«Il nostro amore non fa del male a nessuno, non sminuisce quello eterosessuale, non mette a repentaglio le nostre istituzioni, non nega e non minaccia “la famiglia tradizionale”». Come sottolinea la deputata del Pd, relatrice della proposta di legge sul reato di omofobia (ha presentato le dimissioni perché la maggioranza cerca di impedirne l’approvazione), l’Italia è uno tra i pochi Paesi europei a non avere una legge simile.
L’escalation di episodi di violenza e intolleranza omofoba in Italia è rilevata da tempo. Non solo l’Europa, ma anche il nostro presidente della Repubblica ci chiede invano di fermarla. Per questo sento un profondo senso di ingiustizia davanti all’inefficienza del nostro governo. Come parlamentare, come cittadina europea e come omosessuale.
Noi omosessuali siamo donne e uomini in carne ed ossa, come tutti gli altri cittadini. Come tutti con le nostre ambizioni, i nostri sogni, i nostri bisogni di poter vivere una vita piena, una vita senza discriminazioni e violenze. Siamo cittadini/e che contribuiamo esattamente come gli altri al bene di questo paese: come gli altri paghiamo le tasse, come gli altri rispettiamo le regole delle nostre comunità.
Eppure, anche se come tutti gli altri vogliamo dividere la nostra vita con chi amiamo, nel nostro Paese non ci viene perdonato di amare una persona del nostro stesso sesso. Non ci viene perdonato l’amore. Il nostro amore non fa del male a nessuno, non sminuisce quello eterosessuale, non mette a repentaglio le nostre istituzioni, non nega e non minaccia «la famiglia tradizionale». In un tempo come il nostro, in cui sembra dilagare l’individualismo e la disgregazione sociale, il desiderio di famiglia degli omosessuali dovrebbe essere salutato con entusiasmo dalle nostre istituzioni. Dovrebbe essere accolto come un contributo alla stabilità sociale, alla responsabilità e felicità dei cittadini e quindi al bene comune. Ma così non è. Anzi. In Italia siamo ancora fermi a discutere di qualcosa di ben più elementare.
Da tre anni a questa parte, e cioè da quasi mille giorni, il Parlamento italiano sta discutendo di una cosa semplice, quasi ovvia: una legge contro omofobia e transfobia. Una legge approvata da tutti i Paesi fondatori dell’Unione europea, tranne noi e la Grecia: una legge che si è già dimostrata altrove efficace per contrastare quella odiosa violenza che colpisce un essere umano solo ed esclusivamente in ragione del suo essere omosessuale o transessuale. Solo per la sua condizione umana. Perché questa è l’omosessualità, non una malattia, come da decenni ormai ha sancito l’Organizzazione mondiale della sanità. Non è neppure un capriccio, o una scelta: è una condizione umana. Che come tale va rispettata.
Nel mondo, tranne che nei 98 Paesi dove è ancora diffusa una cultura conservatrice e tradizionalista e dove arrestano o uccidono gli omosessuali e i transessuali, tutti gli stati si sono dotati di una legislazione che tuteli quei soggetti più esposti al pregiudizio, alla violenza e alle discriminazioni. Sembrerebbe ovvio, lapalissiano dotarsi di una elementare legge di civiltà per un Paese che vuole essere uno dei più civilizzati del mondo, che vuole essere addirittura esportatore di democrazia nei Paesi dell’integralismo islamico. Invece no, su questo argomento qualcuno preferisce farci restare in un medioevo altrettanto oscurantista.
Forse è venuto il momento di importare la democrazia da chi è più democratico di noi. In queste settimane se ne sono sentite di tutti i colori contro noi omosessuali e transessuali. Gli attacchi dalle aree più integraliste del nostro Parlamento si ripropongono sempre con un crescendo di violenza ogni volta che stiamo per affrontare in aula una legge che sanzioni l’odio verso omosessuali e transessuali. In nome delle tradizioni cristiane. Ed ecco che i peccati che come cristiani sono pronti a perdonare agli eterosessuali, appaiono loro imperdonabili e satanici in chi ama persone dello stesso sesso.
Eppure, il messaggio cristiano, a cui strumentalmente e per puri fini elettorali i cosiddetti «atei devoti» dichiarano di riferirsi, non è certo questo. È un messaggio inclusivo, che non esclude; è un messaggio di amore e non di odio. Gesù non giustificherebbe mai l’odio dei forti verso i deboli. Per questo più volte ho fatto appelli ai miei colleghi di lasciare da parte quell’antico e orrendo vizio della politica italiana di affrontare il tema dell’omosessualità in modo ideologico, usando noi omosessuali e transessuali per battaglie di contrapposizione. Più volte ho chiesto un gesto di responsabilità istituzionale: a tutti, a destra e a sinistra. Per approvare finalmente questa legge contro l’omofobia e la transfobia tutti insieme, perché questa legge non è di destra né di sinistra. Una legge che argini l’odio è una legge intorno alla quale si deve riconoscere tutto un Paese, se è un Paese civile.
Mentre scrivo la legge è approdata in aula per la seconda volta. Il 23 maggio è iniziata la discussione generale, a cui sono arrivata dimissionaria da relatrice perché in commissione Giustizia è stato bocciato il mio ennesimo tentativo di mediazione con le posizioni di Udc, Lega e Pdl. Nel mio intervento come relatrice di minoranza, ho riproposto un testo che richiama il Trattato di Lisbona, che l’Italia ha già ratificato, e che prevede l’estensione delle aggravanti nelle discriminazioni in ragione di età, disabilità, sesso oltre che in ragione della omosessualità e transessualità. Nelle prossime settimane si arriverà al voto, ma già gli interventi di Lega, Udc e Pdl sono di chiusura, senza spiegazioni. Il sospetto, dopo mille giorni, è che si rifiuti ideologicamente e a priori una legge che tuteli dalla violenza gli omosessuali e i transessuali.
Nonostante le chiusure, continuo a chiedere a questo Parlamento di ripartire tutti insieme da una legge minima di civiltà. Perché è indicatrice di un’idea di società rispettosa di tutti e inclusiva. Non posso smettere di lottare per un paese migliore. E finché avrò la forza lo farò insieme al mio partito e alle tante donne e uomini che non hanno perso la speranza.
Anna Paola Concia