«È opinione diffusa che probabilmente papa Pio XII avrebbe potuto fare di più. Ma per una valutazione storica seria, condivisa e completa, occorre a nostro avviso attendere la possibilità di visionare i documenti contenuti negli archivi vaticani. È un lavoro che dovranno fare gli storici».
Gattegna è presidente dell’Ucei, l’Unione delle comunità ebraiche italiane.
intervista a Renzo Gattegna
Una questione preliminare: molti ambienti ecclesiastici ritengono che nessuno, al di fuori della Chiesa cattolica, possa interferire nella decisione del papa di beatificare o canonizzare una persona. Le riserve di larga parte del mondo ebraico – in Italia, in Israele e nel mondo – alla possibile beatificazione di Pio XII non sono dunque – in linea di principio – passibili di essere respinte dal Vaticano al mittente?
Nel dicembre scorso, con un comunicato congiunto firmato assieme a me dal Rabbino Capo di Roma rav Riccardo Di Segni e dal presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici, abbiamo avuto occasione di esprimere con chiarezza la nostra posizione: «Noi non possiamo in alcun modo interferire su decisioni interne della Chiesa, che riguardano le sue libere espressioni religiose. Se tuttavia la decisione dovesse implicare un giudizio definitivo e unilaterale sull’operato storico di Pio XII, ribadiamo che la nostra valutazione rimane critica».
In sintesi, sappiamo bene che si tratta di un procedimento sul quale non abbiamo alcuna voce in capitolo. Ma si tratta di un atto pubblico, e beatificare vuol dire anche «mostrare ad esempio», dare un giudizio positivo sull’operato di qualcuno. Il comportamento di Pio XII nei confronti degli ebrei durante l’occupazione nazista, a giudizio di molti storici, ha lasciato diverse ombre, per questo sono in molti ad esprimere le proprie riserve.
È per il «silenzio» di Pio XII sulla Shoah che molti ebrei, pur evitando ovviamente di entrare nelle questioni canoniche legate ai processi di beatificazione, ritengono del tutto legittimo esprimere opinioni assai critiche sulla possibile «promozione» di Pio XII?
Sì. È opinione diffusa che probabilmente papa Pio XII avrebbe potuto fare di più. Ma per una valutazione storica seria, condivisa e completa, occorre a nostro avviso attendere la possibilità di visionare i documenti contenuti negli archivi vaticani. È un lavoro che dovranno fare gli storici.
Le gerarchie vaticane – e il 17 gennaio lo ha ribadito Benedetto XVI nella grande sinagoga di Roma – insistono nel ribadire due tesi, strettamente legate: 1) molti cattolici – preti, laici, suore – durante la Seconda guerra mondiale aiutarono molti ebrei, spesso salvandoli da sicura morte, e questo fecero con grande generosità, e anche a rischio della vita; 2) Pacelli scelse la strada di un aiuto discreto proprio perché convinto che, in quelle drammatiche circostanze, quello fosse il modo più opportuno per aiutare gli ebrei e non offrire pretesti di ulteriori ritorsioni a Hitler.
Nella Polonia occupata, per fare un esempio, c’erano oltre due milioni di ebrei: sono stati quasi tutti sterminati, in una carneficina senza precedenti e con la connivenza o il silenzio di parte della popolazione polacca, all’epoca fortemente e violentemente antisemita. In Italia, prima della guerra, vivevano circa 50mila ebrei, e ne furono deportati circa ottomila; certo, in Italia le leggi antiebraiche furono recepite negativamente da buona parte della popolazione. E molti ebrei si salvarono grazie al comportamento, all’aiuto e all’ospitalità di parte del clero cattolico. Trovarono rifugio e protezione presso i singoli cittadini e in tanti conventi, e ciò è stato sempre riconosciuto. Alcuni preti e suore, che per salvare un ebreo hanno messo a rischio la propria vita, sono stati riconosciuti come «Giusti fra le Nazioni», un riconoscimento dato da Yad Va-shem, il memoriale della Shoah di Gerusalemme.
L’aspetto meno chiaro della vicenda è l’atteggiamento complessivo del papa. Perchè non portò avanti i progetti del suo predecessore di una pronuncia pubblica contro il nazismo? Perché non levò la sua voce e non espresse pubblicamente il suo sdegno?
In concreto, quali sono le rassicurazioni che papa Ratzinger vi ha dato durante la sua visita alla sinagoga: quando saranno aperti tutti gli archivi vaticani riguardanti il cardinale Pacelli e papa Pio XII? E, a proposito delle ricerche dei bambini e ragazzi ebrei salvati da istituzioni cattoliche, durante la guerra, ma anche convertiti al cristianesimo, e quindi mai più «restituiti» alla comunità ebraica?
Certo è che la visita alla sinagoga si è svolta in un’atmosfera di amicizia, di franchezza e di sincerità. Abbiamo la certezza che anche gli argomenti più delicati e spinosi potranno essere affrontati e chiariti. Se su qualche tema non si giungerà ad opinioni condivise, il confronto sarà chiaro, sincero e rispettoso delle opinioni altrui. Dialogo vuol dire colloquio, scambio, confronto.
La beatificazione di Pio XII è problema dirimente tale che, se essa fosse attuata, voi interrompereste ogni dialogo con la Santa Sede, oppure tale evento, pure da voi indesiderato, almeno fino a che non siano esaminati tutti gli archivi, sarebbe infine tollerato?
Ebraismo e cristianesimo sono fedi unite inscindibilmente e accomunate dalla comune visione monoteista: esse hanno pari dignità e senza dubbio il cammino verso il futuro avverrà, noi auspichiamo, in comune e nella concordia. Affinché ciò avvenga, occorre chiarezza. Non si possono prevedere ora le future decisioni della Santa Sede su Pio XII, e quindi neppure le nostre eventuali possibili risposte. Il 17 gennaio abbiamo avuto la conferma che su qualche punto, anche importante, non abbiamo la stessa opinione. Ma che sono molti i temi che ci uniscono, e sui quali possiamo e vogliamo continuare a dialogare e a lavorare insieme. Se vogliamo, guardiamo al passato: prendiamo atto di quanto la situazione è cambiata negli ultimi 60 anni e di quanti progressi ha fatto il dialogo tra gli ebrei e la Chiesa cattolica. E cerchiamo di lavorare insieme per il futuro.
(intervista a cura di Gian Mario Gillio)