di Luigi Sandri
Da quando è stato eletto vescovo di Roma, Bergoglio continua a seminare segni di consolante discontinuità rispetto al passato, e l’esortazione apostolica «Evangelii gaudium» lo conferma. Ma la strada è in salita, e lo prova la sua riaffermazione delle tesi di Wojtyla e di Ratzinger contro i ministeri affidati alle donne.
Dove va la Chiesa di Francesco, da lui spronata ad un trascinante mutamento di prospettive pastorali e, dunque, istituzionali? I suoi primi nove mesi di servizio episcopale in Roma sono stati caratterizzati da singolari omelie; da parole non scontate («oh, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri»); da viaggi paradigmatici (Lampedusa); dall’avvio di riforma delle opache finanze vaticane; dalla convocazione di due Sinodi dei vescovi dedicati al tema cruciale della famiglia; dall’esortazione apostolica (Evangelii gaudium, del 24 novembre) che invita l’intera comunità cattolica ad un radicale ravvedimento evangelico, implicante anche la conversione del papato. Quo vadis?
Tra legge e Vangelo, princìpi inflessibili e misericordia
Evidenti sono le novità portate da Jorge Mario Bergoglio nella comprensione stessa del suo ruolo di vescovo di Roma e perciò, secondo la dottrina cattolica, di sommo pontefice della Chiesa universale. E la sua insistenza sulla Chiesa che deve «andare verso le periferie» e osare prendere il largo lo spinge a guidare la barca di Pietro verso lidi inesplorati da molti secoli.
Questa rotta esige, tra l’altro, di affrontare in modo nuovo e ardito il dilemma princìpi/misericordia. Da alcuni decenni le persone omosessuali, o quelle divorziate e risposate, non sono più indicate a dito dai documenti magisteriali, ma, invece, con rispetto; e, tuttavia, viene considerato inammissibile che una persona omosessuale conviva con un partner dello stesso sesso, e a divorziati/e risposati/e viene proibito di accostarsi all’Eucaristia. E – altro tema – con l’enciclica di Paolo VI Humanae vitae (1968), ribadita poi da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI, la contraccezione veniva condannata in nome di un’asserita «legge naturale» ritenuta volontà di Dio.
Papa Francesco insiste, invece, sull’annuncio della misericordia e, ad esempio, sembra lasciar balenare che anche le persone divorziate e risposate possano accostarsi all’Eucaristia; in merito, ha citato le Chiese ortodosse che – affermando il principio dell’indissolubilità, ma avendo misericordia della singola persona – ammettono un altro matrimonio. Una tale disponibilità, per quanto al momento solo implicita, ha sconcertato i guardiani dell’ortodossia. E così il tedesco monsignor Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, con un intervento riproposto su L’Osservatore Romano del 23 ottobre, ha precisato: «Attraverso quello che oggettivamente suona come un falso richiamo alla misericordia si incorre nel rischio della banalizzazione dell’immagine stessa di Dio, secondo la quale Dio non potrebbe far altro che perdonare. Al mistero di Dio appartengono, oltre alla misericordia, anche la santità e la giustizia; se si nascondono questi attributi di Dio e non si prende sul serio la realtà del peccato, non si può nemmeno mediare alle persone la sua misericordia… La prassi delle Chiese ortodosse non è coerente con la volontà di Dio, chiaramente espressa dalle parole di Gesù sulla indissolubilità del matrimonio. L’indissolubilità del matrimonio sacramentale è una norma di diritto divino, che non è dunque nella disponibilità autoritativa della Chiesa».
Queste parole di Müller – che riassumono quanto detto da Wojtyla e da Ratzinger – dimostrano in modo lampante l’indisponibilità di una parte importante della Curia romana (e dell’episcopato cattolico) ad imboccare la via indicata da Francesco. Certo, per chi accetti le parole di Gesù è indiscutibile che l’ideale evangelico propone che una donna e un uomo uniti in matrimonio vivano fino alla morte in fedeltà indissolubile; e che grave responsabilità è rompere quel patto. Adesso, però, non è in questione il principio dell’indissolubilità, ma un altro: che fare se un coniuge spezza il legame matrimoniale e si lega ad un altro partner? Si potrà avere, anche per lui, misericordia, e accoglierlo – pur convivente con il nuovo partner – alla comunione o si dovrà vita natural durante escluderlo dall’Eucaristia? Un paragone illumina la crudeltà e l’insostenibilità della posizione vaticana: può mai, un omicida (o, peggio, un tiranno «cattolico» che fa uccidere migliaia di innocenti) restituire la vita alle sue vittime? Non può: dunque, logicamente, la Chiesa romana non dovrebbe mai più permettergli – per quanto pentito e mille volte confessatosi – di accostarsi all’Eucaristia; potrebbe solo invitarlo a fare penitenza fino alla fine dei suoi giorni, affidandosi alla misericordia di Dio. Infatti, il comandamento di Dio – Tu non ucciderai – è assoluto; eppure, quante eccezioni ha fatto il magistero papale e conciliare: sia benedicendo «guerre giuste» sia mandando al rogo «eretici/he» (tali, s’intende, secondo il potere ecclesiastico)! Una scandalosa prassi dei «due pesi e due misure».
