Sei estati dopo il sequestro della più grande fabbrica italiana perché secondo i magistrati di Taranto: “produceva malattie e morte”, cosa è cambiato all’Ilva. Sette operai morti sul lavoro, centinaia di persone che ogni anno continuano ad ammalarsi nei quartieri vicini alla fabbrica. Un processo per disastro ambientale tuttora in corso, dodici decreti di legge, decine e decine di tavoli ministeriali. L’ultimo vertice, forse decisivo, tra i sindacati metalmeccanici, il ministero dello sviluppo economico e la multinazionale Arcelor Mittal, che si era aggiudicata a giugno scorso la gara per rilevare la fabbrica, bandita dal ministro precedente Carlo Calenda, si è concluso qualche giorno fa.
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Capri espiatori e galline dalle uova d’oro: perché la destra è vincente sull’immigrazione
Nella campagna elettorale del 4 marzo 2018 l’immigrazione si è confermata un tema strategico per l’identità politica dei competitor e per gli esiti stessi della competizione. Presentata dai mass media prevalentemente come una minaccia (e non eventualmente come un rischio, cioè un processo portatore sia di costi sia di benefici), l’immigrazione è passata da “capro espiatorio” di tensioni e disagi di carattere sia specifico sia generale a “gallina dalle uova d’oro” sul piano del consenso elettorale. Anziché biasimare il cinismo degli attori politici e mediatici che colpevolizzano gli immigrati, l’articolo si propone di analizzare il perché in questo ambito essi registrino un costante successo, individuandolo nel divario tra i due livelli, macro/micro, nell’esperienza e nelle conoscenze della maggioranza dei cittadini.
di Biagio de Giovanni (filosofo, già parlamentare europeo e professore emerito di Filosofia politica all’Università Orientale di Napoli)
Dopo il referendum e la formazione del nuovo governo, l’Italia mostra ancora un quadro politico di grande incertezza.
di Adriano Gizzi
Come si suol dire, se la canta e se la suona: prima fa di tutto per personalizzare il referendum costituzionale, in cerca di un plebiscito che lo rafforzi, poi – avendo capito che è proprio la personalizzazione a mobilitare i suoi avversari – si pente e fa appello a «guardare ai contenuti della riforma». Infine, bocciato dagli elettori, si dimette accusandoli implicitamente di aver messo a rischio la stabilità del paese facendo cadere il governo.
di Antonio Sciotto (giornalista della redazione Economia e lavoro de “il manifesto”)
Non tutti lavorano meglio al tempo del Jobs act: se da un lato nel primo anno di applicazione della nuova legge si sono registrati nuovi contratti a tempo indeterminato e stabilizzazioni, come sottolinea il governo, dall’altro però si sono moltiplicate le occasioni di precarietà e impoverite le tutele. Un esempio per tutti: il boom dei voucher, una vera e propria esplosione, visto che dai 36 milioni del 2013 si è passati a 115 milioni nel 2015. Questo perché i buoni per il lavoro a chiamata – una sorta di ticket che retribuisce le singole prestazioni – sono stati liberalizzati e quindi trovano ormai le più svariate applicazioni, soprattutto nel terziario.
Le stesse assunzioni a tempo indeterminato – peraltro senza più l’articolo 18 come deterrente contro il licenziamento ingiustificato – sono state incentivate con sgravi molto generosi: 8000 euro per ogni neo-assunto nel 2015, che però scendono a poco più di 3mila per le imprese che attivano un contratto quest’anno. Molti analisti parlano di un “mercato drogato”: finiti gli incentivi (durano tre anni) si teme che potrebbe seguire una valanga di licenziamenti.
di Pippo Civati
La vicenda che riguarda il Portogallo è un fatto politico senza precedenti per l’Europa. Un governo di coalizione di sinistra – che avrebbe i numeri sufficienti per governare – trova un presidente della Repubblica indisponibile alla sua formazione, nonostante appunto abbia i numeri in Parlamento (qualcuno ha parlato di «Napolitaño», ma come è noto l’argomento dei numeri, che peraltro allora contestai, quando Bersani chiese di poter andare alle Camere rappresentava un argomento reale: in Portogallo nemmeno quello).
Non sono bastate nemmeno le rassicurazioni di una parte della coalizione di sinistra (favorevole all’uscita dall’euro e dalla Nato) che avrebbe rinunciato ad alcune parti del suo programma proprio per poter formare un governo. Ci si è voltati dall’altra parte, per mantenere un rapporto sereno con l’Europa e soprattutto con i mercati. Larghe intese a prescindere, dal voto dei cittadini e dalla proporzione dei numeri. Uno si domanda a che cosa serva indire libere elezioni, se il risultato libero non è.
