di Simonetta Salacone
Dopo l’opera prima, lo splendido affresco storico «Louise. Canzone senza pause», ambientato nell’Europa delle guerre di religione, Eliana Bouchard affronta nel suo nuovo romanzo, «La mia unica amica», un tema completamente diverso: l’amicizia fra due bambine che nasce sui banchi di scuola, dura solo un anno scolastico, ma segna profondamente la vita di ambedue le protagoniste.
Il romanzo La mia unica amica, di Eliana Bouchard, è ambientato in un paesino della montagna piemontese, probabilmente, come si evince da alcune situazioni appena accennate, in una delle valli valdesi, in una piccola scuola di montagna, dove, dalle finestre, entrano i prati, gli alberi, gli uccelli e dove la natura mostra subito di non essere solo la cornice, ma uno dei protagonisti principali dell’esile trama degli eventi. La bambina che narra e Stella, la sua vicina di banco, sono arrivate in paese nell’anno in cui inizia il racconto. Estranee alla classe, si sistemano nell’unico banco vuoto, in prima fila, di fronte alla cattedra dell’insegnante e, nel breve volgere dell’anno scolastico, intessono un rapporto che appare all’inizio brusco e fatto di poche parole, ma che diviene via via più intenso e rivela la complementarietà dei loro caratteri e delle loro attitudini e abilità.
La bambina che narra, sotto un aspetto tranquillo e riflessivo, nasconde una tumultuosa capacità di fantasia, che la porta in lidi lontani, su mari ghiacciati, fra flutti e animali esotici, alla ricerca di passaggi sconosciuti e di fari che indichino la rotta. Stella, chiusa e di poche parole, fino a sembrare a volte sgarbata, è dotata di una straordinaria inventiva grafica e riesce a trasferire nel linguaggio dei segni e dei colori tutta la ricchezza di una intelligenza vivissima che non esibisce e che addirittura manifesta all’esterno con fastidio. La classe, con alcune figure appena tratteggiate e altre più disegnate, comunque in una visione corale e d’insieme, fa da sfondo a questo rapporto di amicizia di cui l’abile insegnante intuisce la profondità e di cui alimenta la crescita.
Diverse per provenienza sociale e culturale, per carattere e per attitudini, le due bambine arricchiscono, nello scorrere dell’anno, il loro rapporto attraverso scontri verbali, riflessioni appassionate su temi complicati, esplorazioni condivise nell’ambiente naturale, esperienze suggerite dall’insegnante, episodi controversi di vita con i compagni di classe. Pochi ed essenziali gli eventi che punteggiano l’anno scolastico: la mobilitazione dei ragazzi e dell’intero paese per assistere all’eclissi di sole, la bravata del compagno che, utilizzando in modo imprudente lo slittino, rischia la vita, una reazione violenta della narratrice verso un’alunna che, per invidia e in sua assenza, ha criticato aspramente Stella, uno scherzo di cattivo gusto perpetrato, in maniera anonima, ai danni della stessa sgradevole bambina. Sotto l’apparente semplicità della trama che segna la profondità del rapporto fra le due amiche, durato solo un anno scolastico, ma della cui densità è testimone un inatteso quanto illuminante finale spostato lontano nel tempo, si dipanano temi profondi.
Il romanzo ci invita a riflettere sulla radicalità delle esperienze dell’infanzia nella costruzione delle personalità adulte; sul groviglio di sentimenti e passioni che abita le esperienze dei bambini; sulla ricchezza e la profondità del loro pensiero, di cui gli adulti ignorano lo spessore, avendo forse dimenticato la propria esperienza di crescita; sull’importanza dei luoghi in cui si vive da bambini; sulla centralità della scuola e delle insegnanti nella formazione del carattere e nella scoperta delle vocazioni e capacità di ciascuno.
La scuola descritta da Eliana Bouchard ci appare ormai come un luogo sospeso fra la fantasia e il ricordo. Quella che è stata «la» scuola per molti di noi non più giovani, oggi non c’è più: sono rarissime le scuole di montagna, con un’insegnante unica, e sono non più concepibili scuole che operino in contesti mediaticamente silenziosi e che offrano agli alunni tempi di apprendimento distesi ed esperienze a diretto contatto con la natura. Sono, forse, meno rare le maestre capaci di giocare un ruolo così fondamentale di regia come quella che la bambina narrante chiama «la nostra regina» senza la quale, afferma, «siamo un gregge allo sbando», ma ci piace pensare che per molti bambini la scuola, anche quella di oggi, così cambiata, sia ancora il luogo «dove tutto comincia e tutto finisce».
Eliana Bouchard, «La mia unica amica», Bollati Boringhieri, 2013 (242 pagine, 16,50 euro)