D’altronde, come bene dimostra il teologo Giovanni Cereti (si veda questo numero, pag. 42), il Concilio di Nicea del 325 – il primo Concilio ecumenico, veneratissimo in Oriente e in Occidente – impose ai cathari (i «puri», i seguaci del rigorista Novaziano) di accettare nella e alla comunione, dopo una severa penitenza, anche i divorziati risposati. E così proprio la più antica e veneranda tradizione della Chiesa mostra la fragilità dei moderni Novaziani: i custodi della tradizione, la violano!
Inevitabile la domanda: la sortita di Müller è stata un colpo dell’ala curiale che manovra contro Francesco, o il papa stesso l’ha approvata? Nel primo caso, sarebbe la prova della crescente ostilità di un più o meno ampio gruppo di prelati (appoggiati da diversi vescovi del mondo) che, nostalgici di Ratzinger, riempiono di macigni la strada imboccata da Bergoglio. Nel secondo caso potrebbe essere stato Francesco a voler dare un contentino all’ala conservatrice, sperando poi che i prossimi due Sinodi ribaltino la situazione. Del resto, l’arcivescovo di Monaco, cardinale Reinhard Marx, proprio replicando al suo conterraneo ha detto che non è pensabile chiudere, prima di aprirlo, il tema dell’ammissione all’Eucaristia delle persone divorziate e risposate: si dovrà discutere nei Sinodi! In effetti il papa ha deciso di convocare due Assemblee sinodali (una «straordinaria», nell’ottobre prossimo, con la partecipazione dei presidenti delle Conferenze episcopali, e una «ordinaria», nel 2015, con la partecipazione dei delegati delle Conferenze), dedicate alla famiglia. In vista del primo round, la Segreteria del Sinodo, guidata da monsignor Lorenzo Baldisseri, ha inviato alle Conferenze episcopali un Questionario con una serie di domande su come i fedeli valutino e vivano la dottrina ufficiale su famiglia, sessualità, contraccezione, divorziati risposati, omosessuali… Ma, fatto nuovissimo, anche gruppi o singole persone possono rispondere alle domande e inviare il loro parere a Roma. È un modo – inedito, coinvolgente e potenzialmente deflagrante (se non verrà abilmente svuotato) – per ascoltare la voce del «popolo di Dio»; e, comunque, la dimostrazione della volontà di Francesco di sentire la voce dei fedeli e di camminare con loro. Insomma, Bergoglio propone un radicale rovesciamento di prospettive: non più un magistero che pontifica a tavolino, ma vescovi che, prima di decidere, ascoltano quello che pensa e vive la loro gente.
La nuova rotta della barca di Pietro
Essendo una «esortazione apostolica», l’Evangelii gaudium ha una connotazione magisteriale minore, rispetto a quella che avrebbe avuto se fosse stata un’enciclica. Ma, nella sostanza, questo documento è ben più che un’enciclica: rappresenta un audace programma di pontificato e dà una sterzata visibilissima alla rotta impressa al post-Concilio da Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. A parte che quando parla delle ingiustizie imposte ai poveri dal sistema economico dominante, si sente l’eco di accenti non consueti in Vaticano, è soprattutto nella visione della Chiesa che delinea un profilo profondamente rinnovato. Egli chiama tutti alla conversione, al diritto-dovere di annunciare con mitezza e con gioia l’Evangelo, alla corresponsabilità (alla sinodalità, diremmo). Parole qua e là talora già seminate dai precedenti pontefici, ma lasciate incompiute e vaghe.
