L’ignoranza e l’occultamento degli elementi storici porta l’opinione pubblica occidentale a credere che il cristianesimo si sia diffuso con l’amore e la persuasione, mentre l’islam si sia invece imposto solo con la spada e il terrore. Ma, come spiega a Confronti lo storico Cardini, è spesso vero il contrario.
Vi sono molti equivoci, naturalmente voluti (anche se dilatati dalla diffusa ignoranza), nella presentazione che si fa del problema delle violenze a danno dei cristiani nei paesi asiatici e africani nei quali essi sono una minoranza. Cerchiamo di enumerarli brevemente. Primo: esse sono attribuite genericamente (e in pratica esclusivamente) ai musulmani; si tendono a tacere o almeno a sottovalutare le violenze indù, le difficoltà che le comunità cristiane incontrano in Israele, le restrizioni in Cina eccetera. Secondo: si tende a presentare i musulmani come una realtà unitaria ed omogenea, trascurando il fatto che la stragrande maggioranza di essi non ha alcuna responsabilità nelle persecuzioni e nelle violenze. Terzo: le violenze vengono decontestualizzate dalla loro realtà storica e proiettate in una sorta di «scontro di religioni/civiltà» assolutizzato, senza tempo e senza né fasi né distinzioni. Quarto: si cerca di far passare l’immagine di un islam non solo storicamente, ma anche strutturalmente, violento di fronte a un cristianesimo non solo strutturalmente, bensì anche storicamente, pacifico.
Cominciamo dall’ultimo punto, che corrisponde a una «leggenda rosa» costruita negli ultimi tempi da ambienti teocon o neocon, o da «cristianisti» e «atei devoti», magari con un passato anticlericale e tutta la coda di paglia a ciò connessa. Che il cristianesimo sia una religione di pace radicata nello spirito, laddove ebraismo e islam sono «religioni di legge» che aspirano certo alla pace (nel senso primario d’intimo consenso dell’uomo alla volontà di Dio) ma non ne fanno per nulla un valore primario anche sotto il profilo etico-comportamentale, è vero. Ma proprio qui stanno contraddizione e paradosso. Il cristianesimo non solo «porge l’altra guancia» alle offese, ma rinunzia a far tabula rasa di quel che non s’identifica con se stesso, accettando invece l’autorità temporale come legittima indipendentemente dai contenuti etici di essa: il risultato, da Teodosio in poi, è che ne eredita la prassi violenta. I cristiani dunque, e oggi anche i laicisti, i quali pur non accettando il cristianesimo lo sentono come parte della loro storia e della loro identità «occidentale» (e che così facendo, tra l’altro, sottovalutano il fatto che le Chiese cristiane orientali, vittime appunto delle violenze in Asia, «occidentali» non sono affatto), si autoassolvono tranquillamente e facilmente dalle violenze che i cristiani perpetrarono dal IV secolo in poi nei confronti di pagani, ebrei e perfino di loro fratelli in Cristo «non-allineati», cioè eretici.
