INTERVISTA A JEAN JACQUES DIKU
«Il vero motivo di questa guerra – come spiega il rappresentante in Italia dell’Unione per la democrazia e il progresso sociale della Repubblica democratica del Congo – è l’accesso delle multinazionali alle immense ricchezze del Congo, da una parte, e l’estensione del territorio ruandese dall’altra». L’intervista è stata realizzata prima della firma dell’accordo del 24 febbraio.
Durante l’interminabile guerra civile in Congo nascono diversi movimenti di ribellione. Chi sono e cosa rivendicano?
La verità è che non esiste alcun movimento di ribellione. Questa è una creazione ad hoc degli eserciti di occupazione ruandese e ugandese per poter giustificare la loro presenza sul territorio congolese. Infatti il grosso di questi pseudo-movimenti di «ribellione» è composto da militari degli eserciti ruandese e ugandese, nelle cui fila alcuni congolesi fanno da «faire-valoir» (fanno da «spalla»). Le loro rivendicazioni si inseriscono in un modello sempre vincente che garantisce il consenso delle società occidentali, cioè la lotta per la democrazia e la libertà contro il dittatore di turno in questo caso, Laurent-Désiré Kabila. Con questo artificio si sono succeduti gli innumerevoli movimenti di ribellione armati, compreso l’M23 (Movimento 23 Marzo) di cui si sente parlare ultimamente.
Nel 2001 viene assassinato Laurent-Désiré Kabila, in circostanze non ancora chiarite. Al suo posto subentra Joseph Kabila, tuttora al potere. Questo «regime change» ha in qualche modo cambiato lo scenario di guerra?
Sì. Il Ruanda, che durante tutto questo periodo aveva lavorato per creare i suoi ribelli, con il sopravvento di Joseph Kabila – le cui origini sono dubbie, oltre che oggetto di aspre contestazioni – si trova ad avere un alleato sicuro, in quanto ex elemento dell’Esercito patriottico ruandese (Apr). Infatti dopo pochi mesi, nel 2002, vengono siglati gli accordi di Sun City tra «ribelli» e il governo di Joseph Kabila. In pratica, con la morte di Laurent-Désiré Kabila, sia il Ruanda che l’Uganda possono accedere alle immense ricchezze del Congo, così come previsto dal piano statunitense all’indomani della fine della guerra fredda.
Con questi accordi la guerra finisce e dunque anche gli atti di violenza? Insomma finalmente il Congo può pensare ad un futuro di pace?
Assolutamente no! Gli accordi siglati a Sun City avrebbero dovuto condurre alla pace se davvero si fosse trattato della lotta per la democrazia e la libertà. Ma, come dicevo prima, il vero motivo di questa guerra è l’accesso delle multinazionali alle immense ricchezze del Congo da una parte, e l’estensione del territorio ruandese dall’altra. Le popolazioni della zona orientale del Congo sono costrette a scappare e ad abbandonare le loro terre oppure vengono uccise, ogniqualvolta i sedicenti ribelli avanzano sul suolo congolese che poi verrà occupato da cittadini ruandesi. Le donne vengono stuprate e nella maggior parte dei casi contraggono l’Hiv. Un modo molto efficace, questo, per colpire a morte il mio paese, perché la donna costituisce l’elemento portante della nostra società. Questa situazione fa della Repubblica democratica del Congo la «capitale mondiale dello stupro», con più di 400mila abusi sessuali all’anno durante i periodi di guerra. Il Congo è un caso lampante di pulizia etnica, considerata oggi dal diritto internazionale un crimine contro l’umanità.
