di Giuseppe Giulietti
«Fortunato di essere in Italia». Questa la prima paradossale sensazione, mentre guardo i risultati che arrivano dal resto d’Europa. Altrove razzisti, neonazisti, neofascisti raggiungono percentuali a due cifre: dalla Francia alla Danimarca, dalla Grecia all’Ungheria… qui sono restati al palo, non sono, almeno per ora, in condizione di nuocere. Per una volta l’infelice anomalia italiana ha avuto la meglio sulla infelicissima norma europea e non ci sembra poca cosa anche perché, pure a casa nostra, erano risuonate le parole della discriminazione, della xenofobia, della caccia allo straniero e al diverso.
Allo stesso modo milioni di italiani non hanno gradito una campagna elettorale, sguaiata, urlata, nella quale sono stati evocati, persino i nomi di Stalin, di Pol Pot, di Hitler, di Mussolini , la marcia su Roma, la peste rossa, l’Olocausto, sino al vergognoso tentativo di piegare il politico italiano più schivo e lontano da questo linguaggio, Enrico Berlinguer, all’indecoroso spettacolo.
Questo, forse, è stato uno dei motivi che ha indotto non pochi elettori a votare Renzi pur non avendo condiviso sempre le sue proposte, a cominciare da quelle relative alla legge elettorale e alla riforma costituzionale.
Come utilizzerà ora Renzi questa investitura popolare? La riterrà un via libera su tutto, una promozione del governo con Alfano, un «sì» anche ad eventuali alleanze con Berlusconi? Oppure la utilizzerà per «cambiare verso» davvero all’Italia e preparare lo schieramento che dovrà affrontare le prossime elezioni politiche? Le prossime mosse saranno decisive e faranno capire la direzione di marcia. La legge contro la corruzione sarà approvata subito e con quali voti? Saranno ripristinati il falso in bilancio e la prescrizione? Spariranno le norme ad personam e ad aziendam?
Dal momento che articolo 21 – l’associazione di cui sono portavoce – si occupa di libertà di informazione, ci sembra doveroso chiedere se sarà infine presentata una legge per tagliare alla radice il conflitto di interessi e mettere fuori dalla Rai i governi e le forze politiche, come pure ha annunciato, durante la campagna elettorale, il presidente Renzi. Si tratta di temi e di materie, ma altre potremmo aggiungerne (dai diritti civili alla libertà religiosa, dall’accoglienza al salario di cittadinanza, dalle spese militari alla riforma della scuola pubblica), sulle quali potrebbe esistere un’ampia maggioranza in Parlamento, anche perché Sel, dissidenti «grillini» e lo stesso Movimento 5 stelle potrebbero convergere.
Naturalmente Renzi dovrà scegliere se restare vincolato ai voti degli Alfano o se potrà e vorrà osare di andare davvero oltre l’esistente, oltre i vecchi schemi. Questo non riguarderà solo lui. Grillo, che ha perso la sua sfida, deciderà di fare una spietata riflessione autocritica o continuerà ad insultare tutto e tutti, minacciare processi di piazza, rifiutare qualsiasi convergenza in sede politica e parlamentare? Sceglierà la strada della politica oppure resterà in attesa di conquistare il Palazzo d’inverno, che non c’è più da tempo, e di cacciare gli infedeli dal suo tempio, in questo caso scritto con la minuscola?
Al bivio si troveranno anche le altre forze della sinistra sociale e politica, anche quelle raccolte nella lista Tsipras, che ha comunque superato il non facile sbarramento del 4 per cento, e che dovrà ora scegliere se costruire un rapporto dialettico con questo Pd, oppure ricercare un’intesa con Grillo; e in ogni caso rischieranno nuove divisioni. Sullo sfondo restano milioni di italiane e di italiani che hanno comunque scelto di votare una destra che, pur disastrata, nelle sue diverse espressioni ha superato il 30 per cento dei consensi. Per ora sono divisi e in rissa; se e quando Berlusconi deciderà di passare la mano, torneranno ad essere competitivi, perché gli umori ed i livori che rappresentano esistono, perché milioni di cittadini non hanno votato questa volta, perché il centro-destra ha pagato il prezzo della divisione, degli scandali, del reciproco odio. Presto torneranno a riorganizzarsi e forse sarà un bene per la democrazia, perché l’assenza di un valido competitore indebolisce tutta la politica, impigrisce, crea l’illusione di una possibile autosufficienza, oppure la tentazione di comprendere dentro un solo contenitore tutto e il contrario di tutto, un po’ come faceva la vecchia Dc, a scapito per altro della dialettica politica, ideale, sociale. Lo vedremo presto, per ora ci accontentiamo – e non ci sembra poca cosa – di festeggiare la sconfitta, almeno in Italia, degli amici e camerati di Marine Le Pen.
(pubblicato su Confronti di giugno 2014)