Appello a Renzi: accogliere i migranti e scongiurare il fallimento della Grecia
La 23ma Assemblea generale del Cilap Eapn Italia (Collegamento italiano lotta povertà – European Anti Poverty Network) si appella al presidente del Consiglio Renzi, all’Alto Rappresentante della Politica estera europea Mogherini e a tutti i capi di Governo europei, affinché vengano attuate al più presto tutte le misure necessarie per fermare le stragi nel Mediterraneo, costruendo una politica estera comune riguardante l’accoglienza. Si chiede con urgenza un cambio radicale dell’attuale politica economica europea, gestita dallo strapotere dei mercati finanziari, per scongiurare il fallimento della Grecia.
Roma, 22 giugno 2015 – L’Europa è a rischio di chiusura. Gli egoismi degli Stati nazionali, il respingimento dei migranti alle frontiere, le politiche economiche restrittive di austerità, lo smantellamento del welfare, la perdita del lavoro e l’aumento della povertà sono le facce più drammatiche di questa crisi che rischia di smantellare quanto abbiamo costruito in tutti questi anni per avere un’Europa unita.
di Vincenzo Vita
(già senatore del Partito democratico, nell’ultima legislatura Vita ha fatto parte della commissione di vigilanza Rai e si occupa da sempre di comunicazione e internet)
Il progetto di riforma radiotelevisiva di Renzi è una vera e propria controriforma: un passo indietro di quarant’anni, a prima della legge del 1975 che riformò davvero la Rai. Poi la ricerca del pluralismo degenerò nella lottizzazione, ma l’attuale progetto non affronta questo problema. Si vorrebbe una Rai sotto l’egida del «Partito della Nazione».
«Verrà un giorno…», diceva ne I promessi sposi Fra Cristoforo. E chissà se verrà mai un giorno in cui la questione della Rai assurgerà al rango di grande vicenda industriale, tecnologica e culturale. Già, perché – come sottolineò lucidamente Raymond Williams nel 1974 – la (radio)televisione è tecnologia e forma culturale. Tuttavia, speranze e profezie non trovano spazio nella concreta discussione in corso. Il disegno del governo Renzi è molto, molto di meno. Per riprendere la «leggerezza» di Calvino, si tratta di «sottrarre peso» ad annunci e descrizioni, separando la sostanza dall’accidente: il poco che rimane è limitato e terribile. Il baricentro del testo è di fatto uno solo: la conquista da parte dell’esecutivo della romana cittadella di viale Mazzini. Una vera e propria controriforma. Un grottesco (oltre che pericoloso) viaggio a ritroso nel tempo: si spostano indietro i calendari di quarant’anni.
di Corradino Mineo, senatore del Pd – Il problema di Renzi non è Renzi, sono gli altri. Si è affermato, come politico puro, grazie alla debordante volontà di potenza e dopo che i maestri della politica, i professionisti presunti di quel mestiere, uno dopo l’altro s’erano gettati giù dalla torre. Il «rottamatore» ha dato solo l’ultima spintarella. Molto di più hanno fatto Beppe Grillo, sputtanando l’opposizione inconcludente al ventennio di Berlusconi, e Giorgio Napolitano prima ricorrendo al governo dei tecnici e mostrando con che povera creta fosse impastata la «riserva della Repubblica», poi ostinandosi a proporre un governo costituente con Berlusconi, sovrapponendo alla palude le «larghe intese della Casta».
Così è arrivato sul proscenio il piè veloce, non scordiamolo. Ma cosa c’è dietro Renzi: il nulla sotto vuoto spinto, come pretende Maurizio Crozza? Vediamo. Ha accompagnato il Pd dentro il socialismo europeo ma sarebbe dura definirlo socialista. Né democristiano: gli manca il pensiero lungo di Moro, il senso dello Stato di Scalfaro, quello della mediazione di Prodi. La sera in cui vinse le primarie, Renzi chiamò l’Italia «la bella addormentata». Bella, per natura e cultura, ma dormiente, incapace di scuotersi dal torpore, e di scrollarsi di dosso le piattole che la tormentano.
di Stefano Fassina, deputato Pd – La politica economica dell’Unione europea e di ogni Stato dell’Unione deve avere come stella polare il lavoro. Il lavoro non può essere più il sotto-prodotto eventuale delle politiche di bilancio. Il problema del lavoro è essenzialmente un problema macro-economico. Poi, di politiche industriali, di contesto produttivo, di modello di impresa e di investimenti in innovazione di processo e di prodotto. Nella fase storica in corso, è anche un problema di redistribuzione dei tempi di lavoro. Il costo del lavoro, le regole del mercato del lavoro e le forme contrattuali possono essere, con soluzioni adeguate, soltanto un complemento. Il Decreto varato dal governo Renzi va cambiato in Parlamento. Nella versione presentata, è l’ennesimo intervento di svalutazione del lavoro, data l’impraticabile svalutazione della moneta, per tentare una impossibile competizione di costo all’inseguimento delle esportazioni.