Giovanardi e Misiti. Un ministro della famiglia «burlesque», ossessionato da Madonna, Vasco Rossi e Ikea che apre ai gay, il quale si occupa a tempo pieno di far passare alla storia la teoria della bomba sull’aereo della strage di Ustica. E il suo perito di stretto riferimento, oggi viceministro sul campo dopo aver fatto il salto della quaglia da un partito all’altro, immaginifico e creativo al punto da dichiarare che Berlusconi entrerà nell’olimpo degli immortali non appena avrà varato il Ponte sullo Stretto, esattamente come lo è diventato il presidente Usa Obama dopo l’uccisione di Osama Bin Laden. Poi il 10 settembre, a Palermo, una sentenza del tribunale civile riconosce un indennizzo di 100 milioni ai familiari delle vittime per la «giustizia negata», certifica che la bomba non esiste e la strage è stata un atto di guerra consumato nel nostro spazio aereo – un abbattimento provocato da un missile o una quasi collisione con un caccia – e il ministro e il perito perdono la testa al grido di: appello!
È che questo è un paese strano. Dicono che da parecchio tempo abbia perso le coordinate, ma forse non le ha mai avute. Pensate alla sera del 27 giugno 1980. Un DC9 in volo tra Bologna e Palermo con 81 persone a bordo esplode nel cielo. Che era quello di Ponza. Ma chissà perché qualcuno decise che la strage si sarebbe chiamata di Ustica. E come tale ancora ce la ricordiamo,
da 31 lunghissimi anni.
Esploso, si fa presto a dire esploso. Fino al 1982, o giù di lì, l’Aeronautica militare sostenne che quell’aereo si era rotto. Perché era vecchio e non gli facevano la manutenzione. Un generale, il portavoce dell’Aeronautica, un giorno dichiarò in conferenza stampa (c’ero anch’io) che tutto sommato le cose erano abbastanza chiare. Perché prima di essere comprato dalla compagnia Itavia quell’aereo volava per la Hawaian Airlines e trasportava il pesce. E il pesce dove sta? Nel mare. E cosa c’è nel mare? Il sale. E il sale cosa fa? Corrode. Ecco cos’era successo a far salire della gente su un jet che fino a qualche mese prima trasportava le sardine. Altro che missile.
E il cielo di Ponza, poi? Anzi, di Ustica… deserto. Deserto tutto il cielo italiano. Quel DC9 era esploso in una serata di sciopero non dichiarato dei voli. Sì, qualche aereo civile in circolazione in effetti c’era. Normale amministrazione. Ma caccia militari, accidenti quelli proprio no. Tutti sulle basi, parcheggiati, chiusi a chiave. E i piloti a mangiare la pizza. Possibile? Eppure a Ciampino i controllori radar avevano visto nitidamente dei caccia americani volare sopra Ponza proprio poco prima dell’esplosione (anche se lo avrebbero confessato solo vent’anni dopo). Ma siccome alla fine la strage sarebbe stata «di Ustica», che problema c’era?
Comunque, meglio far sparire tutto il possibile. Registri, nastri, tutto. Ai magistrati che pretendevano di ricostruire nomi, presenze e turni si poteva dare qualche foglio di servizio ricopiato in fretta, infilandoci dentro anche chi stava in viaggio di nozze, malato o in licenza. E così accadde.
Pensate, quella notte due caccia italiani incrociarono il DC9 che volava nel cielo deserto ma diedero l’allarme prima di atterrare sulla base di Grosseto. Pazzi visionari? Macché. I piloti avevano visto qualcosa e quel qualcosa aveva l’aria di un altro aereo militare nascosto nella sua «ombra» radar.
Ma adesso Giovanardi e Misiti ci raccontano che non è vero niente. Anche se un documento della Nato consegnato al governo italiano nel 1997 dichiara tutto il contrario. Anzi, certifica la presenza di 21 caccia militari in volo (o missione) nelle ore a cavallo dell’esplosione del DC9 Itavia, di cui quattro sconosciuti. Perché non identificabili dalla Nato.
Eppure un pezzetto di tabulato radar miracolosamente sopravvissuto alle pulizie generali (quello di Poggio Ballone, che sta vicino a Grosseto), quegli aerei fantasma li ha visti decollare e rientrare sulla base di Solenzara in Corsica, dove il traffico dei caccia si è protratto fin dopo la mezzanotte. Anche se i francesi ci hanno sempre raccontato che quella sera le luci della loro base furono spente alle 17,30. E che i piloti all’ora della strage erano a mangiare la pizza. Appunto.
Una bugia? Sì, molto grande. Ma i signori della «Armée de l’Air» sono stati comunque incastrati. Mica solo dal tabulato. Ci ha pensato un generale dei carabinieri che si chiama Nicolò Bozzo, che a quell’epoca era il braccio destro del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e ha un fratello che se ti invita a prendere il caffè conserva lo scontrino del bar, ci scrive sopra il tuo nome, l’ora in cui l’hai bevuto e archivia tutto. Molto meglio di un agente dei servizi segreti. Ecco, il caso vuole che la sera di quel 27 giugno 1980 il generale Bozzo, suo fratello e le loro mogli arrivarono a Solenzara per una vacanza, in un albergo affacciato sulla pista della base militare, proprio mentre i caccia erano in piena attività. E siccome con quel rombo continuo era impossibile riposare, il fratello del generale se ne andò sulla terrazza dell’albergo e, incredibile ma verificabile agli atti dell’inchiesta, cominciò ad annotare con puntiglio orari dei decolli e sigle degli aerei.
Nemmeno questo è servito a smuovere la posizione ufficiale della Francia, che continua a negare persino l’evidenza. E probabilmente non farà un solo passo indietro, visti i rapporti che intercorrono tra l’inquilino dell’Eliseo e Palazzo Chigi. Ma tanto, se alla fine è stata una bomba piazzata da non si sa chi per non si sa quale motivo nella toilette del DC9, come continuano pervicacemente a sostenere Giovanardi e Misiti, che importanza ha indagare su quello che ci racconta Parigi. Nessuna. Basta crederci, come alla bomba. Che, secondo il ministro e il suo perito di riferimento, esplode e disintegra un aereo lasciando perfettamente intatta la tavoletta del water. Che importa poi se agli atti dell’inchiesta la tesi di Misiti sia stata ritenuta da pm e giudice istruttore una costruzione assolutamente inutilizzabile, non solo rifiutata da una parte del collegio ma soprattutto viziata da una serie di rapporti «infedeli», fatto dimostrato da decine e decine di pagine di intercettazioni da brivido di alcuni dei periti coi colleghi degli imputati, che testimoniano come dietro la tesi della bomba si muovessero interessi e manovre di ogni genere.
È questa la storia della strage di Ustica. Un ginepraio di manovre e segreti inconfessabili. Che ora la sentenza del Tribunale civile di Palermo potrebbe finalmente spazzare via, costringendo chi ha taciuto per trentuno anni a parlare.
Andrea Purgatori