di Franca Di Lecce
La strage del 3 ottobre di un anno fa, in cui persero la vita 366 persone, è stata commemorata con diverse iniziative, non solo a Lampedusa ma in numerose città italiane ed europee. Ma Lampedusa, l’isola eternamente sospesa tra isolamento e sovraesposizione mediatica, da periferia ultima ed estrema è diventata ormai il centro del mondo.
E non è un caso se quest’anno la giuria della 14a Mostra internazionale di architettura ha assegnato una menzione speciale a Intermundia, un progetto di ricerca che dà voce alle tragedie di Lampedusa, anche con una installazione che evoca la realtà di chi attraversa i confini del Mediterraneo da Sud a Nord, offrendo al visitatore un’esperienza sensoriale. Il visitatore si trova in una piccola stanza buia e claustrofobica per provare a vivere gli interminabili istanti del naufragio, reso con un suono assordante e una luce improvvisa e accecante.
Editoriali
di Mostafa El Ayoubi
Improvvisamente il mondo ha scoperto il problema «Stato islamico» dell’Iraq, ma in realtà esso era già operativo in Siria dal 2013, quando ha occupato diverse aree del Paese. Quando i jihadisti combattono in Siria sono considerati dei combattenti per la libertà, mentre quando si espandono in Iraq sono considerati dei terroristi. E intanto i mezzi d’informazione contribuiscono ad incrementare il terrore tra l’opinione pubblica internazionale ma non aiutano a inquadrare meglio questo fenomeno.
Il macabro gesto di decapitazione dei tre giornalisti occidentali da parte dei jihadisti dell’Isis, questa estate, documentato da video postati nella rete, ha creato in seno alla comunità internazionale un forte senso di terrore e insicurezza.
A partire da giugno, e nel giro di pochi mesi, lo Stato islamico dell’Iraq e del levante, Isis (sigla inglese per indicare il movimento), rinominato in seguito Stato islamico, è diventato di punto in bianco una grande minaccia per il mondo intero.
L’approccio sensazionalista dei media al fenomeno Daesh – così viene chiamato in arabo questo gruppo jihadista – ha contribuito ad incrementare il terrore tra l’opinione pubblica internazionale.
di Brunetto Salvarani
Tra poche settimane, dal 5 al 19 ottobre 2014, si terrà un’Assemblea generale straordinaria del Sinodo cattolico dei vescovi sul tema «Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione». Banco di prova per nulla secondario per la volontà riformatrice di papa Francesco, e per la sua idea di «decentralizzazione» (come l’ha chiamata nell’esortazione Evangelii gaudium), l’evento rappresenterà anche l’occasione per fare il punto su un argomento – quello della famiglia, appunto – che si presenta oggi delicato quanto pochi altri, ma anche impossibile da trascurare per (tutte) le religioni, nel quadro di un pianeta sempre più globalizzato. Tanto più in un momento storico in cui, come teorizza il sociologo Zygmunt Bauman, si assiste all’evidente tramonto dei legami affettivi duraturi e stabili, e anche l’istituto familiare si trova esposto alle contraddizioni di una società ormai liquida. A suo parere, fondamentalmente, e appare difficile dargli torto, abbiamo perso la capacità di guardare lontano, e si pensa a vivere solo nell’immediato. Una «miopia» che porta a pensare esclusivamente all’oggi, al massimo a domani, ma non oltre; tutto viene sacrificato all’utilità del momento.
di Augusto Cavadi
A chi crede che la corruzione e la rispettiva concussione siano fenomeni recenti, alludendo a «epoche d’oro» in cui tutto ciò non avveniva, il filosofo Cavadi risponde che invece il passato è pieno di esempi che dimostrano il contrario. Ma perché si ruba? Così come Kierkegaard disse che non si è angosciati perché si pecca, ma si pecca perché si è angosciati, in termini laici si potrebbe tradurre che non si è infelici perché si corrompe, e ci si lascia corrompere, ma si sguazza nella corruzione perché si è infelici.
di Augusto Battaglia
Al centro del numero di maggio di Confronti un dossier di 12 pagine sui temi sociali a cura di Rocco Luigi Mangiavillano, con articoli di Augusto Battaglia, Carlo Borzaga, Denita Cepiku, Filippo Giordano, Carlo Guaranì, Giulio Marcon, Edoardo Patriarca, Irene Ranaldi e Gianni Tarquini.