Al massimo, si cita il caso di Ipazia come se fosse stata un’eccezione; e s’ignorano le repressioni e perfino le stragi che accompagnarono la cristianizzazione forzata dell’impero tra IV e VII secolo. Così come si tacciono o si dimenticano o si sottovalutano cose come il massacro dei 4500 sassoni sui campi di Werden voluto da Carlomagno e dai suoi vescovi; i genocidi compiuti daibasileis della dinastia macedone nei Balcani e dagli czar tra Caucaso e steppe dell’Asia centrale; le crociate dei cristiani latini nell’Impero bizantino del XIII secolo, nella penisola iberica, del nordest europeo; il destino degli eretici e delle streghe che – divenuto più drammatico a partire dal XIII secolo – ha lambito lo stesso XVIII secolo; i delitti commessi in seguito alla Riforma e alla Controriforma; la «pulizia etno-religiosa» della penisola iberica quattro-seicentesca; i «sacri macelli» non solo di Valtellina, ma anche della Ginevra calvinista e della Münster anabattista di Giovanni da Leyda; la ferocia di Maria la Sanguinaria e quella di Elisabetta I che «Sanguinaria» non fu mai definita ma che avrebbe pur ben meritato di esserlo; le guerre civili e «religioso-nazionali» in Scozia e in Irlanda (i postumi della seconda delle quali durano ancora); le infamie delle «guerre di religione» nella Francia tardocinquecentesca con le sue molte «Notti di san Bartolomeo» e quindi nell’Europa sconvolta dalla guerra dei Trent’Anni, che condussero a quella stanchezza del sangue nel nome della quale si siglarono (che si arrivasse, una buona volta, alla mutua inter christianos tolerantia, la quale peraltro – beninteso – non riguardava né i giudei deicidi né i musulmani infedeli…) le paci di Westfalia e dei Pirenei; le stragi dei native Americans nel centro e nel sud, ma anche nel nord del continente americano tra XVI e XX secolo; la «tratta degli schiavi» stivati in catene dall’Africa al nuovo mondo a bordo di vascelli i cui capitani conoscevano a memoria interi libri della Bibbia; i delitti commessi da inglesi e olandesi nel Sudafrica e in Oceania, dove i coloni trovavano nella Bibbia e nell’etica calvinista la giustificazione per il genocidio e la schiavitù. Per tacere di altre amenità, come il massacro tra cristiani e protestanti nella Svizzera dell’Ottocento o «i grandi cimiteri sotto la luna» popolati di poveri assassinati dalle truppe franchiste dei quali si rese testimone durante la guerra di Spagna, ch’egli visse nelle Baleari, Georges Bernanos: che pure era un cattolico antimoderno, un reazionario orgoglioso di esserlo, e il cui figlio era tenente della milizia falangista. E, a proposito di falangisti, ce ne sarebbero di cose da raccontare su quelli libanesi: o avete già dimenticato Sabra e Chatila?
Alcuni di quegli eventi hanno lasciato tracce più o meno profonde, magari per lungo tempo occultate; inoltre, a torto o a ragione, in Asia e in Africa si rimproverano alle Chiese cristiane storiche di essersi diffuse al seguito della conquista coloniale e di essersi, volenti o nolenti, confuse troppo spesso con l’identità e la logica di potere e di sfruttamento dei dominatori. Ciò non toglie nulla all’eroico senso di abnegazione d’infiniti missionari, che spesso hanno difeso gli oppressi fino a condividerne la sorte: ma oggi la coscienza di ciò viene soverchiata, senza dubbio anche a causa della propaganda che genericamente definiamo «fondamentalista», dalla tendenza – senza dubbio illecita – a vedere nei cristiani, anche in quelli delle Chiese locali, dei «complici obiettivi» degli occidentali.
Ma il cristianesimo non si è diffuso solo con l’amore…
Dall’ignoranza o dall’occultamento degli elementi storici di cui abbiamo parlato deriva la ridicola mistificazione dell’antitesi tra un’espansione del cristianesimo che si sarebbe ottenuta con l’amore e la persuasione (e abbiamo visto come ciò sia falso: là dove le missioni non hanno avuto l’appoggio della forza, le conversioni sono rimaste circoscritte e minoritarie) e un islam che si sarebbe imposto solo con la spada e il terrore. È quasi sempre vero l’esatto contrario. Guardiamo seriamente e concretamente all’esplosione espansionistica dell’islam. I guerrieri-missionari arabi del VII secolo incontrarono ben poca resistenza nel Vicino Oriente e in Egitto, come poca ne incontrarono nella Spagna della prima metà dell’VIII secolo. Quanto all’Africa nordoccidentale, solo i berberi – che era stato estremamente difficile cristianizzare – rimasero a lungo ostinatamente cristiani. Una delle ragioni della rapidità e della facilità con la quale i musulmani si affermarono tra Siria ed Egitto, cioè in aree nelle quali forti e numerose erano le Chiese monofisite, risiedette nel fatto che tali comunità erano molto a disagio nel sopportare l’egemonia dell’impero d’Oriente e del suo cristianesimo calcedoniano. Perseguitati, discriminati e taglieggiati dalle autorità di Costantinopoli, i monofisiti siriani ed egiziani accolsero spesso come liberatori quei barbari sarrakènoi che credevano – al pari di loro – in un Dio unico e puro spirito e che proponevano loro di costituire delle comunità dimmi, quindi «soggette» ma anche «protette», e di continuar a professare a livello privato la loro fede pagando la loro limitata libertà con una semplice tassa non troppo gravosa. Queste condizioni costituivano una liberazione rispetto al giogo bizantino: ciò spiega non solo e non tanto le conversioni all’islam, che peraltro evidentemente vi furono, quanto il lealismo delle popolazioni cristiane soggette all’islam nei confronti dei califfi umayyadi, abbasidi e fatimidi. E spiega bene anche la rapida espansione marittima e la conquista del Mediterraneo da parte di una religione nata nel profondo deserto: le navi musulmane, dal VII secolo in poi, erano governate da marinai siriani ed egiziani convertiti all’islam o rimasti monofisiti. Anche nella penisola iberica, i conquistatori arabo-berberi erano sulle prime pochi, ma s’incontrarono con una realtà fatta di regni romano-barbarici e di Chiese – di solito ex ariane – caratterizzati entrambi da disordine, inimicizia reciproca, debolezza; l’arabizzazione fu così rapida, e accettata di buon grado se non addirittura con entusiasmo, al punto che nacquero perfino Chiese cristiane linguisticamente e liturgicamente arabizzate (quelle «mozarabe»).
