Home Politica Battere Berlusconi, ma non «con i suoi mezzi»

Battere Berlusconi, ma non «con i suoi mezzi»

di redazione

Il regime mediatico di cui il presidente del Consiglio è espressione non lo si batte utilizzando lo stesso linguaggio, le stesse urla, le stesse modalità politiche e comunicative che hanno segnato la stagione della destra del conflitto di interessi, ma occorre tentare di mettere in rete le diverse identità che non intendono accettare la «reductio ad unum», o meglio la subalternità a questo pensiero unico.

L’autore è portavoce dell’associazione Articolo 21 ed è stato eletto deputato come indipendente nelle liste dell’Italia dei valori.

Si può parlare di regime mediatico per definire la situazione italiana? Per anni i cosiddetti benpensanti, anche qualcuno che si definiva di sinistra, hanno respinto con orrore e sdegno questa espressione ritenendola una manifestazione di estremismo, una sorta di variante moderna di quel radicalismo infantile tanto inviso al vecchio Lenin. Purtroppo questi presunti saggi avevano torto e il loro difetto stava e sta nella incapacità di leggere la novità e la modernità, sia pure negativa, che ha segnato l’esperienza berlusconiana.

Il regime mediatico consiste nell’intreccio terribile che si è determinato tra la proprietà dei media, gli affari e il diretto controllo del governo. Attraverso questa commistione, chiamata conflitto di interessi, una sola persona ha riunito in sé funzioni che il pensiero liberale classico aveva tenute distinte per impedire che dall’assetto democratico si passasse ad una sorta di regime oligarchico dove controllore e controllato tendono a coincidere annullando la funzione dei poteri di controllo.

Questa pulsione ha sempre attraversato la storia nazionale, trovando la più compiuta definizione nel progetto della loggia P2 e nel progetto di rinascita nazionale ispirato da Licio Gelli, non a caso tornato in circolazione e giustamente orgoglioso di veder concretizzato l’antico sogno. Fantapolitica? Cattiverie di golpisti per male, come direbbe il ministro Brunetta? Proviamo ad analizzare i fatti.

In quel progetto viene teorizzato l’avvilimento delle Camere e della funzione legislativa.

Da circa un anno questa solidissima maggioranza usa il voto di fiducia come uno strumento ordinario per aggirare la libera discussione e il libero voto.

Quanto alla funzione giudiziaria, non passa giornata che il servizio d’ordine del presidente imputato non scagli quintali di fango contro i magistrati, contro il Consiglio superiore della magistratura, contro la Corte costituzionale. Dal momento che non riescono ad acquistarli in blocco, tentano la strada della delegittimazione, della calunnia, della riduzione della autonomia dei giudici attraverso provvedimenti come quello sulle intercettazioni che puntano in modo esplicito a impedire un serio controllo di legalità, come hanno scritto e denunciato tutte le componenti della magistratura senza eccezione alcuna, altro che le toghe rosse!

Il terzo pilastro del progetto di Gelli – ma guarda che combinazione – reclamava il dissolvimento della Rai, la creazione di un polo unico e il controllo progressivo delle risorse pubblicitarie.

Cosa sta accadendo? Il «polo RaiSet» è ormai una realtà, gli editori e i giornali ancora non allineati vengono minacciati, il diritto di cronaca è sottoposto a continui colpi di piccone, il presidente del Consiglio è arrivato anche ad invitare gli industriali, restati in rispettoso silenzio, a non investire più nei giornali a lui ostili, quelli che ancora si ostinano a dare dell’Italia un’immagine falsa e distorta. Sembra di risentire il ministro Scelba quando negli anni Sessanta tuonava contro quel «culturame» che osava raccontare i mali d’Italia, invece di magnificare le sorti del regime; non a caso il ministro Brunetta, sempre lui, ha usato la stessa espressione quando ha invitato il suo collega Bondi a non dare più contributi a quei film e a quegli spettacoli che sporcano l’immagine di questa bella Italia che questi signori vorrebbero popolata solo da tronisti, veline e grandi fratelli.

Nulla di nuovo sotto il sole dunque? Sarebbe grave il solo pensarlo.

La brutalità è quella di sempre, ma questa volta va aggiunta anche la disperazione e dunque la pericolosità di un vecchio leader che si sente braccato e agli ultimi fuochi.