Clicca sulla copertina qui a destra (“Ultimo numero”) per accedere al pdf del dossier.
«Quanto sangue, quanto dolore per arrivare a questa Costituzione! Dietro ad ogni articolo di questa Costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, giovani che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta. «Quindi, quando vi ho detto che questa è una carta morta, no, non è una carta morta, questo è un testamento, un testamento di centomila morti.
Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati, dovunque è morto un Italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lí, o giovani, col pensiero perché lí è nata la nostra Costituzione»
Piero Calamandrei
discorso sulla Costituzione agli studenti di Milano, 1955
di Stefano Fassina, deputato Pd – La politica economica dell’Unione europea e di ogni Stato dell’Unione deve avere come stella polare il lavoro. Il lavoro non può essere più il sotto-prodotto eventuale delle politiche di bilancio. Il problema del lavoro è essenzialmente un problema macro-economico. Poi, di politiche industriali, di contesto produttivo, di modello di impresa e di investimenti in innovazione di processo e di prodotto. Nella fase storica in corso, è anche un problema di redistribuzione dei tempi di lavoro. Il costo del lavoro, le regole del mercato del lavoro e le forme contrattuali possono essere, con soluzioni adeguate, soltanto un complemento. Il Decreto varato dal governo Renzi va cambiato in Parlamento. Nella versione presentata, è l’ennesimo intervento di svalutazione del lavoro, data l’impraticabile svalutazione della moneta, per tentare una impossibile competizione di costo all’inseguimento delle esportazioni.
di Felice Mill Colorni – Quasi a tutti, anche a chi non apprezzava il Presidente Nipote, la sostituzione di Renzi a Letta è sembrata, se non altro per le modalità, un’inutile e gratuita manifestazione di brutalità e di incontinenza, spiegabile più con gli strumenti dell’analisi psicologica e caratteriale che con quelli dell’analisi politica. L’inizio non cessa di essere pessimo…
di Maurizio Landini – Sono tre milioni i disoccupati «ufficiali», cioè coloro che al momento non svolgono alcun lavoro ma sono in cerca di occupazione. A questa cifra, già di per sé preoccupante, vanno sommati altri tre milioni di cittadini, anch’essi senza lavoro, che – magari dopo anni di ricerche – hanno addirittura rinunciato alla speranza.
Come spiega a Confronti il segretario generale della Fiom-Cgil, «questo non è solo il risultato della grande crisi economica degli ultimi anni, ma soprattutto il prodotto delle ragioni che l’hanno determinata e l’esito di come è stata gestita».
di Adriano Gizzi e Daniela Mazzarella – Il 14 gennaio scorso, presso il Jewish Community Center di via Balbo a Roma, si sarebbe dovuto tenere un dibattito in occasione della presentazione del libro di Fabio Nicolucci «Sinistra e Israele. La frontiera morale dell’Occidente». Come si leggeva chiaramente nella locandina che pubblicizzava l’incontro (che anche Confronti ha contribuito a diffondere) erano previsti gli interventi di Lucio Caracciolo (direttore di Limes), Emanuele Fiano (deputato del Pd e segretario di Sinistra per Israele), Lucia Annunziata (direttrice Huffington Post Italia), Tobia Zevi (dell’associazione di cultura ebraica Hans Jonas), Giorgio Gomel (rappresentante di JCall Italia, il gruppo italiano del movimento «European jewish call for reason», nonché collaboratore del nostro mensile) e naturalmente dell’autore del libro.
Abbiamo scritto «si sarebbe dovuto», perché in realtà un vero dibattito non c’è stato. La sala era strapiena e almeno 150 persone erano lì per ascoltare civilmente e democraticamente le opinioni di tutti i relatori, ma un gruppo organizzato (una trentina di persone) ha deciso che non potessero prendere la parola né Gomel né Zevi, che tra l’altro erano proprio gli organizzatori della presentazione.