Intanto, i vari «ribelli» continueranno a spartirsi il potere fino alle elezioni del 2006, mentre il Ruanda e l’Uganda procedono con la loro opera di occupazione. Per arginare la resistenza della popolazione congolese a questa situazione, nel 2009 sorge un altro movimento di ribellione, il Congresso nazionale per la difesa del popolo (Cndp): ennesima creatura del Ruanda. Così il 23 marzo del 2009 verranno siglati altri accordi tra il governo di Joseph Kabila e questo movimento. Accordi che permetteranno, come per le altre «ribellioni», l’inserimento nell’esercito congolese di nuovi militari «ribelli», per la maggior parte di origine ruandese. Nell’ottobre del 2012, alcuni elementi appartenenti al Cndp, ormai facente parte della coalizione a sostegno di Joseph Kabila, insorgono ed occupano la città di Goma – la capitale della regione del Nord-Kivu – dichiarando che gli accordi del 23 marzo 2009 non erano stati rispettati. Da qui il nome M23 attribuito al movimento armato.
Il Congo rappresenta un caso particolare di concentrazione delle risorse naturali, tant’è che durante la conferenza di Berlino del 1884, che sancisce la spartizione dell’Africa da parte delle potenze europee, gran parte delle discussioni riguardarono il bacino del Congo. Durante la Seconda guerra mondiale, l’uranio del Congo servì per la fabbricazione della bomba atomica lanciata su Hiroshima e Nagasaki. Oggi il valore delle risorse del Congo viene stimato in parecchie centinaia di miliardi di dollari. Per tutte queste ragioni e per la scoperta di altri minerali, come il coltan, usati nella fabbricazione di apparecchiature di ultima generazione, il Congo riveste un’importanza particolare per l’economia internazionale.
Sembra che Joseph Kabila abbia preso le distanze dagli Stati Uniti, preferendo la Cina. Che ne pensa?
Non c’è nessuna presa di distanza, dal momento che i cinesi operano nel Congo dagli anni ’70, chiamati da Mobutu. C’è stata effettivamente la firma di un accordo nel 2008 tra il Congo ed alcune società cinesi che prevede la realizzazione di alcune infrastrutture (a cura dei cinesi) in cambio di materie prime (da parte del Congo). I termini di questo accordo, oltre a garantire lauti guadagni alle imprese cinesi, riservavano loro anche la possibilità di sciogliere il contratto offrendo clausole molto vantaggiose e ponendo il governo congolese in una posizione di debolezza. I cinesi (qui si tratta di imprese e non del loro governo) investono senza preoccuparsi della questione dei diritti umani; questa è una delle ragioni per cui Kabila ha favorito l’accordo. Tuttavia, la base del suo potere rimane sempre l’insieme delle potenze occidentali. Joseph Kabila sta svendendo il paese per potersi mantenere in carica.
Lei ci dice che il Congo è occupato dal vicino Ruanda, ma in fin dei conti i confini tra questi due paesi sono stati definiti in modo artificioso dall’Occidente per poter procedere poi alla spartizione dell’immenso territorio dell’Africa e delle sue inesauribili ricchezze. Dunque andando a ritroso sareste tutti fratelli di un unico grande paese, senza questi confini fittizi. Con queste guerre è come se faceste il gioco dell’Occidente che vuole dividere e smembrare gli stati e le sue popolazioni per indebolirli da dentro.
Non è esattamente così. Prima della spartizione dell’Africa da parte degli europei, esistevano entità territoriali molto importanti come ad esempio il regno del Kongo, l’Impero del Ghana, il regno di Matamba eccetera. Queste erano entità organizzate e autonome. L’idea di un’Africa omogenea, uguale e unica, non corrisponde al vero: ci sono diversi popoli e diverse culture in Africa. Abbiamo sì una stessa origine, ma nel corso della storia si sono create delle entità ben distinte, anche se ripartite su territori molto vasti. La guerra che si sta combattendo in Congo non ha niente a che vedere con il problema dei confini; infatti molti ruandesi sono stati accolti senza problemi in Congo. La guerra che sta subendo il mio paese è dovuta al controllo delle ricchezze da parte di gruppi finanziari occidentali. Per questo motivo vengono usati dirigenti senza scrupoli e, soprattutto, non rappresentativi della volontà delle popolazioni africane. Secondo me la soluzione non va cercata nell’abolizione delle frontiere, processo che avverrà naturalmente e autonomamente in condizioni di pace, ma nella scelta da parte dei popoli africani dei loro legittimi rappresentanti. In questo processo dovrà essere rivalutata una figura importante della società africana: il capo villaggio (chef coutumier), che è il suo vero collante. La società africana dovrà essere riorganizzata partendo da un modello proprio dell’Africa e non da esperienze importate, che tra l’altro stanno dimostrando tutti i loro limiti negli stessi paesi di origine.