Berlusconi è un piccolissimo statista, ma conosce come pochi altri le modalità d’uso delle armi mediatiche combinate con il controllo della politica e degli apparati di sicurezza. Prima di passare la mano le tenterà tutte, ma proprio tutte. Se qualcuno avesse ancora dei dubbi potrebbe chiedere spiegazioni all’ex direttore dell’Avvenire Dino Boffo o al presidente della Camera Gianfranco Fini, passati nel giro di poche settimane dal ruolo di alleati affidabili a quello di pericolosi avversari, ai quali riservare un rude «massaggio mediatico»; e non solo mediatico…

Eppure c’è qualcosa di più e di più grave. Nel 2002 fu preparata una lista di proscrizione, detta editto bulgaro, che conteneva i nomi di alcuni giornalisti e autori, da Biagi a Santoro, da Luttazzi a Travaglio, che non piacevano al sovrano. Questi signori dovevano essere colpiti in modo esemplare per intimidire tutti gli altri, insomma una sorta di «punirne uno per educarne cento».

Questa volta il progetto è assai più ambizioso. Certo, restano i nemici di sempre: Santoro, Travaglio, Gabanelli, Rai3, il Tg3, Fabio Fazio, Ballarò… ma a questi si aggiungono quanti, anche in modo mite e moderato, si permettono di toccare temi considerati sgraditi, quelli – per usare le sue parole – che fanno venire l’ansia al presidente perché parlano di un’Italia che non ce la fa, che protesta, che fatica ad arrivare alla terza settimana, che reclama scuole e ospedali pubblici efficienti e che si oppone alla macelleria sociale.

In questo elenco possono terminare soggetti e movimenti lontanissimi dalla sinistra ma che, proprio per questo, non devono osare contrastare l’ordine costituito e lo spot unico di regime.

Così nel mirino sono finiti i vescovi quando hanno osato definire il reato di clandestinità «il peccato originale», Dino Boffo per qualche tardivo buffetto sulla questione morale, i sindacati di polizia perché hanno avuto da ridire sulle ronde in camicia verde, per non parlare di Famiglia cristiana che per aver dedicato alcune inchieste alla povertà e alle mense della Caritas si è vista bersagliata da ogni tipo di infamia. Questi esempi dovrebbero essere sufficienti per comprendere come, in questo contesto, il nemico non coincida più con il «rosso sovversivo», secondo la tradizionale retorica berlusconiana, ma coincida con la nozione stessa di diversità, di pluralismo politico, sociale, religioso persino. Chiunque può terminare nella lista di proscrizione se solo si ostina a frequentare mondi e soggetti sociali che, per la loro stessa esistenza, diventano incompatibili con le ragioni della propaganda. Dal video dovranno essere espulsi tutti quei temi che possono creare imbarazzo: dall’immigrazione alle conseguenti e durissime critiche degli organismi internazionali, dalla crisi economica e sociale al fallimento delle politiche interventiste decise da Bush e condivise da Berlusconi; se qualcosa dovesse proprio sfuggire sarà compito dei direttori di famiglia provvedere o all’espulsione dall’universo della rappresentazione o alla demonizzazione del soggetto o del movimento «deviato e deviante», per usare l’espressione adoperata da Berlusconi per bollare giornali come la Repubblica el’Unità.

Questa strategia, niente affatto banale e carica di insidie per lo stesso ordinamento democratico, ha un solo limite e consiste nella pretesa-necessità di annullare la realtà fattuale, di imporre la finzione come modo di essere e come unica percezione possibile dell’esistente.
Non si tratta di un’operazione semplicissima, neppure per il padrone di un immenso patrimonio mediatico e affaristico. Molti indicatori stanno a testimoniare che il grande bluff comincerebbe a mostrare la corda, non a caso il malessere sociale, sia pure in forme contraddittorie e non sempre lineari, sta tornando a manifestarsi sotto forma di proteste autogestite e auto-organizzate.

Chiunque voglia davvero contrastare Berlusconi e soprattutto il berlusconismo, che tanti guasti ha già prodotto anche tra i suoi oppositori, dovrebbe ripartire da qui e tentare di mettere in rete le diverse identità che non intendono accettare la «reductio ad unum», o meglio la subalternità ad un pensiero unico omologato e omologante.

Il regime mediatico – che esiste, come abbiamo cercato di dimostrare – non lo si batte utilizzando lo stesso linguaggio, le stesse urla, le stesse modalità politiche e comunicative che hanno segnato la stagione della destra del conflitto di interessi. Al contrario, occorre la capacità di contrapporre al narcisismo di sé, all’esibizione del potere, alla celebrazione della politica politicante, la centralità della questione sociale, la visibilità di chi è stato cancellato, la capacità, come cerca di fare da sempre questa rivista e le realtà che la esprimono, di mettere anche il proprio ego in rete, di realizzare comunità e condivisione senza rinunciare alla propria libertà, alla laicità, al diritto-dovere di non tacere.

Giuseppe Giulietti

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