Il Vaticano II ebbe chiaramente un’ottica patriarcale, e solo ventitré donne vi parteciparono, come «uditrici». Che significò, cinquant’anni fa, questa presenza-assenza; la riflessione post-conciliare; le sfide che oggi si pongono sulla possibilità/necessità di trasformare i modelli simbolico-antropoligici vigenti nella Chiesa cattolica romana.
Il Concilio Vaticano II è stato oggetto negli ultimi cinquant’anni di innumerevoli studi storici e teologici, che hanno investigato tanto l’evento conciliare, le dinamiche operative e le fasi di sviluppo, i protagonisti e i dibattiti, quanto la teologia che emerge dal corpus dei documenti promulgati, le scuole teologiche e gli apporti di vescovi, Chiese locali, periti. In questa enorme massa di studi, divulgativi o scientifici, pochi sono quelli dedicati a «donne e Vaticano II»: rare le ricerche dedicate alle ventitré uditrici conciliari (tanto che molti storici e teologi non ne conoscono l’esistenza), limitati i contributi dedicati alla visione delle donne e del femminile presenti nei, per altro, pochissimi testi che fanno riferimento all’argomento.
A fronte di questa lacuna, che a cinquant’anni dal Vaticano II – in un mutato contesto sociale e culturale che vede le donne maggiormente protagoniste e considera indiscutibile il loro apporto per la vita anche ecclesiale – avvertiamo ancora più stridente, il Coordinamento teologhe italiane ha promosso su questo tema una serie di ricerche di taglio storico e teologico-sistematico. È stato così possibile ricostruire e far conoscere le biografie delle donne, tredici laiche e dieci religiose, chiamate al Concilio a partire dalla terza sessione, e raccogliere i contributi da loro offerti ai dibattiti nelle commissioni e sottocommissioni. Dall’altro lato sono stati raccolti i discorsi in aula e le animadversiones scriptae dei padri dedicati al tema «donna», i dibattiti nelle commissioni conciliari (in particolare quelli dedicati ai temi del laicato, della vita religiosa, del matrimonio, dell’apporto femminile al mondo della cultura e del lavoro), e sono stati sottoposti a esame critico i passaggi dei documenti conciliari che affrontano la questione femminile come anche il Messaggio finale alle donne, di linguaggio e stampo indubbiamente patriarcale.
Infine, è stata posta a tema la difficile ma anche entusiasmante stagione post-conciliare, nella consapevolezza che per le donne cattoliche la fase di recezione conciliare ha comportato cambiamenti sostanziali sul piano della autocoscienza, della teologia, della prassi: il Concilio ha aperto spazi e possibilità nuovi per il riconoscimento e l’esercizio della soggettualità femminile (sul piano della ministerialità di fatto e con la possibilità di accesso alle Facoltà teologiche) e così le donne hanno offerto un contributo determinante alla – seppur ancora parziale – recezione delle istanze conciliari.
Dalla ricerca sono nate due pubblicazioni – il volume di Adriana Valerio, Madri del Concilio (Carocci, Roma 2012) e la raccolta di una ventina di saggi a cura di Marinella Perroni, Alberto Melloni, Serena Noceti «Tantum aurora est». Donne e Vaticano II (LIT, München 2012) – e un convegno internazionale teologico che si è tenuto a Roma, presso il Pontificio Ateneo Sant’Anselmo, dal 4 al 6 ottobre, seguito da un evento pubblico di memoria del Concilio, con la presenza di circa mille persone. I due volumi, il primo di taglio maggiormente divulgativo, il secondo pensato come contributo al dibattito scientifico e accademico sul Concilio, permettono di cogliere la novità data dalla presenza delle ventitré «madri del Concilio», come erano definite. La richiesta di uditrici laiche era stata formulata in aula dal card. Suenens, arcivescovo di Malines-Bruxelles, e da altri vescovi nel corso della seconda sessione e auspicata dagli uditori laici presenti; era il segnale di una germinale consapevolezza che faceva percepire come grave l’assenza di coloro che costituiscono la metà del genere umano dall’aula conciliare.