…e l’islam non è sinonimo di ferocia e fanatismo
Non è quindi sostenibile la «leggenda nera» secondo la quale la rapida e inarrestabile conquista musulmana troverebbe la sua spiegazione nella travolgente audacia e nella barbara ferocia degli arabi fanatizzati dalla loro nuova fede, la quale prescriverebbe ai suoi credenti il dovere di diffonderla con la spada. Una menzogna uguale e complementare rispetto all’altra, secondo cui la fede cristiana sarebbe stata diffusa, dal I secolo d.C. in poi, mediante l’ordinario anche se non proprio unico e costante strumento della persuasione e dell’amore.
Per lungo tempo, nel mondo musulmano cristiani ed ebrei sono stati tollerati in quanto ahl al-Kitab («gente del Libro», cioè detentrici della Rivelazione garantita da una scrittura d’origine divina, ancorché secondo i musulmani inquinata dall’errore umano), e quindi soggetti alle limitazioni e al pagamento di tributi di cui si è sommariamente detto. Invece, tra VII e XVIII secolo, a parte qualche situazione particolare – Venezia, Genova, Livorno… – nessun musulmano poteva circolare in una città cristiana, mentre gli ebrei dal Cinquecento stavano nei ghetti. In rapporto, la situazione di cristiani e di ebrei nel mondo musulmano era straordinariamente migliore. Certo, problemi d’intolleranza e incidenti potevano accadere anche con frequenza, ma in generale questa era la situazione. Essa è andata modificandosi, in Asia e in Africa, solo in quanto le comunità cristiane hanno potuto ottenere una maggior libertà nella misura in cui i paesi cadevano sotto il regime coloniale europeo: e gli europei, anche quando erano atei, consideravano i cristiani intrinseci alla loro cultura. Tale situazione, peraltro, ha generato frustrazione e rancore nel mondo musulmano (atteniamoci qui ad esso). I disordini in Siria e in Libano negli anni Sessanta dell’Ottocento ne sono un esempio: in Siria, il grande Abd el-Kader (che si trovava in Siria esule per aver opposto resistenza all’aggressione coloniale dei francesi in Algeria) dovette intervenire personalmente per impedire il massacro di alcuni cristiani dichiarando agli assalitori, suoi correligionari musulmani, che egli si sarebbe fatto uccidere insieme con gli aggrediti pur d’impedire un’infamia.
Oggi, la diffusa sensazione in Occidente è che le comunità cristiane asiatiche e africane siano in pericolo. È vero. Quel che non si dice, però, è che tale intollerabile situazione rappresenta la risposta inadeguata, ingiusta e spesso criminale a uno stato d’ingiustizia e di disagio. Il mondo musulmano si sente a sua volta aggredito e al suo interno molti abbagliati dalla propaganda fondamentalista ritengono – commettendo un madornale errore – che la Modernità occidentale e il cristianesimo siano tut¬t’uno e che quindi i cristiani, di qualunque tipo siano e a qualunque Chiesa appartengano, siano complici obiettivi dell’arroganza e dello spirito aggressivo che «l’Occidente» (cioè i governi degli Stati Uniti, i loro complici e gli speculatori che agiscono dietro entrambi) ha dimostrato, a non dir altro, nell’ultimo decennio tra Afghanistan e Iraq. Falso, sbagliato, insostenibile. La Modernità occidentale – individualista, materialista, fatta d’individui schiavi dei loro vizi e dei loro interessi – è all’antitesi del cristianesimo, anche se gli occidentali oggi ostentano fin troppo la loro vera o supposta adesione alla fede cristiana. Questo è l’errore di molti musulmani: i fondamentalisti islamici ne approfittano.
