Con questo disegno di legge sulle intercettazioni – secondo lo storico Tranfaglia, che è anche responsabile nazionale Cultura dell’Italia dei valori – siamo di fronte al più esplicito tentativo politico e legislativo di un oscuramento pressoché completo dell’opinione pubblica democratica del nostro paese.
L’ultima tegola caduta sul governo Berlusconi è sicuramente la dichiarazione del viceministro alla Giustizia di Obama, Lenny A. Brauer, che ha definito le intercettazioni «uno strumento essenziale per le indagini giudiziarie».
Il problema della libertà di pensiero, stampa e informazione, che trova la sua formulazione principale nell’articolo 21 della Costituzione repubblicana, è di centrale importanza per stabilire se in Italia siamo ancora in uno Stato di diritto e di conseguenza in una democrazia rappresentativa o se il processo di involuzione verso un regime autoritario, e in particolare di populismo autoritario, procede a passi spediti verso la direzione indicata dall’attuale governo.
Ora è difficile negare che l’articolo 21 sia parzialmente abrogato, se si pensa ad alcuni elementi che abbiamo più volte indicato. Non conosciamo, prima di tutto, le fonti di finanziamento di molti tra i mezzi di comunicazione, come l’articolo consente di accertare. Quindi abbiamo il controllo di un’ampia parte, che supera di gran lunga il 50 per cento, del mercato pubblicitario da parte del capo del governo. Lo stesso capo dell’esecutivo controlla direttamente quasi tutti – grazie alla pubblicità e alla proprietà azionaria – i canali televisivi privati e almeno due su tre canali pubblici. Questi ultimi canali televisivi, intendo i privati e i pubblici ovviamente, costituiscono per il 70 per cento degli italiani l’unico accesso all’informazione quotidiana.
Le ultime ricerche accreditate dal punto di vista scientifico parlano di non più del 24 per cento degli italiani come lettori abituali dei giornali quotidiani. E tra questi è noto come i quotidiani più diffusi, dal Corriere della sera al Sole 24 Ore e a La Stampa, si siano schierati, sia pure con distinguo che ora sono in aumento, dalla parte della maggioranza parlamentare e del governo. L’unica eccezione nel nostro paese è costituita dal quotidiano la Repubblica, a cui si accompagnano molti quotidiani con piccole tirature che sono con l’opposizione, a cominciare da Il fatto di Antonio Padellaro e da l’Unità di Concita De Gregorio. In tutto circa 800mila copie, di fronte a oltre 4 milioni di copie di quotidiani schieratisi con molte sfumature al fianco di Berlusconi e del suo governo.
Da questo punto di vista, sentire non soltanto il presidente del Consiglio e i suoi seguaci, ma anche molti giornalisti che si autodefiniscono indipendenti, i quali parlano dell’esistenza di una completa libertà di stampa e di informazione, significa che tutti costoro sono in mala fede o non conoscono (ma mi sembra impossibile) i dati quantitativi di fondo che ho ricordato fino a questo punto.
In questa situazione la legge sulle intercettazioni telefoniche che si sta approvando in Senato, e che il governo vuole far approvare in maniera definitiva entro la fine di giugno, è sempre più grave. Le interviste recenti del senatore Gerardo D’Ambrosio e del già garante della privacy, professor Stefano Rodotà, provano – se ancora ce ne fosse bisogno – che quella legge viola, allo stesso tempo, l’articolo 21 della Costituzione e l’articolo 10 della Convenzione di Nizza sui diritti dell’uomo del 2000 e che l’eventuale ricorso della Federazione nazionale della stampa alla Corte di Strasburgo segnerà di fatto l’abrogazione della legge. Ma un simile esito, che a me sembra ormai sicuro, non può lasciare tranquilli gli italiani. Anzitutto perché, in questo caso, l’immagine dell’Italia, già assai critica in tutta l’Europa, peggiorerà ancora e di molto. E poi perché i tempi dell’abrogazione lasceranno comunque in vigore, anche se per poco, un provvedimento gravemente incostituzionale voluto ad ogni costo dal governo in carica.
Ma ci sarà comunque un elemento politico negativo se la legge arriverà in fondo come, a quanto pare, anche il ministro della Giustizia Alfano vuole ad ogni costo. Se questo avverrà, saremo di nuovo di fronte a un atto palesemente incostituzionale del potere esecutivo malgrado i lamenti dell’opposizione parlamentare e le piccole (per ora) manifestazioni di piazza. E questa sarà non la prima, ma la ennesima dimostrazione del disprezzo che questa maggioranza (con poche eccezioni) e questo governo compatti hanno verso la Costituzione e alcuni dei suoi valori essenziali come una delle più importanti libertà civili, per non parlare dell’eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge, più volte messa in causa prima dal «lodo Alfano» poi abrogato dalla Corte e ora dal «legittimo impedimento» già approvato. È vero che l’Italia dei Valori sta raccogliendo le firme per un referendum popolare sul «legittimo impedimento», ma è il solo partito presente in Parlamento che lo fa e non possiamo sostenere da soli sempre il peso di un lavoro tanto difficile e faticoso, senza che altri partiti più grandi (come il Partito democratico, per non tacere) si mobilitino di fronte a gravi violazioni della Costituzione.
Con questo disegno di legge sulle intercettazioni siamo insomma, per essere chiari, di fronte al più esplicito tentativo politico e legislativo di un oscuramento pressoché completo dell’opinione pubblica democratica del nostro paese. Una conferma ulteriore viene dalle dichiarazioni del procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia, il quale ha esplicitamente dichiarato che, se ci fosse quella legge, non sarebbe stato arrestato il boss mafioso Raccuglia (che, intercettato, aveva esposto il progetto preciso di uccidere il magistrato palermitano).
Nicola Tranfaglia