di Rocco Luigi Mangiavillano
Gli anziani fragili della periferia est di Roma, tra Torre Spaccata e Tor Bella Monaca, in VI Municipio, da alcuni mesi sono letteralmente scesi in lotta per i propri diritti. Li ho incontrati la prima volta nel maggio scorso: tutti seduti in fila, composti, con i cartelli di protesta in mano e lo sguardo, mai rassegnato, di chi porta il peso e i segni del vissuto di una vita intera fatta di sacrifici e di onesto duro lavoro; con l’espressione di chi, sgomento, si sente tradito nel profondo della dignità umana poiché costretto alla solitudine e alla marginalità. I «vecchi» de «La Fata Carabina» e del «Belleville», due centri diurni intitolati in omaggio ai racconti di Pennac, avevano occupato, pacificamente per alcune ore, i locali del Municipio, inscenando una protesta silenziosa, ma densa di rabbia e di sdegno tale da superare ogni parola. Malgrado le difficoltà tipiche dell’età avanzata manifestavano, fieri, il loro dissenso per i tagli all’assistenza domiciliare e ai centri diurni per le fragilità e la non autosufficienza. Persone fragili in lotta, e non solo per loro stessi, contro la delibera della giunta Alemanno, la 355, riguardante il riordino dei servizi sociali a Roma per le persone disabili, anziani e minori, delibera che di fatto, nell’ottica assurda imposta dalla spendig review, si è rivelata fin da subito come una vera e propria sciagura, poiché l’unico effetto che ha prodotto è stata la riduzione dei servizi essenziali alle persone più vulnerabili dei nostri quartieri. Venendo meno le forme di tutela della salute proprio di queste persone che appaiono invisibili, senza voce e poco rappresentate nei tavoli politico-istituzionali, il provvedimento del Comune ha fatto sprofondare nell’angoscia gli anziani non autosufficienti e gli operatori della cooperativa che prestano loro assistenza e cure quotidiane.
Ma le dichiarazioni in campagna elettorale di Ignazio Marino, attuale sindaco di Roma, e il risultato elettorale che successivamente aveva promosso il centro-sinistra al governo della giunta capitolina e in tutti i municipi della città, per un attimo avevano acceso la speranza per un superamento di questa infausta delibera. Infatti allo scopo di promuovere una nuova stagione di rilancio del welfare cittadino e, in particolare, nei territori più complessi della capitale, le periferie, questo gruppo di «rivoltosi» si è costituito in comitato e da subito ha cercato l’interlocuzione con l’istituzione locale a tutti i livelli, offrendosi di dare un contributo partecipativo a quel nuovo corso della politica da tutti auspicato: una politica attenta alle persone più deboli e, allo stesso tempo, strumento attivo di inclusione sociale, difesa dei diritti essenziali, compreso il lavoro incessante degli operatori dei servizi sociali, che si spendono quotidianamente insieme agli ultimi.
Ma questo sforzo di democrazia partecipativa e di presa di parola purtroppo ancora oggi rimane inascoltato. Nonostante le promesse e le rassicurazioni ricevute, il problema, non solo non è stato risolto, anzi forse la situazione è pure peggiorata. La prova è che né dal Municipio VI (l’attuale presidente ricopre anche la delega di assessore alle politiche sociali) né dall’assessorato per le politiche dell’inclusione sociale del comune di Roma sono arrivati i segnali significativi di cambiamento tanto attesi. I tagli all’assistenza domiciliare permangono e il centro diurno che accoglie gli anziani rischia la chiusura.
Per cui un nuovo grido di allarme viene sollevato da questo gruppo di uomini e donne nelle borgate romane: che ne sarà di noi, se verranno meno l’assistenza e il sostegno, se verrà a mancare la prevenzione che ci evita il calvario dell’ospedalizzazione impropria, e se verremo lasciati da soli in questa fase di «decadimento» fisico e cognitivo, elementi tipici dell’età avanzata?
Gli stessi insomma ritengono di essere «gli ultimi degli ultimi». Ma la delusione e la preoccupazione per il loro presente e immediato futuro non li scoraggia. Per cui gli anziani fragili del Quartiere del VI Municipio, zona Tor Bella Monaca, imbracciano nuovamente la protesta e, visto che non viene loro prospettata nessuna soluzione per evitare che la malattia, l’età, le difficoltà motorie, le ristrettezze economiche e il degrado dell’ambiente li porti o ad una istituzionalizzazione, con aggravio delle già poche risorse, o nella peggiore delle ipotesi a compiere atti autolesionistici, annunciano con più forza di prima di dar vita a una nuova stagione di battaglie.
Tranquilli! In questo caso la rivolta degli ultimi non alza barricate, non usa bombe carta, non lancia sampietrini e bottiglie molotov e non incendia i cassonetti mettendo a ferro e a fuoco la città. Non esiste violenza. La rivolta di questi anziani è una rivolta assai più rivoluzionaria. Per rispondere alla violenza e alle ingiustizie che loro stanno subendo, hanno scelto come armi carta e penna e come esplosivo la potenza della scrittura e delle parole. Hanno deciso di scrivere, forse per qualcuno di loro come un tempo ormai troppo passato. Sono ben 31 le lettere autografe che hanno inviato al sindaco di Roma, ed è in questi scritti che hanno riversato come fosse un’unica voce: paure, speranze e anche tracce delle loro storie di vita. Sperano fermamente che le parole abbiano ancora un peso, come una volta, e che il loro fermo NO all’offesa della dignità umana calpestata nei diritti (gli stessi per cui hanno combattuto da giovani) possa venire accolto da chi ha come compito quello più importante: ascoltare la voce dei cittadini.
Caro Sindaco, una preghiera: facciamo che Roma non divenga vergogna capitale! Grazie.