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Il mondo a Copenhagen: un’occasione persa

by redazione

Come sottolinea il presidente nazionale di Legambiente, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che si è tenuta a dicembre nella capitale danese è stata deludente per gli ambientalisti perché ha visto prevalere gli interessi nazionali, che hanno impedito di arrivare ad individuare obiettivi vincolanti per tutti.

Impegni volontari e su base nazionale, senza verifica né scadenze. Il vertice si chiude con un accordo che delude le speranze del mondo. I cambiamenti climatici però non si fermano. E nemmeno il processo per un trattato vincolante.
La più importante, partecipata, disorganizzata conferenza delle Nazioni Unite non è riuscita a dare al mondo la risposta che si aspettava per fermare i cambiamenti climatici. Dopo due settimane di discussione, con l’intervento di 120 tra capi di Stato e di governo, la distanza tra le posizioni dei diversi paesi si è rivelata alla fine incolmabile sui punti più delicati della trattativa.

E solo nelle ultime ore si è scongiurata una rottura completa delle trattative che avrebbe riportato la discussione indietro di 20 anni. L’accordo uscito dal vertice non è la risposta che serve alla crisi climatica. Nonostante i frenetici incontri dell’ultima notte, gli interessi nazionali hanno prevalso e hanno impedito di arrivare ad individuare obiettivi vincolanti: anche se differenziati tra paesi sviluppati, paesi di recente industrializzazione e paesi poveri, gli impegni di riduzione sono solo volontari e su base nazionale. E anche l’altro grande terreno di trattativa, sui metodi di controllo e verifica delle riduzioni, è rinviato come le scadenze precise per la sottoscrizione di un trattato internazionale.

Eppure mai il mondo era stato così vicino a un accordo internazionale che avrebbe permesso di superare il Protocollo di Kyoto nel fissare nuovi e più ambiziosi obiettivi per tutti i paesi e nel sostegno finanziario agli interventi di mitigazione e adattamento nei paesi poveri sia nel breve che nel medio periodo. Tutte queste decisioni sono rinviate, si spera ai prossimi vertici di Bonn a giugno e di Città del Messico a dicembre, con la speranza di affrontare e risolvere finalmente i punti più delicati. Nel frattempo però il cambiamento climatico non si ferma, anzi obbliga a lavorare con ancora maggiore impegno per arrivare finalmente a un accordo vincolante che spinga le soluzioni capaci di dare risposte per i cittadini delle diverse parti del pianeta.

Ma la Conferenza di Copenhagen sarà ricordata anche per altri due motivi. Il primo è il salto di scala delle questioni ambientali. Attraverso la chiave del clima sono state come mai nella storia al centro dell’agenda politica internazionale, con un dibattito che ha visto tutti i governi presentarsi alla Conferenza con obiettivi e politiche nazionali per la riduzione delle emissioni. Fino al punto che è emerso con chiarezza che oggi si tratta di mettere in campo una nuova idea di sovranità nazionale, capace di andare, su alcune questioni di interesse globale, oltre la ristrettezza dei confini nazionali; e anche su questo l’Europa ha qualche carta da giocare, vista la nuova realtà politico-istituzionale che sta cercando faticosamente di costruire. Il secondo è la straordinaria partecipazione della società civile internazionale alla Conferenza: oltre 35mila persone che hanno raggiunto la capitale danese, una variegata partecipazione di organizzazioni ambientaliste e sociali dalle più diverse parti del mondo che hanno promosso centinaia di appuntamenti e iniziative, e che però sono state tenute – proprio negli ultimi e più decisivi giorni – fuori dal vertice. Tanto che comunque possiamo dire che questa è davvero una grande novità che potrebbe rilanciare il movimento new global.

Dobbiamo ripartire da qui, come Legambiente, per guardare alla situazione italiana, per capire come far uscire il nostro paese dall’incredibile isolamento nel modo in cui elude la questione climatica, confermato anche dall’atteggiamento avuto dal Governo durante il vertice. Per farlo dovremo lavorare con ancora maggiore impegno per mostrare come questa direzione di rotta sia nell’interesse dell’Italia e dei suoi cittadini, oltre che un’occasione per promuovere un cambiamento che può aiutarci a uscire dalla crisi e guardare con più ottimismo al futuro.

Sono moltissime le occasioni, le iniziative, gli appuntamenti che dobbiamo mettere in campo per continuare a combattere i mutamenti climatici, fare pressione sulla politica, informare i cittadini, sensibilizzare imprese e istituzioni. A cominciare dalle prossime urgenti scadenze: l’approvazione delle linee guida nazionali per le rinnovabili, la definizione, Regione per Regione, delle riduzioni di CO2 come deciso dalla Finanziaria del 2007, e infine la scadenza di giugno 2010 entro la quale l’Italia, insieme agli altri paesi europei, dovrà definire il piano d’azione nazionale per rientrare negli obiettivi del 20-20-20 [20% di fonti rinnovabili, 20% di risparmio energetico e 20% di riduzione delle emissioni di CO2 entro il 2020, ndr], decisione europea che comunque rimane attiva e vincolante.

Vittorio Cogliati Dezza

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