Bergoglio, invece, precisa: «Dal momento che sono chiamato a vivere quanto chiedo agli altri, devo anche pensare a una conversione del papato. A me spetta, come vescovo di Roma, rimanere aperto ai suggerimenti orientati ad un esercizio del mio ministero che lo renda più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli e alle necessità attuali dell’evangelizzazione. Giovanni Paolo II chiese di essere aiutato a trovare “una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova” [enciclica Ut unum sint del 1995]. Siamo avanzati poco in questo senso. Anche il papato e le strutture centrali della Chiesa universale hanno bisogno di ascoltare l’appello ad una conversione pastorale. Il Concilio Vaticano II ha affermato che, in modo analogo alle antiche Chiese patriarcali, le Conferenze episcopali possono “portare un molteplice e fecondo contributo, acciocché il senso di collegialità si realizzi concretamente”. Ma questo auspicio non si è pienamente realizzato, perché ancora non si è esplicitato sufficientemente uno statuto delle Conferenze episcopali che le concepisca come soggetti di attribuzioni concrete, includendo anche qualche autentica autorità dottrinale. Un’eccessiva centralizzazione, anziché aiutare, complica la vita della Chiesa e la sua dinamica missionaria» (n. 32).
Ma chi fu soprattutto ad opporsi a che le Conferenze episcopali avessero «anche qualche autentica autorità dottrinale»? Joseph Ratzinger, da cardinale e da papa. Al contrario, l’attenzione che, ad esse, dedica Francesco traspare non solo dalle citate parole, ma dal fatto che egli si riferisce spesso, nel suo testo, a documenti di Conferenze episcopali di Brasile, Francia, Filippine, Stati Uniti d’America, Oceania e America Latina.
L’appello alla povertà, a riscoprire la gioia di vivere l’Evangelo e di annunciarlo mitemente, a camminare insieme, ad essere misericordiosi, ad intraprendere con coraggio strade nuove, a riflettere sull’eredità perenne del popolo di Israele, a dialogare con le altre Chiese, a collaborare con l’islam per la giustizia e la pace (precisando: «Noi cristiani dovremmo accogliere con affetto e rispetto gli immigrati dell’islam che arrivano nei nostri paesi, così come speriamo e preghiamo di essere accolti e rispettati nei paesi di tradizione islamica»)… innerva Evangelii gaudium e, dunque, allarga il cuore dei fedeli, infonde fiducia, dà speranza e, forse, può essere visto con simpatia anche da chi cattolico non è.
Se la questione-donna rimane irrisolta nella Chiesa romana
Però su un punto (altri ce ne sarebbero, ma non possiamo trattarli qui) il testo papale non riesce, ci sembra, a velare evidenti contraddizioni. Afferma (nn. 103-4), infatti, che le donne debbono essere presenti là «dove si prendono decisioni importanti, anche nella Chiesa», ma ribadisce: «Il sacerdozio riservato agli uomini, come segno di Cristo Sposo che si consegna nell’Eucaristia, è una questione che non si pone in discussione, ma può diventare motivo di particolare conflitto se si identifica troppo la potestà sacramentale con il potere».
Ma, osserviamo, Gesù ignora il sacerdozio (mediazione tra Dio e l’umanità), e parla solo di servizio nella comunità: e perché questo non potrebbe essere sia di maschi che di femmine (che già lo fanno, purché non pretendano… potere sacro)? Si comprende che Francesco fatichi a dire un sì là dove i suoi predecessori hanno detto un no; e tuttavia spiace che abbia troncato un tema dirimente per il futuro della Chiesa cattolica. Del resto, sarà inevitabile, seppur dolorosissimo (agguerrite, infatti, sono le schiere dei «tradizionalisti» pronte ad opporsi), fare dei mea culpa per decisioni, non volute da Dio, imposte alle coscienze. Perciò non basterà cambiare la pastorale, ma proprio alcuni princìpi proclamati dai papi al di fuori del perimetro delle Scritture. Ma si potrà fare questa «inversione ad U» senza un nuovo Concilio generale della Chiesa romana, che coralmente cambi rotta?
Altra non piccola aporia ci appare il fatto che Francesco, in una lettera, abbia fatto sua questa tesi di un prelato vaticano legatissimo a Ratzinger: «Il Vaticano II fu un Concilio di continuità e non di discontinuità». Certo, per alcuni aspetti esso ha ribadito tesi tradizionali; ma, per altri (riconoscimento della vocazione degli ebrei nel piano divino; l’affermazione del principio della libertà religiosa…), ha lacerato il precedente magistero. Negarlo consolerà alcuni monsignori, teologi e commentatori di corte, lefebvriani ad honorem, ma apre irrisolvibili problemi teologici e pastorali; e, infine, svuota il Vaticano II.
(pubblicato su Confronti di gennaio 2014)