Secondo il ministro degli Esteri di Israele, «l’Autorità palestinese non può sopravvivere senza il sostegno israeliano, e noi le diamo aiuto, anche adesso. La vera minaccia per Israele, ma anche per la stessa Autorità palestinese, sono Hamas e il Jihad (…). Israele è una scusa che i leader arabi usano per incitare le folle arabe contro questo paese e così distrarle dai loro problemi interni». Ma gli israeliani non sono tutti con il governo: lo testimoniano alcune voci raccolte durante il viaggio di Confronti a Capodanno (e del quale riferiremo nel prossimo numero).
E in Israele, che si dice del «Gaza affair»? Il governo in carica, e quello precedente (che aveva ordinato l’attacco) hanno sempre difeso la legittimità morale politica di «Piombo fuso» e, in generale, della politica adottata verso i palestinesi; gran parte dell’opinione pubblica ha dimostrato di condividere gli stessi sentimenti, ma ci sono state, e ci sono, importanti eccezioni.
Il ministro degli Esteri israeliano, Avigdor Lieberman, l’11 novembre 2009 ha visitato l’Olanda. Quando s’è recato in un hotel di Amsterdam per pronunciare un discorso, un piccolo gruppo di dimostranti, accusando lui e il suo partito Yisrael Beiteinu (Israele nostra patria – russofono, di destra) di essere razzista, innalzavano cartelli con scritto «Lieberman=Doberman». Incurante di tali proteste, il ministro ha pronunciato un discorso del quale qui citiamo alcuni passaggi.
«Permettete che esponga il mio punto di vista sui problemi del Medio Oriente. Vi è un equivoco su questo conflitto: noi non ce l’abbiamo con il popolo palestinese; ce l’abbiamo con gli estremisti palestinesi: questo è il vero scontro che abbiamo. Recentemente Tony Blair [ex premier britannico] ha visitato Jenin [nord della Cisgiordania], ed è rimasto sorpreso dai progressi là compiuti dall’ultima intifada: ricostruzioni, crescita economica, meno posti di blocco. Voglio essere chiaro: l’Autorità palestinese non può sopravvivere senza il sostegno israeliano, e noi le diamo aiuto, anche adesso. La vera minaccia per Israele, ma anche per la stessa Autorità palestinese, sono Hamas e il Jihad. È l’islam radicale che sta combattendo questa guerra, e Israele è sulla prima linea del fronte».
«Vi è un altro equivoco su questo conflitto. La guerra non è a proposito del territorio, ma sull’ideologia e sulle idee. E sul Jihad che lotta contro il mondo libero. Quando i talebani distrussero le statue di Buddha in Afghanistan, nessun leader musulmano espresse rammarico. Ma quando in Danimarca furono pubblicate vignette contro Muhammad, tutti i leader musulmani condannarono la pubblicazione. Dunque, Israele è una scusa che i leader arabi usano per incitare le folle arabe contro Israele e così distrarle dai loro problemi interni. Siria, Libano, Algeria, Marocco, Egitto, Iraq, Iran… tutti questi paesi hanno conflitti interni con le rispettive minoranze. Se lo traducete in numeri, vedrete che il conflitto israelo-palestinese riguarda solo il due per cento di tutti i problemi e conflitti del mondo arabo. Vi sono solo due accordi di pace in Medio Oriente: uno tra Egitto e Israele, e l’altro tra Giordania e Israele. Dunque, è possibile avere pace, ma non ci sono soluzioni magiche in un mondo pieno di conflitti».
«Penso che l’Iran sia il più grande problema e la più grande minaccia in Medio Oriente: e non solo verso Israele, ma verso il mondo intero, se gli iraniani riescono ad avere possibilità nucleari. E ciò provocherebbe una corsa nucleare in Medio Oriente, perché per paesi come l’Iraq e l’Arabia Saudita sarebbe inaccettabile che l’Iran avesse capacità nucleari… L’Iran sta esportando l’idea rivoluzionaria nel mondo, ed è coinvolto con il Jihad iracheno, con gli Hezbollah [in Libano] e con Hamas…».