La natura delle violenze contro i cristiani è politica, non religiosa
L’errore diffuso tra gli occidentali, a loro volta ingannati dai fondamentalisti di casa nostra, consiste nel non comprendere la natura non religiosa, bensì politica, delle violenze commesse contro le comunità cristiane; nel non calcolarne il valore di sia pur colpevole ritorsione; nel non valutare le violenze che l’Occidente moderno commette quotidianamente in Africa e in Asia con le sue guerre e la sua politica di sfruttamento e nel non rendersi conto che gli assalti alle chiese sono la risposta, maldestra e criminale – e non certo condivisa dalle maggioranze musulmane – a quelle violenze. Siamo dinanzi alla più terribile delle guerre: la guerra tra i poveri fomentata da opposti gruppi di pressione e di potere (la superpotenza statunitense e i suoi alleati, le multinazionali con i loro interessi, da una parte; i gruppi fondamentalisti che sostengono il terrorismo dall’altra). Ma il peggio è che questo scontro per la conquista del potere viene fatto passare per «scontro di civiltà». Niente di più falso. Siamo dinanzi a un conflitto che non vede musulmani contro cristiani, bensì – in tutto il mondo – chi vuole un futuro di pace, di giustizia, di dialogo e di equilibrio contro due differenti forme di estremismo assassino, quello della guerriglia terrorista (che però troppo spesso si fonde e si confonde con forme di legittima resistenza all’invasore del proprio paese) e quello del terrorismo che aggredisce con l’uranio impoverito e i missili aria-terra, che fa guerre di conquista e d’oppressione e le chiama «missioni di pace» ed «esportazione della democrazia». Un terrorismo sostenuto dalle tesi relativiste di quanti, confondendo il proprio punto di vista con la realtà obiettiva, ritengono il loro modo di vedere il mondo il migliore possibile e la loro civiltà la sola «universale».
Ulteriore errore diffuso tra noi è il non rendersi conto che in molti casi quel che si presenta come un fanatico odio religioso è solo il pretesto o l’alibi per la fitna, lo «scontro religioso-civile» all’interno del mondo musulmano che, a differenza di quel che troppi di noi credono, è tutt’altro che una realtà monolitica, anzi è attraversata da tremendi conflitti. In alcuni paesi musulmani – lo si è visto e lo si vede bene in Indonesia, in Pakistan, in Iraq, in Egitto, in Algeria – vi sono gruppi musulmani che attaccano i cristiani o perché li ritengono alleati di altri gruppi loro avversari, o perché intendono attraverso le loro azioni terroristiche mettere in difficoltà certi governi. In Algeria, i ribelli contro il governo uscito dal colpo militare dei primi anni Novanta attaccano i cristiani in quanto vogliono provocare reazioni militari e poliziesche governative che coinvolgano la popolazione e che possano loro servire per proclamare alla gente che i loro governi corrotti li opprimono per difendere i cristiani stessi.
