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La macchina della propaganda sullo sgombero di Camping River

by redazione

di Gaetano De Monte. Giornalista, Mediterrenean Hope – programma migranti e rifugiati della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei)

La vicenda di Camping River, l’insediamento rom lungo la via Tiberina sgomberato il 26 luglio dalla polizia locale di Roma Capitale «ci mette di fronte ad un frame che è agito con costanza dalle classi dirigenti della Lega e del Movimento Cinque Stelle, il fantasma della sovranità nazionale. Il messaggio sottinteso con cui ci si rivolge agli elettori è “ora gliela facciamo vedere noi a questi, gli stati europei, gli stranieri, i rom”», ha detto il giornalista del Manifesto, Giuliano Santoro, aprendo mercoledì scorso la conferenza stampa alla Camera dei deputati convocata dall’associazione 21 Luglio per denunciare «l’utilizzo da parte del Comune di Roma della propaganda mediatica, uno strumento di distrazione di massa che racconta una verità altra, utile a coprire inefficienze e promesse fatte in campagna elettorale e mai mantenute», si legge così in una nota stampa dell’Associazione.

Carlo Stasolla, il presidente della 21 Luglio, ha spiegato come sia «totalmente falso tutto ciò che ha dichiarato l’amministrazione Raggi sulla vicenda, a partire dal fatto che alle famiglie rom residenti al Camping River siano state offerte soluzioni e proposte, mettendo a disposizione delle persone alternative che consentano di restare unite». Dunque, sembra che sulla vicenda emerga una verità altra rispetto a quella raccontata nei giorni scorsi attraverso i meccanismi e gli strumenti della comunicazione istituzionale. Infatti, prosegue Stasolla: «Contrariamente a quanto previsto dal Piano Rom elaborato dalla stessa amministrazione capitolina non è stato offerto alcun sostegno per l’inclusione lavorativa e di supporto alla scolarizzazione»; e ancora: «nelle settimane precedenti allo sgombero le uniche soluzioni proposte sono state quelle che avrebbero comportato la separazione dei nuclei. Madri e figli minorenni in casa famiglia. Padri e figli maggiorenni per strada». Non solo. Ha riferito ancora il presidente della 21 Luglio: «La sindaca Raggi aveva dichiarato sui social che lo sgombero era avvenuto per motivi igienici e sanitari. Ma quel che la Raggi ha dimenticato di dire è che stata la stessa decisione dell’amministrazione capitolina di distruggere 50 moduli abitativi (il 21 Giugno 2018) e di sospendere l’erogazione idrica – dal 30 giugno – ad averla aggravata».

 

Camping River, storia di una vergogna che viene da lontano.

È una vicenda molto complicata quella di Camping River; una storia emblematica di come vengono create (e sgomberate) le baraccopoli di rom dalle istituzioni capitoline, dai tempi della giunta Alemanno, passando per quella di Marino, fino all’attuale a guida Movimento Cinque Stelle. Sono tutte storie stratificate, complesse; e, come tali hanno bisogno di essere raccontate non in maniera unidirezionale, come la giunta Raggi ha fatto finora. Servirebbe inoltre un po’ di cautela. Si pensi al contenuto della pronuncia arrivata il 24 luglio dalla Corte Europea per i Diritti Umani (Cedu). La sindaca aveva addirittura esultato su Facebook: «La Corte per i Diritti Umani ci dà ragione». In verità, come ha spiegato l’avvocato della 21 Luglio, Aurora Sordini, che ha curato i ricorsi alla Cedu, la Corte si è rivolta al governo italiano (e non al comune di Roma) «chiedendo di sospendere lo sgombero previsto fino al venerdì 27 luglio 2018»; e, nell’attesa, aveva chiesto al governo di indicare le misure alloggiative previste per i richiedenti e la data prevista per lo sgombero esecutivo.

Dunque, c’è tutta un’altra verità, rispetto a quella raccontata dalla comunicazione istituzionale. L’ha riferita ad esempio la cronista di Roma Today, Ginevra Nozzoli, che da più di un anno segue la questione Camping River (che al di là del nome evocativo, si tratta di una ex autorimessa alla periferia Nord della Capitale). Leggendo i suoi articoli si scopre che questa è anche una storia di affidamenti sospetti, di gare d’appalto andate deserte, di società create dal nulla, e di altre come Isola Verde Onlus, che un tempo gestiva il business dei campi rom – compreso Camping River – e che poi è finita dentro le inchieste giudiziarie di Mafia Capitale; infine, anche sotto la lente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, quando ad un certo punto è venuto fuori che proprio Isola Verde era l’unica società “titolata” a gestire il campo secondo il nuovo bando di assegnazione del campo (preparato a suo tempo dal commissario Tronca e subito fatto proprio dalla sindaca all’atto dell’insediamento).

Al di là delle ombre che ricadono sulla trasparenza delle singole scelte amministrative, che a Roma affondando nella notte dei tempi, la vicenda di Camping River risulta emblematica di come funziona nel concreto la macchina della propaganda grillina. Per la sindaca Raggi, ad esempio, la colpa della situazione di grave emergenza sanitaria in cui versava il campo «è delle famiglie che hanno rifiutato tutte le alternative». «E non del fallimento del piano Rom redatto dall’amministrazione», come ha spiegato, invece, il parlamentare Riccardo Magi, segretario nazionale dei radicali italiani già consigliere comunale a Roma nella scorsa legislatura, aggiungendo che «siamo di fronte a una gravissima violazione dei diritti umani, posta in essere sulla pelle dei rom».

La sensazione è che si sia messa in moto una potente macchina della propaganda che a Roma sta viaggiando con il vento in poppa al solo scopo di guadagnare consensi facili. Penso a ciò mentre osservo un marciapiede che sa di asfalto bollente, nei pressi del cimitero di Prima Porta. Ci sono lì ancora i resti della notte; in quel luogo hanno dormito alcune persone sgomberate da Camping River, una delle periferie sociali della Capitale d’Italia. Tra di loro, ci sono alcuni bambini che fino a qualche giorno prima avevano frequentato le scuole materna, elementare o media della Capitale. Dal 26 luglio scorso potrebbero non frequentarle più. Ma questo la macchina della propaganda non l’ha riferito.

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