Zaino in spalla, taccuino e macchina fotografica. L’amica Alda Radaelli ci ha lasciati - Confronti
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Zaino in spalla, taccuino e macchina fotografica. L’amica Alda Radaelli ci ha lasciati

by redazione

di Gian Mario Gillio

«Ti mando l’elenco dei miei pezzi pubblicati su Confronti ed anche l’albero del mio sito in costruzione. Il sito si chiamerà “La forza dei deboli” ed è aperto a tutte le associazioni come quella contro il pizzo www.girodivite.it, che ha cinque redazioni in tutta Italia. Chiunque vorrà ospitare un link al mio sito lo farà perché vorrà condividere con me l’amore per la cultura e l’impegno sociale». Questo è un estratto dell’ultima mail che Alda mi ha inviato il 27 ottobre scorso dall’ospedale. Aveva avuto – così mi disse – un calo fisico, ma nulla di grave. Invece ieri dalla telefonata di un amico comune mi è arrivata la triste notizia della scomparsa di Alda.

Alda Radaelli ci ha lasciati il 26 gennaio scorso, era una donna meravigliosa, bellissima e dotata di una rara e spiccata intelligenza. Giornalista con il taccuino in mano e lo zaino in spalla, così amo ricordarla. Lei e il suo entusiasmo erano al servizio di tutti per raccontare le storie che raccoglieva in giro per il mondo, in particolare aveva seguito tutto il conflitto nei Balcani: la sua seconda casa, Sarajevo.

Nei suoi reportage e nei suoi libri raccontava un mondo fatto di storie che le persone incontrate le confidavano a quattr’occhi. Una vita spesa sempre sul campo e anche sui campi, quelli rom, da lei severamente contestati perché «solo in Italia esistono luoghi, ghetti, che in un paese civile e democratico non dovrebbero neanche essere immaginabili». Alda ha sempre difeso la dignità di ogni essere umano, questo le interessava davanti a tutto.
«La mia bella zingara rumena che mi salutava tutte le mattine sotto casa non tornerà; quasi me lo sentivo quando le ho comprato un paio di sandali al mercato e non riuscivo a darglieli perché era scomparsa. Poi è tornata e l’ho vista per l’ultima volta. Mi mancherà molto. In compenso avrò la compagnia degli altri, con le loro frasi micidiali, buttate là ad una cena, durante un gita, in tram, in treno». Così scriveva in un bell’articolo che mi aveva inviato. Alda amava le persone vere e contestava ferocemente i luoghi comuni, e le frasi «buttate là», tanto per parlare tra vanità e ignoranza bieca. Alda amava documentarsi sempre e non scriveva mai nulla prima di essere certa di ciò che stava per riportare. E come tutti noi non era imparziale, spesso le sue idee doveva difenderle con i denti e litigare con chi non la pensava come lei. Ma tutti la rispettavano e la stimavano per la sua caparbietà e professionalità, anche coloro che vedevano le cose in modo diverso da lei.

Non le sono mai bastate le notizie che giungevano da agenzie e giornali: doveva sempre verificare, quando le era possibile. Voleva incontrare le persone, sentire dalla loro voce come erano andate le cose, guardandole negli occhi: «Da ogni singolo movimento del corpo, il tono della voce, lo sguardo, si possono capire molte cose», diceva Alda. E chi non ha avuto la fortuna di poterla incontrare, almeno una volta nella vita, sì è perso proprio queste piccole qualità che Alda regalava spontaneamente a chi le stava di fronte: il suo sguardo sincero, dolcissimo e intelligente, il suo sorriso che apriva il cuore, la sua energia.

Alda tuttavia era sempre guardinga, un po’ diffidente, ma aperta e disponibile con tutti: prima ti doveva inquadrare ma aveva un fiuto particolare, capiva in pochi istanti se poteva fidarsi o meno e capire com’eri, lo ha fatto anche con me la prima volta che ci siamo incontrati. Amava il genere umano e ne elogiava le doti, spesso mi parlava di sua figlia, senza raccontarmi mai nello specifico per quale motivo, ma la citava spesso in quasi tutti i nostri discorsi: una cosa bella, che trovavo particolare.

Nel lavoro era instancabile e nel passato era stata inviata di guerra, il più delle volte inviata di se stessa, come amava ricordare, cioè priva dell’incarico da parte di redazioni e di spalle coperte; questo la rendeva ancora più libera e più affidabile agli occhi di chi incontrava nel suo cammino. Le storie che riusciva a raccogliere e riportare erano talmente belle che venivano spesso pubblicate dai quotidiani nazionali.

Era davvero brava Alda, un carattere forte e a volte insopportabile, si impuntava e non voleva sentir ragioni quando si parlava di soprusi verso le minoranze, le sue minoranze.

