di Luigi Sandri
Antonio Spadaro – direttore de «La Civiltà Cattolica», e uomo di fiducia del papa che gli ha concesso un’amplissima intervista – esalta una conferenza nella quale Bergoglio, allora superiore provinciale dei gesuiti in Argentina, sferra un attacco globale contro Giovanni Calvino (il grande padre della Riforma, con Lutero).
La domanda è: l’attuale vescovo di Roma mantiene le tesi del Bergoglio argentino? Se fosse così, fine del suo ecumenismo con il mondo protestante; se non lo è, come pensiamo, urge una chiarificazione di discontinuità da parte di Francesco.
Caro padre Antonio Spadaro, ti scrivo (permetti il «tu», come si usa tra colleghi giornalisti) in merito al libro di Jorge Mario Bergoglio Francesco, Chi sono i gesuiti (Emi, Bologna 2014, pagine 126, euro 11,90). Il volumetto riporta conferenze che l’attuale vescovo di Roma, quando era superiore provinciale dei gesuiti in Argentina, tenne per spiegare la missione che Ignazio di Loyola affidò alla Compagnia di Gesù; tra esse, una, del 1985, nella quale egli attacca frontalmente Giovanni Calvino, il padre – con Martin Lutero – della Riforma del XVI secolo. Afferma: «In quell’epoca davvero controversa della Riforma, i gesuiti erano più impensieriti da Calvino che da Lutero: essi seppero delineare nitidamente il vero nemico di quel momento. Per questo, se parliamo dei gesuiti come dei campioni della Controriforma, possiamo dire che la loro lotta si è concentrata contro il calvinismo scismatico».
«E qual è lo scisma calvinista che provocherà la lotta di Ignazio e dei primi gesuiti? Uno scisma che tocca tre aree: l’uomo, la società e la Chiesa… Nell’uomo il calvinismo provocherà lo scisma tra ragione ed emozione. Separa la ragione dal cuore. Qui ha origine lo squallore calvinista… Nella stessa ragione Calvino provoca un altro scisma: scisma tra la conoscenza positiva e la conoscenza speculativa… Lo scisma calvinista colpisce anche la società. Essa ne resterà divisa. Come apportatrice di salvezza Calvino, ovviamente, privilegia le classi borghesi… Ciò provoca e comporta una rivoluzionaria disistima verso i popoli… Calvino è il vero padre del liberalismo, che è stato un colpo politico al cuore dei popoli… In ultima istanza, il marxismo è figlio obbligato del liberalismo… In terzo luogo, lo scisma calvinista ferisce la Chiesa. La comunità ecclesiale viene ridotta a classe sociale e, pertanto, Calvino decapita quella figura che, in quanto Padre, può ricordare che ci sono altri figli» (pp. 21-39).
Certo, si possono evidenziare anche le ombre di Calvino (se mi permetti un’autocitazione, l’ho fatto pure io nel mio Dal Gerusalemme I al Vaticano III. I Concili nella storia tra Vangelo e potere, che spero la tua rivista prima o poi recensirà); ma darne una lettura come quella di Bergoglio è di una faziosità degna dei teocon. Giustamente il teologo valdese Paolo Ricca ha parlato di «sorpresa e delusione suscitate da alcune pagine dell’attuale pontefice sulla Riforma protestante, che purtroppo riproducono i più logori e grossolani chichés polemici usati dalla Controriforma in tempi lontani per diffamare il protestantesimo. Mai ci saremmo aspettati di vederli riproposti dal papa “venuto da lontano”» (Riforma, n. 22, 6 giugno 2014).
Mi domando: Bergoglio vescovo di Roma pensa come l’allora provinciale dei gesuiti argentini? Ovviamente, ha tutto il diritto di farlo; ma, se è così, dovrebbe porre fine, adesso, alle belle frasi ecumeniche all’indirizzo della Riforma (calvinista), che in realtà verniciano un categorico giudizio negativo; e, nel nostro piccolo, noi – il giro della rivista Confronti – ci opporremo a lui a viso aperto. Se poi ha cambiato idea (come ardentemente vogliamo pensare, prendendo sul serio le sue parole da papa), urge una sua pubblica rettifica. Con buona pace dei papolatri, insomma, dovrebbe essere chiarissima, sul tema trattato, la discontinuità tra il provinciale dei gesuiti argentini e Francesco. Tu, invece, nell’introduzione al volumetto sottoscrivi lietamente la disinvolta analisi bergogliana e definisci quella conferenza, come le altre riportate, «ricchissimi affreschi dai quali si può comprendere facilmente il modo di procedere di Bergoglio, fondato su due pilastri: la realtà e il discernimento». Dunque, le sue tesi di un tempo sono di oro zecchino? Pensalo, se vuoi; ma rendendoti conto della responsabilità che ti assumi, tu che – dopo l’amplissima intervista che Francesco ti ha dato (La Civiltà Cattolica, q. 3918, 19 settembre 2013) – ne sei quasi il portavoce. Mi sta benissimo che tu sia gesuita (del resto, io ho un debito grande di riconoscenza ai gesuiti miei professori, un tempo); mi disturberebbe però assai che tu facessi il gesuita. E allora ¡por favor, eh!, perché negare che tutto Bergoglio è troppo Bergoglio?
(pubblicato su Confronti di luglio/agosto 2014)
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