di Adriano Gizzi
Per mesi i media hanno preparato l’opinione pubblica al fatto che con le elezioni europee si sarebbe abbattuta un’ondata euroscettica e «anti-europea» su tutto il continente. Spesso, però, hanno dimenticato di analizzare e spiegare come e perché nascono le critiche verso alcune scelte compiute dall’Unione europea. I cittadini vengono così divisi in pro e contro l’Europa: la possibilità di essere a favore dell’unità, ma per andare in una direzione diversa, non viene presa in considerazione.
Come previsto da tutti, le elezioni europee di maggio hanno segnato il trionfo dei cosiddetti «euroscettici»: categoria molto vaga, che può essere più o meno estesa a seconda dei punti di vista. Potremmo comprendere in questa definizione tutti i critici verso le politiche portate avanti in questi anni da popolari, socialisti e liberali nel Parlamento europeo. Ma quest’area vasta (ormai quasi al 40%) è anche molto eterogenea e comprende forze politiche moderate ed estremiste, di destra, di sinistra e senza etichetta. C’è tutto e il suo contrario: pacifisti e ultranazionalisti, difensori dei diritti umani e beceri razzisti, fini intellettuali e populisti, amici degli animali e neonazisti. Non tutti i media sono stati attenti a distinguere, per cui per esempio è capitato che qualcuno definisse «euroscettici» i nazisti greci di Alba dorata. Certo, sicuramente sono anche ostili all’integrazione europea, ma non è esattamente quella la loro caratteristica più allarmante. In realtà poi la confusione non è sempre casuale e – come abbiamo visto spesso – a qualcuno fa comodo mettere nello stesso calderone «euroscettico» tutte le posizioni critiche, affinché quelle più ragionevoli vengano confuse con quelle impresentabili e perdano così di credibilità agli occhi degli elettori. Un sistema molto abile per mettere a tacere chi, per esempio, contrasta con argomentazioni serie il fiscal compact e le politiche di austerità.
Per quanto riguarda i risultati elettorali, va rilevato innanzitutto l’aumento della frammentazione: i gruppi parlamentari potrebbero passare da sette a nove e molti eurodeputati resteranno tra i non iscritti. Il calo dei popolari (dal 36 al 28% dei seggi) era previsto da tutti i sondaggi, mentre non si è verificato il sorpasso da parte del gruppo dei Socialisti e democratici, rimasti fermi al 25%: a compensare le perdite in quasi tutti i paesi, sono bastati i successi del Pd in Italia, della Spd in Germania e dei laburisti in Gran Bretagna. Mentre un crollo proprio in questi tre paesi ha determinato il previsto calo dei liberal-democratici: dall’11 a poco più dell’8%. I verdi invece hanno retto bene, perdendo solo pochi decimali e attestandosi quasi al 7%. In calo dal 7 al 6% il gruppo Conservatori e riformisti e in crescita la Sinistra unitaria europea, che passa da meno del 5 a quasi il 7%. I partiti di sinistra hanno perso consensi quasi ovunque, ma il saldo positivo è dovuto allo straordinario successo in Grecia e in Spagna, oltre che ai tre seggi dell’Altra Europa con Tsipras. In lieve crescita, dal 4 al 5%, il gruppo Europa della libertà e della democrazia, di cui è protagonista assoluto l’Ukip di Nigel Farage, che in Gran Bretagna è diventato il primo partito con il 27%. Dovrebbe però essere abbandonato dalla Lega nord, che va verso l’abbraccio con il Front national di Marine Le Pen. Per costituire un gruppo sono necessari 25 parlamentari appartenenti ad almeno sette paesi dell’Ue. Data la miriade di partiti nazionalisti e xenofobi presenti, non sarà difficile formarlo: hanno già aderito i nazionalisti anti-islamici del Pvv olandese, gli xenofobi fiamminghi del Vlaams Belang e l’Fpö austriaco. Alba dorata e il partito antisemita ungherese Jobbik, invece, dovrebbero restare isolati tra i non iscritti: un’alleanza con loro sarebbe stata un autentico autogol per la leader del Fn, che da anni tenta di darsi un’immagine lontana dall’estremismo di destra del padre. Vedremo anche cosa faranno i 17 eletti del Movimento 5 stelle, che per formare un gruppo a sé avrebbero bisogno di trovare altri otto eurodeputati provenienti da sei paesi: a proposito di autogol, sta facendo molto discutere (anche all’interno del movimento) l’incontro fra Grillo e Farage per esaminare la possibilità di costituire un gruppo comune.
Le elezioni europee, inoltre, hanno prodotto veri e propri terremoti politici in alcuni paesi dell’Ue. In Spagna si è dimesso il segretario socialista Alfredo Pérez Rubalcaba, mentre in Francia – ma principalmente per uno scandalo – quello dell’Ump, Jean-François Copé. In Gran Bretagna resiste (ancora per quanto?) il leader liberaldemocratico Nick Clegg, ma anche conservatori e laburisti non se la passano bene. Sul prossimo numero vedremo le conseguenze del voto nella politica interna di quei paesi.
(pubblicato su Confronti di giugno 2014 nella rubrica «Spigolature d’Europa»)
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