di Enrico Campofreda. Giornalista e scrittore Nel sorriso incredulo seppure gioioso di Patrick Zaki e nello smarrimento non privo di determinazione di…
Al Sisi
di Mostafa El Ayoubi
Quando il 3 luglio 2013 l’islamista Mohamed Morsi, eletto presidente dell’Egitto nel giugno 2012, è stato deposto per mano di Abdel Fattah al Sisi, capo delle forze armate, ministro della Difesa (e attuale vice primo ministro), non tutti gli osservatori erano d’accordo nel definire quell’operazione un colpo di stato militare. Secondo la narrazione ufficiale, la rimozione di Morsi è stata voluta da 30 milioni di egiziani scesi in piazza il 30 giugno 2013 e il Consiglio supremo delle forze armate (Csfa) è intervenuto in nome del popolo e della democrazia. In realtà è stato l’esercito a strumentalizzare la piazza per riprendere il potere che aveva ceduto per un anno agli islamisti. Infatti il generale al Sisi – che di fatto gestisce l’attuale fase di transizione – si è ufficialmente candidato nel marzo scorso, dopo aver lasciato il suo incarico di capo del Csfa, alle elezioni presidenziali del 26-27 maggio prossimo. E salvo clamorosi colpi di scena l’ex generale verrà incoronato a giugno come nuovo rais dell’Egitto. In questo paese, avere al vertice dello Stato un militare è una tradizione iniziata nel 1952, anno in cui l’esercito con un colpo di Stato strappò il potere al monarca Farouk.