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La «sineddoche» della informazione religiosa

by redazione

Quasi quarant’anni fa il servizio pubblico ha avvertito l’esigenza di offrire a quelle che allora erano le due più consistenti minoranze religiose presenti nel nostro Paese, ebrei e protestanti, uno spazio autogestito di informazione. Paradossalmente, proprio oggi che la nuova realtà richiederebbe una maggiore attenzione al pluralismo religioso, la situazione non solo non si è evoluta ma per certi aspetti è peggiorata.

Un tempo c’erano «Protestantesimo» e «Sorgente di Vita». Insieme al Meteo sono le rubriche da più tempo inserite nel palinsesto di Raidue. Rubriche anomale, dal momento che benché targate Rai in virtù di due distinte convenzioni, la loro realizzazione è affidata alla Federazione delle Chiese evangeliche in Italia e all’Unione delle Comunità ebraiche. Correva l’anno 1973 e nell’ambito del contratto di servizio pubblico e della politica «dell’accesso», l’azienda radiotelevisiva sentì il bisogno di aprire due finestre su alcune storiche comunità religiose: i protestanti e gli ebrei. Allora, in un’Italia confessionalmente più monolitica di oggi, fu un passo innovativo e coraggioso che affermò che il «pluralismo» del servizio pubblico non poteva esaurirsi nel dare voce a diverse forze politiche ma si doveva allargare anche ai temi religiosi e culturali.

Quasi quarant’anni dopo siamo sostanzialmente allo stesso punto anzi, per certi aspetti, peggio. Negli anni Settanta la collocazione oraria delle due rubriche religiose «non cattoliche» era decisamente più favorevole di oggi: attualmente, infatti, la messa in onda avviene alla domenica e al lunedì sera ben oltre l’una di notte con replica il lunedì mattina alle 9,30: troppo tardi per chi lavora, troppo presto per chi si prepara a cucinare o a pranzare.

Ma il problema non è solo di collocazione oraria. La funzione di «Protestantesimo» e di «Sorgente di vita», pur importante, non è certo sufficiente a rappresentare ciò che si muove nell’Italia di oggi. Lo scorso 29 gennaio la rubrica del Tg 3 «Persone» ha mandato in onda uno splendido servizio di Lucia Ferrari sul più noto maestro zen italiano, il maestro Fausto Taiten Guareschi. Ecco un esempio di quello che il servizio pubblico dovrebbe essere riguardo alle religioni: una finestra su una realtà che negli ultimi vent’anni si è arricchita di innumerevoli presenze di individui e di comunità. Potremmo anche citare l’eccellenza della rubrica radiofonica «Uomini e profeti» (Radiorai 3), ma una o due rondini non fanno primavera.

Oggi l’Italia si può (e si dovrebbe) raccontare anche visitando i sikh di origine indiana che lavorano il parmigiano o che producono mozzarelle di bufala sulla costa laziale; seguendo con la telecamera una delle centinaia di migliaia di donne rumene, moldave e ucraine che tra un lavoro di cura e l’altro trovano il tempo di frequentare una chiesa ortodossa; documentando che cosa accade in un centro islamico in occasione della Festa del sacrificio, spiegando l’architettura di una chiesa protestante, partecipando a un culto pentecostale. Si potrebbe (e si dovrebbe) ma non accade ed è, per così dire, un’omissione di realtà.

Ma un vero pluralismo religioso richiederebbe anche altro: i racconti di uomini e donne che vivono intensamente la loro fede, da soli, non esauriscono i doveri di pluralismo, anche religioso, del servizio pubblico. Piaccia o no, oggi le religioni sono tornate «per strada» ed esprimono idee, proposte, esempi che contribuiscono al dibattito pubblico esattamente come una fondazione culturale, un sindacato o un ordine professionale. Su temi come l’ambiente, la bioetica, le risorse, gli stili di vita, i modelli educativi, le comunità di fede hanno qualcosa da dire – giusto o sbagliato che ci appaia, poco importa – in quello spazio pubblico che deve caratterizzare ogni società democratica e pluralista. Non hanno l’ultima parola – come qualcuno, soprattutto in Italia, pretenderebbe – ma hanno diritto di parola. Con altri, come altri. E questo è il buco più grosso del servizio pubblico radiotelevisivo. In qualsiasi Tg o talk show, quando si affrontano temi religiosi il sacerdote cattolico e solo lui parla per tutti i credenti. «Pars pro toto» o sineddoche, come ci hanno insegnato al liceo.

Paolo Naso

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