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«Le ribelli di Dio» di Adriana Valerio

by redazione

«Le ribelli di Dio», di Adriana Valerio

Feltrinelli, 2014, 176 pagine, 19 euro

recensione a cura di Giancarla Codrignani

Nel libro «Le ribelli di Dio», la teologa e storica Adriana Valerio ricorda le importanti personalità femminili presenti nella Scrittura, dimostrando il ruolo fondamentale svolto dalle matriarche dell’ebraismo, dalle profete e dalle testimoni cristiane.

Non si era ancora visto un libro sulla Bibbia e le donne che fosse insieme teologico, storico e politico. Adriana Valerio è una docente di Storia del cristianesimo che da quarant’anni si dedica con passione e coraggio a questa tematica e da ultimo ha progettato, insieme con tre bibliste europee (Irmtraud Fisher, Mercedes Navarro e Jorunn Oekland) una ricerca in 21 volumi assolutamente scientifica. In questo nuovo libro non ha solamente ripreso la memoria delle personalità femminili presenti nella Scrittura o verificato l’antropocentrismo della tradizione esegetica delle Chiese, ma ha dimostrato che le matriarche dell’ebraismo, le profete e le testimoni cristiane hanno di fatto agito sulla «storia che conta», a prescindere dalla damnatio memoriae che ha discriminato le «madri della Chiesa».

Una Rut, di malvista etnia moabita, vedova come la suocera ebrea, non torna alla sua casa cercando protezione e nuove nozze, ma segue Noemi, lavora per la sopravvivenza di entrambe, seduce Booz e gli chiede oltre che per sé anche per Noemi il riscatto che la legge imponeva solo al fratello del morto. Innova ancora la legge ebraica dedicando il primo figlio non al marito morto (secondo la prescrizione del levirato) né a Booz, ma alla suocera. Con lei accade che l’impurità dello straniero non impedisca ad una moabita di essere l’antenata di Davide e, secondo l’evangelista Matteo, di Gesù: ha reso universale la Legge. È il potere delle «donne che non hanno potere», ma che hanno intelligenza, intuito strategico, che usano per attraversare i conflitti, in questo caso senza ricorrere alla violenza. Così sono state donne le autrici della liberazione dalla schiavitù in Egitto, anche se l’esegesi tradizionale ha messo i riflettori su Mosè senza domandarsi chi ha fatto sì che sopravvivesse. Sono le donne all’origine della fondazione sia di Israele sia degli Arabi, non solo perché Sara e Agar sono madri di Isacco e Ismaele, ma perché Abramo, certo non esemplare quando ha ceduto la bellissima moglie al Faraone, ha comperato per darle sepoltura il campo che «costituirà il diritto di cittadinanza nella terra promessa» e perché Agar si salva da sola per fede. È un ribaltamento copernicano della visione patriarcale secondo cui la donna è inferiore fisiologicamente (è impura), moralmente (è inadeguata), giuridicamente (è inferiore), visione che per secoli è stata sacralizzata dall’autorità religiosa di un clero rigorosamente maschile che ha confermato il potere monocratico di un solo genere.

Le donne l’hanno sempre saputo. Le cristiane avevano trovato nelle parole di Gesù una verità incompresa anche dai discepoli e tradita da Paolo che, pur dicendo «non c’è più né uomo né donna», negava loro l’autonomia del corpo e il diritto di parola. Le donne argomentavano la superiorità di Eva per la sua sete di conoscenza (le eretiche montaniste), il favore di Dio non verso la forza virile, ma la debolezza femminile incarnata nel Cristo (Ildegarda), la creazione di Adamo dal fango inferiore a quella di Eva da materia organica (Lucrezia Marinella): il clero leggerà sempre la Scrittura a propria immagine e somiglianza.

Le donne avevano anche accusato, come Margherita di Navarra nel 1564: «Quelli che dicono che non è da donna guardare i Sacri Scritti son uomini malvagi ed empi, seduttori e anticristi. Ah, mie donne, le vostre povere anime non lasciate in balia di tali demoni abominevoli che vi fanno dannare». Ma l’interpretazione escludente persiste e lascia come sola via di fuga la lettura «altra», con un altro Dio (padre che non è mai padrone), un altro Gesù (che risana l’impurità assoluta della donna che soffre di perdite di sangue), un’altra Maria: non sottomessa, ma «sovversiva», non imprigionata in un ruolo, «la donna dello Spirito» dall’Annunciazione alla Pentecoste, «la serva del Signore» secondo il Magnificat. Nessuna donna è mai andata ad attaccare tesi sulle porte di un tempio; ma è configurabile da sempre un protestantesimo femminile che percorre tutte le confessioni e le religioni. Oggi sono tutte in difficoltà storica: forse il genere escluso può diventare necessario per riforme indilazionabili. Occorre però capire chi sono state (e sono) davvero «le ribelli di Dio».

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