Le molte responsabilità dell’Occidente
Ma anche qui le responsabilità occidentali sono pesanti, e gli errori a ciò correlati hanno contribuito obiettivamente alla persecuzione di cui i cristiani appaiono oggi vittime. Non è ad esempio un mistero per nessuno che i deprecati regimi islamo-socialisti, ad esempio quelli nasseriano o baath, ponendo l’accento sulla nazionalità, tendevano molto ad attutire se non proprio ad eliminare la soggezione nella quale le comunità cristiane, in quanto dhjimmi («soggette», ma anche «protette»), erano abituate a stare nel dar al-Islam. Non stupisce quindi che molti cristiani collaborassero convinti con tali regimi, nei quali alcuni loro membri potevano anche ascendere ad alte cariche (inutile ricordare il caso iracheno di Tarik Aziz). Il fallimento di quei regimi, fermissimamente voluto dalla Superpotenza statunitense e dai suoi consiglieri, ha fatto sì che oggi esistano dal Pakistan all’Algeria forze musulmane che colpiscono i cristiani per aggredire la politica di altre forze musulmane o per creare loro difficoltà, e che gli stessi regimi «laici» in terra islamica, dalla Turchia postkemalista all’Egitto di Mubarak, che oppone i musulmani salafiti ai Fratelli musulmani, tendano ormai a cercar demagogicamente di dimostrare alle loro opinioni pubbliche di non essere «buoni musulmani» meno degli altri. I cristiani locali sono le prime vittime di questa morsa infernale, che in buona parte è la conseguenza della dissennata politica aggressiva degli Stati Uniti dal 2001 in poi in tutto il Vicino e Medio Oriente. D’altronde, non è un mistero per nessuno nemmeno che vi sono paesi governati da musulmani fanatici, persecutori dei cristiani e lapidatori di adultere o supposte tali: dei quali però i nostri mass media parlano il meno possibile in quanto essi sono tra i «nostri migliori alleati». L’Arabia Saudita, ad esempio. Né è un mistero che in Israele e nei Territori occupati i vari governi israeliani hanno in passato favorito l’affermarsi tra i palestinesi dei gruppi estremisti religiosi in quanto intendevano rompere il fronte unico della resistenza patriottica palestinese che univa musulmani e cristiani; ma ora che Israele si trova a fronteggiare un nemico musulmano-fondamentalista come Hamas, è troppo comodo attribuire il crescere delle componenti anticristiane nella «resistenza» palestinese solo al fanatismo islamico, che in passato ha fatto comodo per indebolire Arafat e i suoi eredi.
Infine non va dimenticato che, anche su un piano puramente quantitativo, i massacri dei cristiani – uccisi, beninteso, non in quanto implicati in guerre o in rivolte, ma in quanto professanti la religione della croce – non sono né siano più gravi né più numerosi e pesanti di altri. Il fatto è che, a cominciare dall’Angelus pontificio diffuso in tutto il mondo ogni domenica mattina, di quei massacri si è capillarmente informati (il che è senza dubbio positivo), mentre s’ignorano o si sottovalutano invece episodi anche terribili, ma sui quali si stima per ovvie ragioni meno opportuno e politicamente meno redditizio insistere. Chi si è indignato, con sacrosanto motivo, per la strage d’Alessandria di Capodanno, ha mai protestato per la pioggia di bombe e di missili che in Afghanistan provoca quotidiani massacri di musulmani innocenti, giustificati indiscriminatamente nel nome della «guerra al terrorismo»? O per la guerra civile religiosa tra sciiti e sunniti scatenata in Iraq in seguito alla caduta del regime di Saddam Hussein, che ha avuto una ricaduta drammatica anche per i cristiani locali, sia cattolici «caldei» sia nestoriani «assiri»? O per il «civile sequestro» di centinaia di persone a Guantanamo, al quale il governo di Obama ha fornito una copertura vigliacca, in spregio agli impegni elettorali che pur si era assunti? Da troppi anni questi poveri morti e queste vittime dell’«esportazione della democrazia» non sono nemmeno più dei numeri: si è ormai da tempo perfino rinunziato a tentar di contarli. Questo semplice errore di prospettiva, da noi considerato irrilevante, non passa inosservato altrove, e incrementa la spirale dell’odio e della vendetta che, come sempre accade, si ritorce contro obiettivi innocenti.
Non basta quindi chiedere che cessino nel mondo i massacri dei cristiani: bisogna chiedere che cessino le violenze. E per ottenere questo fine bisogna individuarne le cause. Esse risiedono nell’ingiustizia, che si traduce anzitutto in un’intollerabile disuguaglianza nella distribuzione delle ricchezze del mondo e quindi in una serie di azioni politico-militari condotte all’insegna di un vero e proprio neocolonialismo. Senza giustizia, non può esserci libertà: nemmeno libertà religiosa.
Franco Cardini