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Affinché nulla cambi

by Enzo Nucci

di Enzo Nucci. Corrispondente della Rai per l’Africa subsahariana.

 

Le enormi ricchezze presenti nella Repubblica Democratica del Congo la condannano a essere il bottino di guerra che si spartiscono gli eserciti dei Paesi confinanti e bande paramilitari. Le ultime elezioni, il cui svolgimento desta molte perplessità, hanno visto un passaggio di testimone di padre in figlio, rivelando quanto fragili siano i processi democratici.

Joseph Kabila, presidente per 18 anni della Repubblica Democratica del Congo e succeduto per “via dinastica” al padre Laurent, è un uomo che ha imparato bene la lezione di Machiavelli. Anzi ha intriso la sua pratica politica nel mefistofelico magma di imbrogli e corruzione. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Non sono bastate le rivolte di piazza, le prese di posizione della diplomazia internazionale, l’aperta contestazione della Chiesa cattolica, le bacchettate in mondovisione di papa Francesco a scalzarlo dal suo posto. La nazione africana si preparava a salutarlo con le elezioni tenutesi finalmente il 30 dicembre scorso dopo rinvii di anni. E invece Joseph Kabila ha fatto sua anche la lezione di Tomasi di Lampedusa: «Tutto cambia affinchè nulla cambi».

Il nuovo presidente è Felix Tshisekedi, eletto alla presidenza grazie a brogli elettorali e accordi indecenti, sovvertendo i sondaggi della vigilia che davano vincente il suo antagonista Martin Fayulu addirittura con il 62% dei consensi. Sulla carta Tshisekedi ha battuto di misura il suo avversario con poco più del 4%. Gli analisti lo hanno definito «un colpo di stato elettorale». La Conferenza episcopale del Congo (che ha disseminato nei seggi 40 mila propri osservatori e pubblicato un rapporto che analizza un campione di 13 milioni di voti espressi su 18) ritiene che il vincitore sia appunto Fayulu che avrebbe ottenuto il 62,11% dei consensi mentre Tshisekedi si sarebbe fermato al 16,93%. Anche l’Unione africana ha espresso perplessità sulla validità del voto.

Joseph Kabila aveva presentato un proprio candidato (Emmanuel Ramazani Shadary) ma quando ha capito l’impossibilità di portarlo alla vittoria ha fatto un accordo con Tshisekedi, candidato debole, ricattabile, anche lui “figlio d’arte”. Suo padre Etienne infatti è stato un importante oppositore proprio del padre di Joseph Kabila, nonché del vecchio dittatore Mobutu.

L’accordo prevede l’elezione di Kabila alla presidenza del Senato, ovvero la seconda carica dello stato, poiché membro di diritto dell’organismo istituzionale in qualità di ex presidente. Una carica importante poiché Kabila potrebbe assumere la presidenza ad interim della Repubblica Democratica del Congo nel caso in cui Tshisekedi inciampasse in qualche ostacolo politico o personale.

Kabila nel corso della campagna elettorale ha fatto capire chiaramente le sue intenzioni affermando che non avrebbe lasciato la sede della presidenza(simbolo del potere), che ospita anche la sua numerosa famiglia, consigliando al futuro capo dello Stato di alloggiare nel palazzo del primo ministro.

Le forti critiche della comunità internazionale e dell’Unione africana non hanno fermato l’investitura del nuovo presidente che resta un burattino nelle mani di Kabila.

I congolesi sono stremati dopo anni di duro regime mentre la rassegnazione si fa strada. Infatti in pochi hanno raccolto l’appello dello sconfitto Fayulu a scendere in piazza nella capitale Kinshasa per contestare i risultati, dissuasi anche dal massiccio schieramento delle forze dell’ordine che minacciavano un nuovo bagno di sangue, l’ennesimo nella storia del Paese. L’instabilità politica della Rdc è una costante endemica fin dall’indipendenza dal Belgio nel 1960. Paradossalmente le sue enormi ricchezze la condannano a essere il bottino di guerra che si spartiscono gli eserciti dei Paesi confinanti e bande paramilitari. Mentre i due terzi dei suoi 83 milioni di abitanti sopravvive con due dollari al giorno.

Secondo le Nazioni unite, ogni anno vengono contrabbandati oro, minerali, legname, carbone, avorio per un valore di un miliardo e 200 milioni di dollari. Senza poi conteggiare il traffico illegale di petrolio, diamanti, cobalto e coltan (minerale necessario per le memorie di computer e telefoni cellulari).

Il controllo di queste risorse fu all’origine della «guerra mondiale d’Africa», come fu definito il conflitto più cruento dopo la seconda guerra mondiale. Infatti tra il 1998 e il 2003, otto nazioni africane e 25 diversi gruppi armati causarono 5 milioni e mezzo di morti e una massa ancora più numerosa di profughi.

I risultati sono ancora sotto i nostri occhi. Oggi meno del 9% degli abitanti ha accesso all’energia elettrica mentre il 13% soffre la fame, nella indifferenza di quanti hanno guidato la Repubblica Democratica del Congo.

 

[pubblicato su Confronti 03/2019]

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