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Ratzinger guarda al futuro conclave

by Luigi Sandri

di Luigi Sandri. Redazione Confronti.

 

Suona le campane a martello per invitare la Chiesa cattolica romana, ancora ammaliata dalla rivoluzione del 1968, a contrastare il “collasso spirituale” innescato da quell’anno fatale, che – sostiene il papa emerito – ha portato perfino all’ammissione della pedofilia:

l’appello in filigrana sembra mirare soprattutto al Collegio cardinalizio che un giorno “x” dovrà eleggere il successore di Francesco e, spera il predecessore, correggere le sue linee di fondo, troppo cedevoli al mondo.

Tali prospettive non sono esplicite nell’intervento del novantaduenne Joseph Ratzinger; ma, considerando premesse e circostanze, questo ci pare il senso del suo saggio su La Chiesa e lo scandalo degli abusi sessuali apparso, con ampie citazioni, su alcuni giornali europei l’11 aprile, e nell’integralità delle sue diciotto pagine reperibile nella rivista tedesca Klerusblatt. «Il collasso spirituale della Chiesa è cominciato nel ‘68», afferma l’ex pontefice massimo; frutto della “rivoluzione” di quell’anno sarebbe stato, soprattutto nei seminari, «anche il fatto che la pedofilia sia stata diagnosticata come permessa e conveniente».

E qui Ratzinger fa una difesa a spada tratta della Veritatis splendor, enciclica redatta nel 1993 da Giovanni Paolo II con l’apporto decisivo dell’allora cardinale prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Citando Wojtyla, Ratzinger cita dunque se stesso. Quel testo, ora scrive, «conteneva l’affermazione che ci sono azioni che non possono mai diventare buone. Ci sono beni che sono indisponibili. Ci sono valori che non è mai lecito sacrificare in nome di un valore ancora più alto».

Egli non esemplifica: ma se si legge un suo studio del 1998, a proposito dell’ipotesi di ammettere all’Eucaristia persone divorziate e risposate civilmente, si vedrà il suo fermissimo “no”, là dove, caso per caso, Francesco nell’esortazione apostolica Amoris laetitia adombrerà un “sì”. Una contraddizione lacerante.

Certo, molte volte – come nella lettera pastorale ai cattolici d’Irlanda del 19 marzo 2010 – Ratzinger ha usato parole durissime («atti peccaminosi e criminali») contro la pedofilia del clero; ma non tutti i vescovi negligenti furono da lui destituiti. Però il caso più emblematico delle sue oscillazioni è quello di Marcial Maciel, il prete messicano fondatore dei Legionari di Cristo, da più parti – fin dal 1943! – accusato di essere pedofilo seriale. Benedetto XVI nel 2006 lo mise sotto processo, ma poi interruppe le udienze, con la scusa dell’età avanzata dell’accusato, invitandolo ad una vita di preghiera e penitenza. Così non furono scoperchiate le coperture che l’indagato aveva goduto nella Curia romana. D’altronde, è stato dimostrato che la pedofilia del clero esisteva… anche a metà del XX secolo, ben prima del ‘68, seppure occultata!

Comunque, la pedofilia appare il pretesto dell’ex pontefice per contrapporsi all’interpretazione troppo “aperta” e “disinvolta” che Francesco fa del Concilio Vaticano II; pur a parole incensando Bergoglio. Su secolarizzazione, laicità, denuncia dei peccati, storicizzazione della dottrina, ministeri femminili il papa e l’ex papa hanno consonanze, ma anche dissonanze. Dissonanze a Ratzinger assai spiacenti.

Egli ha deciso da solo la sua clamorosa uscita pubblica? O forse cordate teologiche e cardinalizie anti-Francesco lo hanno spronato e aiutato? Come che sia – basti vedere l’esultanza degli ambienti cattolici “conservatori”, il disagio di quelli “progressisti”, e gli equilibrismi dei “moderati” che non ammettono discontinuità, su punti importanti, tra il papa emerito e quello regnante – quel testo ha turbato la Chiesa romana.

Se la prudenza è ancora una virtù, Benedetto XVI avrebbe pur dovuto ricordare che il Direttorio per il ministero pastorale dei vescovi nel 2004 afferma(va): «Il vescovo emerito eviterà ogni atteggiamento ed ogni rapporto che potrebbe dare anche solo l’impressione di costituire quasi una autorità parallela a quella del vescovo diocesano» [n. 226].

Se l’ex vescovo di Roma ignora tali normative, così imbarazzando il successore – pur, in merito, paziente e silente – significa che lui, non lontanissimo dall’uscire dalla scena di questo mondo, sente l’urgenza insopprimibile di gridare la sua angoscia, e la mission di gettare la sua ombra sul futuro conclave.

Ma, con la sua “interferenza”, proprio il massimo difensore dell’istituzione papale contribuisce di fatto a indebolirla. Curiosa eterogenesi dei fini.

 

[pubblicato su Confronti 05/2019]

Photo: © Mondarte/Wikimedia Commons

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