«E che dire delle nostre relazioni con i palestinesi? Il nostro punto di vista è: accettiamo la soluzione dei due Stati, se questa porta alla pace. Siamo pronti a negoziati diretti con i palestinesi, senza precondizioni. E che risponde l’Autorità palestinese? Vuole la pace, ma ogni giorno pone nuove precondizioni… Mahmud Abbas non è neppure capace di arrivare ad un’intesa con Hamas, ma intanto attacca Lieberman…».
E, dopo aver elencato tutte le proposte, a suo giudizio assai generose, offerte da Israele a Yasser Arafat prima, e a Mahmud Abbas poi, per giungere alla pace, il ministro ha concluso: «L’Autorità palestinese sta sempre complottando contro Israele. È arduo fare la pace con un simile partner».
Ebrei israeliani contro Netanyahu
Proprio quando ci trovavamo a Gaza, le Idf, per rispondere al lancio di razzi da parte di palestinesi contro città israeliane confinanti (tiri che però non hanno fatto danni di rilievo), hanno colpito la Striscia: tre le vittime, e la distruzione di due tunnel sul confine egiziano e uno sul confine verso Israele. Da parte sua il ministro israeliano della Difesa, Ehud Barak, laburista, ha consigliato ad Hamas di «misurare le sue azioni e di evitare lanci di razzi contro Israele, per non dover versare lacrime di coccodrillo quando dovremo agire». E, di rincalzo, un portavoce delle Idf: «Non tollereremo i lanci di razzi contro Israele e li neutralizzeremo implacabilmente, così come abbiamo già fatto».
Malgrado queste tensioni, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ribadito la sua volontà di riprendere al più presto le trattative con Abbas: «Noi siamo pronti, e senza precondizioni». Una delle precondizioni poste dal presidente palestinese è che il governo israeliano congeli anche l’ampliamento dei quartieri ebraici (insediamenti, secondo i palestinesi) a Gerusalemme-Est; cosa che il premier ha rifiutato di fare, e a fine dicembre ha annunciato la costruzione – nonostante il netto dissenso della Casa Bianca – di settecento nuove case in quella parte della città occupata da Israele nel 1967.
Ma le voci non sono sempre univoche da parte degli ebrei israeliani; Meytal, lavora in un’organizzazione per il dialogo tra israeliani e arabi di Israele. Ci dice: «Le cose sarebbero andate molto diversamente se da 62 anni a questa parte avessimo avuto un primo ministro, uno solo, che avesse chiesto scusa ai palestinesi per quello che abbiamo fatto loro nel 1948. Ritengo che il governo israeliano debba trattare con Hamas: il Movimento di resistenza islamico nella striscia di Gaza ha infatti vinto democraticamente; il nostro governo deve certamente difendere i confini di Israele ma, nel contempo, dovrebbe anche trattare con Hamas».
Da parte sua Roni, che ha lavorato nei servizi segreti israeliani e nella polizia, quando ha capito che non combatteva contro i palestinesi per difendere Israele ma solo per rafforzare il potere dello Stato israeliano, ha lasciato tutto e si è unito all’organizzazione «Combatants for peace», che riunisce israeliani e palestinesi che nel passato si sono combattuti: per lo più soldati israeliani che hanno operato nei Territori occupati, e poi palestinesi che hanno partecipato ad azioni contro Israele. Roni ci dice: «L’attacco a Gaza è stato inutile: noi non abbiamo riavuto Gilad Shalit [il soldato sequestrato da uomini di Hamas nel giugno 2006], e i razzi dalla Striscia continuano a colpire le nostre città. L’unica conseguenza dell’attacco a Gaza è stata la morte di 1400 palestinesi; ma, quello che è più grave, è che la società civile israeliana oggi ha un grosso problema e dopo la strage di Gaza non può fare a meno di guardarsi allo specchio e di avere paura. Circa la sicurezza di Israele – conclude Roni – ho lavorato in questo campo, e so bene di che cosa si tratta. Ma l’occupazione israeliana dei Territori non serve: i fatti, d’altra parte, ci hanno dimostrato che, pur occupandoli, non siamo affatto più sicuri».
Lucia Cuocci e David Gabrielli