Apertura sessione SAE 2014 - Confronti
Home Religioni Apertura sessione SAE 2014

Apertura sessione SAE 2014

by redazione

AMA IL PROSSIMO TUO COME TE STESSO (Levitico 19,18)

La vita in relazione: prospettive etiche

La 51^ Sessione di Formazione Ecumenica si è aperta alle ore 8,30 di stamane, 27 luglio, all’Istituto Filippin di Paderno del Grappa con una riflessione biblica, in fedeltà alla scelta del S.A.E. di un dialogo a partire dalle radici ebraiche, effettuata da Mino Chamla (docente della Scuola Ebraica, Milano).

Rileggere la vicenda di Noè, e in particolare il capitolo 9 della Genesi, apparentemente il più “appartato” e interlocutorio nell’ambito di quella vicenda – ha sottolineato Chamla -, porta diritto al cuore di ogni interrogazione possibile sulla fondazione dell’etica, in una prospettiva ebraica, certo, ma anche oltre – nell’ovvio presupposto, peraltro, che la prospettiva ebraica porti sempre, per il suo senso costitutivo, oltre se stessa.

Non soltanto ci si fa incontro la tematica, spesso sottostimata e interpretata in modo un po’ minimalistico, delle Leggi di Noè, cioè i sette comandamenti universali, per tutte le genti, che i maestri della tradizione ebraica hanno “tratto” da questo testo – ma anche rinviando, com’è d’uso, ad altri versetti biblici o, in genere, ad altri luoghi dell’interpretazione.

Oltre la questione, pur già molto importante, del rapporto tra universalismo e particolarismo, tra doveri dell’umanità tutta e specifico ruolo, al riguardo, del popolo ebraico e della sua tradizione, in realtà è dello statuto stesso dell’etica, dei suoi fondamenti, che si parla qui, indicandone già i paradossi e le difficoltà, tra natura e cultura, tra volere divino e “legno storto dell’umanità”, tra etica pubblica e perfezionamento di sé, tra assolutezza e relatività. «E ancora una volta si potrà constatare – ha concluso il Relatore – come l’Ebraismo si riveli in radicale sintonia con i dilemmi della nostra più avvertita modernità».

“Concludiamo il ciclo dell’etica iniziato tre anni fa” ha esordito la presidente nazionale del SAE Marianita Montresor nella presentazione della Sessione, di fronte ai circa duecento partecipanti, provenienti da tutta Italia: cristiani di diverse denominazioni, ebrei, un musulmano. “Oggi all’interno del movimento ecumenico si è tutti concordi nel ritenere che ulteriori divisioni tra le chiese potrebbero essere motivate proprio da questioni etiche e non più, come in passato, da questioni teologico-dogmatiche”. Occorre però parlarne, e “sta a noi evitare che le divergenze significhino rottura di comunione”. Questa è la vera sfida, da affrontare com molto coraggio ed insieme con prudenza, poiché dobbiamo avere l’umiltà di accettare che ci sia qualcosa di finora incompreso da chiarire, che un domani potrebbe in qualche modo sciogliersi (Luigi Sartori). La stessa antropologia teologica dice che l’essere umano è in divenire e va verso un suo compimento: questo vale per l’identità sia personale, sia ecclesiale.

“Al momento è importante mettere in luce il valore e anche la fecondità di un pluralismo etico e mostrare che la compresenza di criteri etici diversi non è riducibile ‘sic et simpliciter’ ad un’opposizione tra bene e male, del resto c’è un pluralismo anche nell’interpretazione delle Scritture ed è possibile una fedeltà differenziata al Vangelo a partire dalla persona stessa di Gesù, nella convinzione che la luce dello Spirito guida tutti.

“La settimana di formazione ecumenica – ha sottolineato poi con forza la Presidente del SAE – non è solo l’occasione per un approfondimento intellettuale. L’ecumenismo è prima di tutto una dimensione del cuore, è un modo di vivere la fede che coinvolge tutta la persona, nei pensieri, nei sentimenti, negli affetti, ed è perciò il mondo delle relazioni, la quotidianità, il luogo privilegiato di apprendimento” e di crescita.

