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Berlushenko: declino o rilancio?

by redazione

Fosse stato per l’opposizione di centro-sinistra, probabilmente Berlusconi sarebbe andato avanti tranquillamente senza ostacoli verso il completamento del suo regime, attraverso lo stravolgimento delle istituzioni. Paradossalmente, dobbiamo alla saturazione dei post-fascisti, fino a ieri fedelissimi alleati del presidente del Consiglio, se si è aperta qualche possibilità di vederlo andare a casa. Nonostante tutto, è ancora molto consistente la fetta di italiani che continuano a considerarlo vittima di una persecuzione giudiziaria e sono disposti a sostenerlo.

Consapevoli che «in politica le previsioni sono quasi sempre fallaci», un anno fa ci chiedevamo se il 2010 sarebbe stato l’«annus horribilissimus», quello in cui B sarebbe stato finalmente in grado di riplasmare le istituzioni a sua immagine, rendendo l’Italia anche formalmente un po’ più simile alla Russia di Putin, alla Bielorussia di Lukashenko, al Kazakistan di Nazarbaev: i modelli che ammira di più. Le premesse c’erano, inclusa l’aggressione di un pazzo, che minacciava di avere gli stessi effetti di quelle che avevano fornito il pretesto 85 anni prima alle «leggi fascistissime»: passando dalla tragedia alla tragicommedia, sarebbe stato l’anno delle «leggi berlusconissime»?

Se l’unico argine fosse stato l’efficace azione della leadership dell’opposizione, il rischio c’era. A ribellarsi è stata invece la ciurma postfascista, rotta da diciassette anni a tutte le umiliazioni e fino ad allora complice in tutte le bassezze del nuovo regime, ma ormai umanamente incapace di assorbire ulteriori angherie da parte del suo satrapo.

E così, dato che effettivamente la storia ha spesso più fantasia di noi, è stata la ribellione dei figli e nipoti rautiani dei «ragazzi di Salò» a ridare qualche boccata d’ossigeno alla democrazia italiana.

Non è il solo aspetto grottesco della situazione. Il resto del mondo guarda ormai la cloaca a bocca aperta, pensando di essersi forse perso qualcosa nelle traduzioni. Risulta altrimenti incomprensibile all’opinione pubblica informata del mondo intero – società civili, media, classi politiche, diplomazie, imprenditoria, mondo accademico – che l’Italia continui a farsi governare da un tale che ora appare perfino succube dei ricatti di giovanotte senz’arte né parte e in mano a una banda di ruffiani, e che, abbiamo appreso, passa gran parte del suo tempo appeso al telefono con costoro. Ma che, prima ancora, ha collezionato una serie inverosimile di proscioglimenti per mera prescrizione – cioè per mero decorso del tempo dal momento in cui i fatti furono commessi – per delitti gravissimi e infamanti (specie per un aspirante «statista»), che si è avvalso della facoltà di non rispondere da testimone in un processo di mafia, che dà prova ogni giorno di analfabetismo civile totale.

E, a quanto annunciano finora quasi tutti i sondaggi, per quanto i fatti recentemente venuti alla luce possano essere ritenuti disdicevoli, una maggioranza relativa di nostri concittadini elettori, nella sua saggezza, continua, almeno per ora, a manifestare intenzioni di voto favorevoli allo schieramento da B capeggiato.

Chi di noi – ormai la grande maggioranza – nato e sempre vissuto in democrazia, e sia pure in una democrazia alquanto sgangherata, credeva di poterlo considerare un panorama civile acquisito, ormai «naturale», ha dovuto ricredersi. Se una maggioranza relativa di nostri concittadini è disposta a credere che B sia una vittima della persecuzione giudiziaria di magistrati tutti «comunisti», se si beve l’equiparazione fra prescrizioni e assoluzioni, vuol dire che, alla maggioranza relativa, si può far credere qualunque cosa a tempo sostanzialmente indeterminato. È in questo senso, pur conservando pienamente il senso e la consapevolezza delle proporzioni, che oggi possiamo capire meglio, retrospettivamente, gli «anni del consenso» e tutti i totalitarismi del Novecento.

Forte della sua cultura essenzialmente pubblicitaria, B ha dimostrato la fondatezza di una profezia di Joseph Schumpeter (forse la sua sola profezia davvero azzeccata): la democrazia si sarebbe progressivamente ridotta a marketing. B ha pure capito che non solo è troppo difficile ai nostri tempi, per i condizionamenti europei e internazionali, censurare e reprimere troppo il dissenso, ma che non serve, è un inutile spreco di risorse, ci si rovina ancor più e inutilmente la reputazione residua. Basta ogni tanto intentare cause civili miliardarie a qualche critico particolarmente fastidioso per ammaestrarne centinaia d’altri. Per il resto, è sufficiente controllare militarmente i quattro o cinque telegiornali che contano. All’inizio le tesi più grottesche sembreranno inverosimili. Ripetute mane e sera per qualche settimana, diventeranno opinioni rispettabili; dopo qualche mese, convinzioni minoritarie; dopo qualche anno, il credo della maggioranza relativa. Di più, per restare al governo e redistribuire risorse per sé e ad amici e amici degli amici, non serve. E neppure per togliere dalle teste degli avversari l’idea di fare rispettare le leggi che intaccherebbero la sua incostituzionale potenza mediatica.

Il solo inconveniente è che, senza qualche capo dell’opposizione disposto non solo a confermare che «il problema non è B» e che «a contrastarlo frontalmente gli si fa un favore» (convinzione unica nel mondo politico occidentale, ma ciononostante granitica anche fra gli oppositori più «antagonisti» e vecchio stile), ma anche capace di condurre a conclusione crostate e tavoli bicamerali di concertazione, non si riesce a far piazza pulita di ogni residuo freno e contrappeso costituzionale. Magari è solo questione di tempo.
Intanto si compra. Escort e ruffiani di tasca propria. L’assoluzione, come già secoli fa e magari fra qualche rimbrotto, a spese dei contribuenti.
Salvo sussulti. Anche in questo, per fortuna, la storia ha talvolta più fantasia di noi.

Felice Mill Colorni

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