In pochi riuscivano come lei ad arrivare nei luoghi caldi e inaccessibili del conflitto, la sua capacità di creare empatia e simpatia immediate le garantivano questo privilegio. La sua passione più grande? I Balcani. Come corrispondente di guerra dall’interno dell’assedio di Sarajevo dal 1992 al1995, Alda ha saputo raccontare i tratti più salienti di una storia intricata e difficile da capire per chi la viveva da lontano. Due suoi libri ne tracciano l’esperienza: «Sarajevo: la dimensione del sogno» (Ferrari editore, 1994) e «Sabur. Racconti d’amore e di massacro» (Infinito edizioni, 2008), che abbiamo avuto il piacere di presentare insieme nella splendida cornice della libreria Bibli a Trastevere. Anche questa libreria è oggi nei nostri ricordi.

Ogni volta che veniva a trovarmi, di passaggio a Roma, Alda mi raccontava la vita di qualcuno che aveva conosciuto, incontrato, ne tracciava il profilo e cercava il modo di creare una rete di rapporti tra la nostra rivista e chi con lei condivideva un percorso. Una delle ultime volte ci portò in redazione Mohammed Bakri, attore palestinese con passaporto israeliano che in quel periodo era stato messo sotto processo perché accusato da alcuni soldati israeliani. Quello fu il primo incontro e Alda perorava per tutta Italia la sua causa accompagnandolo in un lungo tour di incontri. L’anno scorso l’attore Bakri ha partecipato all’ultima edizione di Semi di pace, il progetto di dialogo e di pace sul conflitto israelo-palestinese promosso da Confronti.

In ogni storia di Alda, in ogni amicizia che lei conservava gelosamente c’era un po’ di noi, come in un film in bianco e nero che dalle piccole cose faceva nascere una grande sceneggiatura. Era un’irriducibile romantica Alda e una caparbia osservatrice dei tratti umani, delle debolezze della società, sempre alla ricerca di quel buon senso, che troppo spesso – ricordava – la politica aveva dimenticato. E proprio su Facebook, non a caso, l’ultimo post condiviso il 30 dicembre alle 22 era l’invito a tutti di collegarsi ad un video da lei consigliato, probabilmente una delle ultime interviste al grande giornalista, recentemente scomparso, Giorgio Bocca. Chissà cosa vedeva in lui, forse quella parte di se stessa che non trapelava agli occhi di un disattento osservatore. Quella di un burbero amante, fedele e disincantato.

Alda non era più tanto giovane, anche se il suo fisico e la sua vitalità non mostravano i segni del tempo. Non mi preoccupai più di tanto, infatti, quando in una mail mi scrisse che era stata ricoverata in ospedale; le telefonai immediatamente, ci raccontammo un po’ di novità; lei mi parlò dei suoi progetti futuri, come l’attivazione del sito internet in costruzione e le nuove collaborazioni che stava portando avanti e seppe darmi anche alcune buone idee per sostenere la nostra rivista, che proprio ad ottobre aveva lanciato l’allarme chiusura: un periodo particolarmente delicato. Per questo motivo, presi da noi stessi, e me ne rammarico, non ci siamo più sentiti. La sua voce era bella e morbida come sempre, piena di vitalità. Non mi disse molto di sé né dei suoi problemi. Alda era fatta così, avrà certamente voluto minimizzare, lei non era importante ma le sue cause sì e avevano sempre la precedenza su tutto, anche su se stessa. Poco mi disse anche del suo ricovero. Ingenuamente non ho indagato a fondo, consideravo Alda eterna. Solo l’anno scorso mentre le stavo raccontando di alcuni miei problemi alla schiena mi sorprese con una mossa di cui ancora oggi non riesco a capacitarmi. Si mise in piedi e dalla posizione eretta con il palmo delle mani toccò terra a gambe tese! Incredibile. Mi disse che era importante fare ginnastica e tenersi in forma.

Cara Alda, che triste notizia quella ci ha annunciato la tua scomparsa! Avrei preferito sentirlo dire dalla tua voce. Sì, hai ragione: che assurdità! Ma non riesco ancora a crederci. Eravamo rimasti d’accordo che ci saremmo visti per l’ennesimo pranzo insieme… Tu rappresentavi per me quell’entusiasmo e quella passione che riuscivi a trasmettermi ogni volta che venivi a trovarmi in ufficio, mi davi la forza per andare avanti e per aprirmi a nuove scommesse, e poi si parlava, si parlava e per non interrompere la discussione si finiva con l’andare a pranzo insieme. Ore e ore di chiacchiere, davanti ad una insalata o ad una pizza.

Il suo lavoro è stato prezioso, il suo entusiasmo la ricetta vincente in ogni occasione. La fascinazione che provava per le persone che la circondavano e la sua caparbietà e convinzione che le proprie idee valessero sempre la pena di essere difese e divulgate.

Alda mi venne a trovare subito, proprio a pochi giorni dal mio insediamento a Confronti come direttore, un giovane direttore insicuro e alle prime armi, e mi disse: «C’è molto lavoro da fare insieme, quando iniziamo?».

Ciao Alda

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