“Trinitari” e “mercedari”: dare la vita per il riscatto - Confronti
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“Trinitari” e “mercedari”: dare la vita per il riscatto

by redazione

di Luigi Sandri (redazione Confronti)

Quando Gesù, nel capitolo XXV di Matteo, descrive come sarà il giudizio finale, tra le azioni belle che considererà come compiute verso di Lui, e che porteranno alla beatitudine eterna, vi è appunto quella di essere andati a trovare un carcerato che, precisa il Maestro aprendo uno squarcio di vertiginosa altezza spirituale, sarà come essere andati a trovare Lui; e, per chi non lo ha fatto, sarà come avere ignorato il carcerato Gesù, un’omissione che comporterà un severissimo supplizio.
Se il Vangelo, corroborato dalla successiva riflessione della comunità matteana, ha conservato quell’accenno di Gesù a una delle categorie sociali allora più reiette, significa che è insita nel dna del Cristianesimo una particolare e profonda attenzione verso i carcerati – che, ai tempi di Cristo, erano trattati malissimo; le prigioni, di solito, erano umide, fetide e superaffollate; i romani in Palestina, e altri poteri, non avevano e visite di controllo… della Croce rossa!
Partendo dalle parole di Gesù – «Avevo fame…, avevo sete…» – a poco a poco si compilò un elenco, facile da apprendere a memoria, delle sei opere di misericordia corporale: 1) dar da mangiare agli affamati; 2) dar da bere agli assetati; 3) vestire gli ignudi; 4) alloggiare i pellegrini; 5) visitare gli infermi; 6) visitare i carcerati. Solo all’alba del secondo millennio si aggiunse poi una settima “opera”, non esplicitata dal Vangelo: seppellire i morti. Iniziano aapparire, in miniature e dipinti, illustrate da grandi artisti, le “sette opere di misericordia corporale” (ad esse si affiancheranno le sette opere di misericordia spirituale: consigliare i dubbiosi, ammonire i peccatori, perdonare le offese…).
Tradotte in pratica, queste indicazioni hanno portato alcuni vescovi, o monaci, a organizzare iniziative assistenziali, a volte di grande impatto, per soccorrere i più miseri. Ad esempio, Basilio il Grande (teologo famoso, autore di regole monastiche che ebbero largo seguito in Oriente, vescovo di Cesarea, in Cappadocia, ove morì nel 379) fece costruire, per i poveri, una cittadella della carità con locande, ospizi, lebbrosario, che il popolo chiamò Basiliade.

I TRINITARI, CHE RISCATTARONO CERVANTES
Per attuare in modo più profondo l’indicazione di Gesù a proposito dei carcerati, si affacciò qua e là l’ipotesi del riscatto: cioè, pagare per liberare un prigioniero. L’idea è già in Lattanzio – retore, teologo, precettore di un figlio di Costantino – : «Grande opera di misericordia è riscattare i prigionieri al nemico». Poi è ripresa da sant’Agostino (†430): «Fa elemosina chi dà da mangiare all’affamato, chi riscatta il prigioniero…». L’ipotesi, eroica ma dapprima carsica, nel Medio Evo divenne, infine, il carisma e il programma di ordini religiosi fondati appunto per riscattare i cristiani caduti prigionieri di saraceni, barbareschi, pirati che infestavano il Mediterraneo. Una storia bella, spesso dimenticata, della quale diamo alcuni cenni.
Docente di teologia all’Università di Parigi, il provenzale Jean de Matha si fa prete verso i quarant’anni. Poco dopo – racconterà – nel 1198 ha una visione che lo spinge, con quattro discepoli, tra cui Felice di Valois, a fondare l’Ordine della Santissima Trinità per la liberazione degli schiavi; suo motto sarà: Gloria, tibi, Trinitas, et captivis libertas (Gloria a te, Trinità, e libertà ai prigionieri). Papa Innocenzo III lo approvò subito. I monaci “trinitari” si organizzano per raccogliere le ingenti somme necessarie per il riscatto dei prigionieri. Quanto ottenuto, doveva essere diviso in tre parti: una per sostenere la comunità, una per l’assistenza agli ammalati, e una per i riscatti. I religiosi erano tenuti a recitare insieme l’ufficio divino e a vivere in modo austero. Sorsero poi confraternite, diffuse tra le parrocchie, per aiutare i “trinitari” in un’opera che, allora, era sentitissima dalla gente. E, infatti, l’ordine si propagò rapidamente in Europa e in Asia minore, tanto che nel 1240 contava più di seicento case, con cinquemila membri.
Nel secolo XVI i trinitari andarono in crisi, e il loro numero si ridusse drasticamente. Altri danni li ebbero dalle soppressioni degli ordini religiosi effettuate da alcune potenze europee nei due secoli successivi. Pur ridimensionati, hanno poi resistito fino ai nostri giorni; dopo il Concilio Vaticano II, naturalmente, hanno dovuto affrontare un profondo cambiamento di prospettive: oggi si occupano delle nuove forme di schiavitù (prostituzione, alcolismo, tossicodipendenza); ma non dimenticano il loro grande passato. Padre Domingo de la Asunción, un religioso spagnolo, compulsando molti archivi aveva tentato di documentare la storia dei riscatti; ma nel 1936 fu ucciso durante la guerra civile spagnola, e tutto il materiale da lui raccolto andò perduto. Un caso, però, è stato accertato: quello di Miguel de Cervantes, futuro autore del Don Quijote de la Mancha. Catturato da un pirata albanese e venduto sul mercato di Algeri nel 1575, sarà riscattato cinque anni dopo dal “trinitario” spagnolo fra Juan Gil.