Ed ha concluso con l’invito a “vivere queste giornate in gioia, anzi in esultanza, che nasce dalla presenza dello Spirito; una gioia creativa, comunicativa e originale”, perché sa porre nella vita una qualità nuova. Gioia per avere avvertito la chiamata alla comunione, a rendere manifesta l’unità del genere umano. In fondo il nostro compito di cristiani è diventare pienamente umani, come ripeteva spesso il cardinale Carlo Maria Martini. Allora diventa centrale l’incontro, la capacità di sviluppare rapporti ricchi di calore, di trasparenza, di reciproca stima. ‘E’ l’ottica dello “scambio di doni” che deve caratterizzare le chiese, i cristiani, le fedi in dialogo”.

“Accanto alla vita” è il tema affrontato da Maria Pia Veladiano (scrittrice e preside, Vicenza). A seconda di chi parla dell’argomento – ha detto – ci sono accezioni diversissime. >> Diamo per scontato che quando noi ne parliamo resta che è preferibile vivere piuttosto che no, che comunque la vita rimane positiva come valore.

>> Questo non è vero però per un mare di situazioni accanto a noi. Come esempio ha portato l’intervista ad un addetto alla sicurezza americano, che racconta che nel momento in cui si sono affacciati un tipo di terroristi attentatori che non considerano il perdere la vita – la propria o quella dei propri cari – un problema, tutto è cambiato.

D’altro canto anche da noi tanti giovani non considerano più la vita come valore, esempio ne è la tendenza alle corse del sabato sera, l’abuso di sostanze, l’aumento esponenziale degli sport estremi.

La razionalità non sembra aver aumentato la nostra capacità di far fronte alla vita, e attualmente essa è percepita più come un problema da risolvere che come una realtà da vivere così come sta, e da migliorare nella misura del possibile, nei termini della nostra responsabilità per noi e per gli altri.

Nella percezione comune ha poco valore, “o sono dio, o non vale la pena”. “Accanto alla vita” vuol dire stare fermi in questa complessità a dire che la vita non è un paradiso, ma può essere buona.

Ed ha concluso – dopo molti riferimenti ad una intrigante esperienza educativa – affermando che “il tesoro è lì accanto, nel luogo dove sei stato messo”.

Giannino Piana (teologo morale, Arona) ha sviluppato il tema “La domanda morale oggi è il modello di un’etica della responsabilità” in chiave prevalentemente metodologica con la preoccupazione di far emergere una piattaforma attorno alla quale possano convergere – nel rispetto delle differenze, etica laica ed etica di ispirazione cristiana, ma soprattutto le diverse etiche che fanno capo alle diverse confessioni cristiane. La riflessione si è snodata in due momenti.

Il primo dedicato anzitutto ad evidenziare i luoghi in cui oggi principalmente affiora la domanda etica, soprattutto in rapporto ai mutamenti socioculturali indotti dalla rivoluzione scientifico – tecnologica: dalla new economy (con particolare riferimento all’odierna crisi finanziaria) ai processi di informatizzazione, fino alle manipolazioni genetiche. L’obiettivo è quello di mettere in evidenza la situazione paradossale in cui ci si trova. Da una parte cresce infatti la consapevolezza della necessità dell’etica per affrontare situazioni talora drammatiche, irrisolvibili con il semplice ricorso alla tecnica, “non tutto ciò che è possibile è anche umanizzante”; dall’altra oggi l’etica è sempre più in difficoltà per l’affermarsi di processi che sembrano esautorarne le ragioni o rendere impraticabile la convergenza attorno a valori comuni condivisi per il venir meno di quell’humus culturale nel quale affondavano le loro radici alcune “evidenze etiche” collettive.

Il secondo momento ha per oggetto il “che fare”. La proposta offerta (prevalentemente metodologica) fa appello alla categoria della “responsabilità”, che oggi da più parti si ritiene quasi sinonimo di etica, declinando secondo quattro “figure”: rispondere in prima persona, rispondere a qualcuno, rispondere di qualcosa – e, soprattutto in campo politico- legislativo – rispondere in situazione. Il modello etico così formulato unisce alla preoccupazione fondativa l’impegno di una risposta concreta di carattere normativo alle complesse questioni odierne, pervenendo all’elaborazione di un’etica duttile che, senza rinunciare al necessario riferimento ai principi o ai valori, mira al “bene possibile” e non disdegna, in alcune circostanze, di far proprio il criterio della riduzione del danno o del “male minore”.

Graziella Merlatti

Addetta stampa Sae

Articoli correlati

Scrivici
Send via WhatsApp