Il progetto di ritorno al nucleare che la maggioranza di governo vuole a tutti i costi portare a compimento non solo è rischioso dal punto di vista ambientale, ma sarebbe costoso anche sul piano economico. Occorre invece puntare – sottolinea il presidente onorario del Wwf Italia – sul risparmio, sull’efficienza energetica e su un sistema di produzione distribuito dell’energia, soprattutto da fonti rinnovabili.
Il Wwf Italia, a iniziare dal 1973, con la pubblicazione dell’opuscolo «Energia nucleare: morte pulita», si è sempre opposto a questo tipo di fonte energetica che considera pericolosa, dannosa, costosa e non applicabile in un territorio come il nostro.
Cominciamo con la nostra situazione geografica. Abbiamo un paese con una densità di 200 abitanti per chilometro quadrato, essenzialmente montuoso, in gran parte soggetto a fenomeni sismici, con scarsità di acqua, necessaria per il raffreddamento dei reattori, e con una diffusione di abitanti non solamente in grandi città ma anche in migliaia di piccoli centri sparsi in tutto il territorio. Già questo dovrebbe mettere un forte limite alla dislocazione delle centrali, fossero anche accettabili dal punto di vista tecnico ed economico, cosa che, come vedremo, non è.
Prima di tutto la costruzione ex novo dei reattori comporta una spesa molto alta, non controbilanciata da una diminuzione del costo dell’energia stessa. In secondo luogo, checché se ne dica, la pianificazione dell’immagazzinamento delle scorie non è risolta in nessun paese al mondo, neanche negli Stati Uniti dove ancora ci si sta dibattendo su come sistemarle in maniera adeguata. E resta sempre il sospetto che poi vengano smaltite in forma assolutamente illegale, come ci fanno pensare gli strani fenomeni legati ai naufragi sospetti nei mari meridionali.
Terzo fatto: riguarda il concetto, ormai superato, della «grande centrale». La grande centrale – sia essa termoelettrica, sia essa solare, sia essa anche nucleare – è legata a un concetto che va ribaltato. Gli ultimi studi parlano della necessità di realizzare una propagazione delle fonti di energia connessa alla logica del web, diffusa quanto più possibile nella popolazione e non concentrata come nelle attuali centrali, le quali comportano oltretutto grandi spese di trasporto di energia, con perdite lungo la rete. Senza contare che la disponibilità di uranio (oltretutto un minerale che non produciamo) non è infinita e il suo acquisto ci legherebbe a importazioni da altri paesi.
Questo ci introduce nell’argomento della diseconomicità del nucleare. Non siamo noi ambientalisti a sostenerla. Sono le stesse leggi del mercato. Negli Stati Uniti è dagli anni Ottanta che non si costruisce una nuova centrale, per motivi puramente economici e non per l’opposizione dei cittadini. L’uscita di Obama di stanziare miliardi di dollari per far ripartire il programma nucleare americano è la migliore dimostrazione che questo senza sussidi pubblici non può stare in piedi. Così come il fatto che non si pensi di sostituire le centrali che vanno in dismissione. Ad esempio quelle spagnole stanno tutte a poco a poco uscendo dal loro ciclo vitale e non ne sono previste di nuove. Mentre contro le 59 della Francia, che hanno ormai molti decenni di vita, ne è prevista una sola di nuova costruzione.
È importante sottolineare che anche i pochi impianti che oggi sono in costruzione nel mondo non serviranno nemmeno minimamente a compensare quelli che dovranno essere chiusi per obsolescenza.
Ultimamente si è ripreso a parlare di centrali atomiche in Italia in base a una politica più legata a grandi interessi economici che al bene del paese. Come del resto per altri grandi progetti (si veda ad esempio il ponte sullo stretto di Messina), si punta sull’annuncio per poter poi giustificare spese enormi per ricerche e per appalti. E anche se si porta come esempio la Finlandia, vediamo che i costi per la costruzione della centrale di Olkiluoto sono saliti in maniera pazzesca (anche per le nuove richieste di misure di sicurezza, pur se in quel paese vi sono solo 16 abitanti per chilometro quadrato, contro i nostri 200).
Per come è fatta l’Italia, i futuri appalti per la costruzione delle centrali non andranno mai a vantaggio chiaro e trasparente della collettività, ma dei pochi soggetti che pesano molto nell’apparato confindustriale italiano. Puntare invece sul risparmio, sull’efficienza energetica e su un sistema di produzione distribuito dell’energia, soprattutto da fonti rinnovabili, porterebbe un beneficio diffuso, non solo ambientale.
In più, i dati storici – e quindi non quelli forniti dagli ambientalisti – dimostrano che rispetto al budget iniziale previsto si è sistematicamente andati a un raddoppio o a una triplicazione dei costi degli impianti. Un’altra incognita sono anche i costi di gestione delle scorie ad alta radioattività, che hanno tempi di decadimento, e quindi di teorica innocuità, di centinaia di migliaia di anni.
Infine, già oggi l’agenzia di rating Moody’s dichiara in tutti i suoi rapporti che investire sul nucleare è fallimentare. E non si tratta di ambientalisti contrari a priori all’energia atomica.
Se tutte queste ragioni non basteranno a raffreddare (per chi ancora li ha) gli entusiasmi sul nucleare italiano, ci sarà molto da temere per il futuro economico ed energetico del nostro paese.
Fulco Pratesi