SE UN “MERCEDARIO” È CROCIFISSO
Pietro Nolasco – nato in Linguadoca verso il 1180, e poi stabilitosi a Barcellona – fu impressionato da incombenti e tragici fatti di cronaca. Gli arabi (e berberi) musulmani, che dal 711 avevano via via occupato la penisola iberica, nel secolo XIII erano giunti all’apice del loro potere nelle Spagne e in Africa mediterranea: spesso catturavano spagnoli, li vendevano come schiavi nei paesi arabi dove per lo più venivano indotti all’abiura della fede cristiana per aderire all’islam.
Nel 1218 confortato, disse, da una visione della Vergine, il Nolasco decise dunque di fondare un istituto religioso per la redenzione dei cristiani fatti schiavi dai musulmani; e, siccome la cappella del suo convento era dedicata a Nostra Signora della Mercede, “mecedari” si chiameranno i suoi discepoli. La loro peculiarità fu che, oltre i tre voti consueti – di povertà, castità e obbedienza – ne facevano un quarto che, in caso estremo, li impegnava a sostituire con la loro persona i prigionieri in pericolo di rinnegare la fede. Gregorio IX, nel 1235, approvò l’Ordine. Ci fu un momento in cui – avendo scopi simili – i “mercedari” pensarono di unirsi ai “trinitari”; ma poi non se ne fece nulla Poiché, per liberare spagnoli fatti schiavi dagli arabi, era necessario ricorrere alle armi, all’inizio l’ordine ebbe un carattere militare, ed era guidato da laici: ma, un secolo dopo, e non senza contrasti, la carica di maestro generale passò a un sacerdote. I “mercedari”, in Spagna, Francia, Italia organizzarono in modo capillare la raccolta di fondi, per pagare appunto i riscatti. E molti, scambiatisi con un prigioniero in mano araba, morirono senza rivedere la libertà.
Uno dei primi discepoli del Nolasco fu Raimondo Nonat (estratto vivo dalla pancia della madre morta), che compì imprese memorabili: nel 1224 a Valencia, allora in mano musulmana, riscattò duecentotrentatré schiavi spagnoli; poi ad Algeri ne riscattò centoquaranta e, in un altro viaggio, centocinquanta. Infine, sempre in Algeria, si offrì come ostaggio al posto di un prigioniero; ma – dato che in prigione continuava a convertire musulmani – si racconta che le guardie, per impedirglielo, forarono le sue labbra e le chiusero con un lucchetto. Infine fu riscattato dal suo stesso ordine. Morirà, sfinito, nel 1240, a trentasei anni.
Un altro fu l’inglese Serapion Scott, che il Nolasco volle maestro dei novizi: raggiunse, infine, Algeri per la “redenzione” di alcuni schiavi; ma, siccome la somma pattuita non arrivò in tempo, i suoi carcerieri lo inchiodarono a una croce e così morì.
Nel 1474 si fissarono a Modica, in Sicilia, qui dedicandosi soprattutto alla “redenzione” di pugliesi, calabresi e siciliani fatti schiavi dai turchi; e, in seguito all’impresa di Cristoforo Colombo, nei Caraibi. Dopo il Concilio di Trento l’Ordine si spaccò in due, e nacque il ramo dei “mercedari scalzi”. La rivoluzione francese rischiò di far scomparire l’Ordine che, però, a poco a poco, si ricostituì.
Nei tempi più recenti, in seguito al Vaticano II ha aggiornato le sue costituzioni ora dedicandosi alla “nuove schiavitù”, ai detenuti ed ex detenuti, e ai cristiani che, in certi paesi, sono perseguitati. Ma quella loro storia antica, intrisa di coraggio e di Vangelo, non può essere ignorata.

[pubblicato su Confronti 9/2018]

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