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Lavori della sessione SAE 2014 – La vita in relazione: prospettive etiche

by redazione

Il rumore delle armi, il sangue umano che intride la terra, il terrore che esplode sul volto dei piccoli pensavamo dovesse essere un ricordo lontano, cancellato dalle agende dei governanti, eliminato da regole civili del diritto internazionale. Invece no. Il martedì 29 luglio, nell’omelia della Messa per i convegnisti del SAE nella chiesa dell’Isituto Filippin di Paderno del Grappa, l’arcivescovo di Gorizia Carlo Roberto Maria Redaelli parlato dei cent’anni dell’inizio della I guerra mondiale. “Siamo ai piedi del monte Grappa, teatro di sanguinose battaglie” e tanti paesi furono completamente distrutti. Proprio ieri l’Arcivescovo ha indirizzato alla sua diocesi una lettera per rivisitare quegli anni tragici. Gorizia, tra il 1915 e il 1917 è stata al centro di ben 12 battaglie dell’Isonzo, il suo fiume. Una città che cento anni fa apparteneva all’impero austro-ungarico, perciò la guerra è iniziata nel 1914 e i suoi giovani sono partiti per il fronte russo. Una città che poi è stata profondamente ferita, spaccata in due dalla II guerra mondiale.

Una lettera intitolata “Egli è la nostra pace”, riprendendo un’affermazione di Paolo nella lettera agli Efesini, in cui parlo della pace e invito a concrete azioni di pace”. Ha ricordato alcuni interventi del suo predecessore di allora, l’arcivescovo Borgia Sedej, come la lettera quaresimale del 1915, in cui dopo aver accennato realisticamente ai guai della guerra, indica come debba diportarsi il Cristiano in tempo di guerra, ritenendola in alcuni casi giusta, e vi espone i vantaggi della guerra (ravvivamento della fede, maggior preghiera, più opere buone, ecc.), un invito alla rassegnazione, alla preghiera per la vittoria, alla confessione. E il 4 dicembre 1917 scrive: «ammirevole fu il successo dell’assalto dei nostri; in una settimana ebbero niente meno che 250.000 prigionieri di guerra e 2.300 cannoni conquistati. E chi non esclamerà con il Salmista: Quest’è opera di Dio e ammirabile ai nostri occhi. Questo è il giorno che fece il Signore e quindi esultiamo e rallegriamoci in esso». Il giorno cui fa riferimento l’arcivescovo di Gorizia di allora è la vittoria – o la disfatta dal punto di vista italiano – di Caporetto. Giorno del Signore? Forse gli italiani non erano molto d’accordo…

Oggi, so bene, che è facile scrivere sulla pace, quando sei tranquillo, seduto davanti al computer, sapendo poi che la gente ti applaude. Ma so bene che dentro il mio – posso dire il nostro?… – cuore ci sono i semi della guerra, della violenza, dell’odio, della vendetta. Occorre pregare il Signore affinché non vengano troppo innaffiati: spunterebbero presto della piante rigogliose, difficili da estirpare…” Ma “la Scrittura evidenzia tutto questo, lo mette a nudo, lo denuncia”, e “ci indica anche la strada per venirne fuori con l’aiuto dello Spirito Santo”.

Mons. Redaelli ha quindi invitato a leggere la parabola evangelica di oggi in riferimento alla costruzione della pace: “Penso che l’insegnamento sia molto semplice: considerare l’altro prossimo e farsi prossimo dell’altro. Per questo ho indicato nella lettera come prima azione di pace la conoscenza: «Conoscere l’altro: è decisivo per la pace. È più facile sparare – realmente o metaforicamente – a una sagoma, a una “categoria”, piuttosto che a un volto conosciuto. Tutto ciò che favorisce una crescita di conoscenza, di dialogo, di rapporto è fondamentale per avere la pace».

Graziella Merlatti

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