L’ex vescovo di Goma, Jean-Marie Runiga Rugerero, oggi presidente e guida spirituale dell’M23, alle accuse che l’Onu rivolge all’Uganda e al Ruanda (ossia di appoggiare l’M23) risponde che «il problema è solo congolese, Kinshasa ha tutto l’interesse a dirottare all’esterno l’attenzione di una realtà interna». Che ne pensa?
Questo signore, che non è mai stato vescovo perché non è mai figurato nell’elenco dei vescovi della Conferenza episcopale nazionale congolese (Cenco), non può che recitare il copione che gli è stato assegnato. L’M23 è un movimento ideato, promosso e sostenuto dal Ruanda. Durante l’ultima invasione di Goma dello scorso novembre, l’esercito ruandese costituiva il grosso delle truppe di occupazione. Jean-Marie Runiga Rugerero può spiegarci come mai Laurent Nkundabatware, militare ruandese, da quando nel 2009 è stato spiccato un mandato di cattura contro di lui, si è rifugiato in Ruanda? Eppure diceva di voler salvare i suoi «connazionali» congolesi dalla dittatura. Dove si trova Bosco Ntaganda, altro ruandese ricercato dalla Corte penale internazionale? Naturalmente in Ruanda. È sempre lo stesso copione che si ripete.
Che cosa significa una guerra ventennale e quali sono i suoi effetti
Dall’inizio di questa guerra, 8 milioni di persone hanno perso la vita. Una regione intera, il Kivu, all’est del Congo, vive una delle più grandi tragedie umanitarie al mondo, nell’indifferenza totale della cosiddetta Comunità internazionale che tanto professa il suo attaccamento ai diritti umani. Oggi la guerra in Congo è definita «guerra di bassa intensità», come se la gente non continuasse a morire, a scappare dai massacri perpetrati dal governo ruandese di Paul Kagame col silenzio complice delle grandi democrazie. Il futuro di molte generazioni si trova così compromesso. Il danno che subisce il popolo congolese non può essere quantificato esattamente adesso. Gli interessi economici hanno trasformato gli esseri umani da soggetto dell’azione politica a semplice mezzo. L’uomo viene considerato solo nella sua valenza funzionale e non più secondo la sua essenza.
Ci vorrà uno sforzo enorme per poter ricominciare. Stiamo sopportando un peso troppo grande con questa guerra. Il mondo non si rende conto che tutta questa sofferenza avrà ripercussioni su intere generazioni se non si fa nulla per fermare il ciclo di violenza che è stato innescato, o se addirittura si lavora per mantenerlo nel tempo. Non è accettabile che l’Onu denunci il sostegno del Ruanda all’M23 e contemporaneamente gli offra un seggio presso il Consiglio di sicurezza.
Com’è possibile che la comunità internazionale con il più grande contingente presente in un paese, composto da 17mila uomini, non riesca ad evitare stupri di massa e massacri della popolazione congolese da parte delle milizie dell’M23? Come si spiega che sempre la comunità internazionale voglia incrementare la presenza militare in Congo con una Forza di pace africana a cui parteciperanno anche gli eserciti del Ruanda e dell’Uganda, gli stessi accusati dall’Onu?
intervista a cura di Stefania Russo