Vennero scelte donne che rappresentavano o coordinavano organizzazioni laicali attive spesso a livello mondiale e superiore generali di istituti religiosi; nessuna di loro aveva alle spalle studi teologici; la loro presenza era stata pensata come «simbolica» – come indicato da Paolo VI nel discorso in cui segnalava la nomina e ne salutava la presenza – ma in realtà il loro contributo fu significativo per l’apporto dato nelle commissioni sui temi della famiglia e della vita religiosa e per il lavoro di sensibilizzazione di altre donne sul Concilio. Sarà poi la fase post-conciliare a portare a maturazione le iniziali intuizioni maturate in Concilio, soprattutto nella vita religiosa che vedrà trasformazioni profonde, nella quotidianità di vita, nella spiritualità, formazione.
Allo stesso tempo lo studio dei testi prodotti e dei discorsi dei padri non può che far percepire quanto fosse non adeguata la consapevolezza delle trasformazioni che già stavano avvenendo nel mondo delle donne, il cui ingresso nella vita pubblica già Giovanni XXIII aveva segnalato nell’enciclica Pacem in terris come «segno dei tempi». Poche sono le ricorrenze del termine «donna/femminile» nei documenti conciliari; le tematiche della specificità e la differenza sessuale sono raramente declinati; i movimenti di emancipazione e l’apporto delle donne non ricordati se non per inciso. Il linguaggio dei documenti è androcentrico e tradisce un’ottica patriarcale; si tratta di testi nati da un’antropologia dell’uguaglianza, aperta al massimo a teorizzare il modello antropologico della complementarità; ma essi offrono anche nel recupero della soggettualità battesimale la possibilità di spazi inediti di presenza alle donne. Sarà poi la rilettura teologica che le donne hanno promosso dopo il Concilio a «sviscerare» le implicazioni linguistiche e concettuali dei testi, sciogliendo il nodo di una identità umana apparentemente neutra e indifferenziata, esplicitando affermazioni fatte in funzione di un soggetto umano a-sessuato, e insieme indicando le conseguenti prassi trasformative richieste dalle affermazioni conciliari.
Dopo il Concilio un gruppo di «soggetti inediti» – le donne – sono stati portatori di una parola autorevole per l’edificazione ecclesiale e hanno offerto – in parole e pratiche – nuovi approcci di riflessione, approfondimento, interpretazione della esperienza di fede nella e per la comunità cristiana. Nuovi soggetti non portano alla ribalta solo nuovi temi, ma offrono alla fatica del teologizzare anche nuovi punti di partenza, nuove categorie, nuovi percorsi interpretativi, nuove aspirazioni e desideri. Questa consapevolezza ha guidato l’articolazione del Convegno internazionale organizzato dal Coordinamento teologhe italiane «Teologhe rileggono il Vaticano II: assumere una storia, preparare il futuro». Le 250 partecipanti, provenienti da 22 nazioni, i 20 relatori e relatrici hanno cercato di rileggere le novità che il Concilio ha sancito proprio a partire da una ripresa critica di quanto avvenuto nel mondo delle donne in questi cinquant’anni, a livello sociale, culturale, economico, ecclesiale, teologico.
A partire da questa collocazione sono state individuate tre grandi questioni aperte, che le donne portano in primo piano nei dibattiti sulla mens conciliare e sulla sua adeguata recezione: il modello simbolico-antropologico veicolato dai documenti; i modelli di soggettualità e il difficile esercizio della autorità; i modelli strutturali vigenti e la loro possibilità/necessità di trasformazione. Assumere criticamente questi snodi, dibattere su di essi, affrontare coraggiosamente le sfide che essi comportano (sul piano ecumenico, del passaggio generazionale, del dialogo culturale e della cittadinanza inclusiva), permetterà alla Chiesa del post-concilio di mettere a frutto l’eredità aperta del Concilio.
Serena Noceti