristo è risorto, in verità è risorto.

 

(pubblicato su Confronti di aprile 2018)

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