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Il rischioso cammino di papa Francesco

by redazione

di  Giovanni Franzoni

Recenti scelte e affermazioni del vescovo di Roma mostrano il suo tentativo di tenere insieme una Chiesa polarizzata. Su presenza del diavolo, aborto, eutanasia, egli ha espresso indicazioni che suscitano perplessità; su altri temi – questione sociale, povertà, sinodalità – ha invece indicato strade coraggiose e innovative.

È davvero difficile il «mestiere di vivere» del vescovo di Roma che, in quanto cardine dell’unità cattolica, deve custodire la comunione all’interno della sua Chiesa, solcata da opinioni variegate e, spesso, incomponibili (sintetizzando, tra conservatori e progressisti) su come affrontare certi intricatissimi nodi teologici, istituzionali, pastorali ed etici. Perciò ho sempre sentito sim-patia e affetto per i papi che hanno attraversato la mia esistenza, anche quando mi è sembrato che alcune loro decisioni fossero infelici. Con questo spirito guardo a Francesco e, senza darne una valutazione complessiva, vorrei qui riflettere su alcune sue recentissime iniziative, o dichiarazioni.

Se il papa è comunista

Organizzato e promosso dal Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, insieme alla Pontificia Accademia delle scienze sociali, dal 27 al 29 ottobre si è svolto in Vaticano l’Incontro mondiale dei Movimenti popolari. Ricevendoli, il 28, Francesco ha pronunciato un discorso, bellissimo ed appassionato, che a me è parso uno schema di enciclica, o un manifesto del pontificato.

«Se parlo di questo [“degli effetti distruttori dell’Impero del denaro”, e del porsi a fianco dei poveri che rivendicano la loro dignità] per alcuni il papa è comunista. Non si comprende che l’amore per i poveri è al centro del Vangelo. Terra, casa e lavoro, quello per cui voi lottate, sono diritti sacri. Esigere ciò non è affatto strano, è la dottrina sociale della Chiesa». E concludeva: «Dobbiamo rimettere la dignità umana al centro e su quel pilastro vanno costruite le strutture sociali alternative di cui abbiamo bisogno. Va fatto con coraggio, ma anche con intelligenza. Con tenacia, ma senza fanatismo. Con passione, ma senza violenza… Noi cristiani [nelle beatitudini: Matteo 5, Luca 6, e poi nel “giudizio finale”, Matteo 25] abbiamo qualcosa di molto bello, una linea di azione, un programma, potremmo dire, rivoluzionario».

La conturbante vicenda degli esorcismi

È un fatto che gruppi conservatori esercitano pressioni su papa Francesco per ottenere un incoraggiamento, una conferma e una benedizione sul loro operare in modo che, mentre qualcosa si dovrebbe cambiare, su certi temi nulla cambi. È sotto gli occhi di tutti che, non essendoci mai stata un’associazione di esorcisti nel corso dei secoli e dei millenni, mentre la credibilità del loro operare si stava attenuando (soprattutto nelle fasce sociali in cui dominava l’approccio scientifico ai problemi della sofferenza biopsichica) se ne è creata una nel giugno del 2014, che poi ha ottenuto la conferma dal papa. D’altronde, il 30 ottobre Francesco ha ribadito: «A questa generazione – a tante altre – hanno fatto credere che il diavolo fosse un mito, una figura, un’idea, l’idea del male. Ma il diavolo esiste e noi dobbiamo lottare contro di lui. Lo dice Paolo, non lo dico io! La Parola di Dio lo dice».

La rappresentazione della presenza diabolica nel mondo non è per nulla cambiata agli occhi di chi esercita la pratica dei riti sacramentali chiamati «esorcismi» per liberare, dalla possessione diabolica, delle persone ritenute invasate. Il diavolo è una creatura, su questo il cristianesimo non è mai scivolato nella filosofia iranica (che è dualista, per cui bene e male provengono da due divinità – Ormuz e Ahriman – antagoniste nel promuovere il bene e il male nel mondo). Lucifero, nella predicazione e nella catechesi cristiana, è un angelo ribelle precipitato negli inferi, ma in libera uscita per tentare gli umani al male e talvolta possederli, distogliendone i comportamenti da una vita salutare.

Questo immaginario si riferisce a narrazioni evangeliche nelle quali Gesù appare come un profeta che ha la potenza di liberare gli afflitti da un demone muto o da un demone che spinge alla caducità nel fuoco e nell’acqua o ancora da un demone che spinge alla solitudine e alla violenza. L’esegesi, in genere, ha interpretato guarigioni operate da Gesù di Nazareth come liberazioni da demoni, perché Egli non apparisse tanto come un novello Ippocrate, che riteneva le patologie guaribili con terapie, quanto piuttosto un profeta che invitava ad assecondare la sofferenza con gesti d’amore, preghiera e astinenza.

In tempi recentissimi, ricordo per esempio che il cardinal Ersilio Tonini, già vescovo di Macerata e di Ravenna, di indiscutibile spirito di allineamento alla conservazione nella teologia, intervistato in televisione sulla possessione diabolica e l’esorcismo si espresse con una forma che considerai di grande onestà: «Essendoci una prassi della Chiesa, non posso che accettarla. Ma – aggiunse – debbo francamente dire che, dopo una vita completamente spesa nella pastorale fra la gente, non mi sono mai imbattuto in una vera esperienza di possessione diabolica e di esorcismo». In pratica, mi sembrava che dicesse con coraggio «è meglio non parlarne».

Negli anni in cui ero rettore di Collegio, ho avuto due casi di epilessia e non ci fu da parte di alcuno ombra di sospetto che c’entrasse il diavolo. Un giovane che, come Comunità di base di San Paolo, avevamo fatto uscire dal manicomio e che aveva dei deliri nei quali recitava brani del vangelo riguardanti il diavolo e l’inferno, quando andò a vedere il film «L’esorcista» ne rimase fortemente impressionato. Per rivalsa, lo condussi a vedere l’«Esor­ciccio» – parodia diretta da Ciccio Ingrassia – e ne rimase talmente liberato da non aver più niente a che vedere col diavolo.

I fautori di una visione del maligno così dogmaticamente definita come provocatrice del male dovrebbero leggersi quanto si trova nella mistica islamica come nel poema Masnavi di Rumi (tradotto da Bausani), dove Satana sa di essere addetto a opporsi al bene e a produrre il male, ma non nasconde la sua nostalgia per l’amore divino ed è convinto di tornare alla compagnia dei santi con Dio, perché – e qui si rivolge ad Allah – «mi hai vinto, vinto, vinto». Non per nulla, nella sura 14 del Corano, si legge che il giorno del giudizio Allah offrirà a Satana l’invito a entrare nell’obbedienza. Saranno forse le lacrime di pentimento di Satana a spengere il fuoco infernale che abbiamo acceso con i nostri comportamenti su questa terra?

Aborto ed eutanasia: vietato discutere?

Il 15 novembre, ricevendo l’Associazione dei medici cattolici italiani, il papa ha detto: «Il pensiero dominante propone a volte una “falsa compassione”: quella che ritiene sia un aiuto alla donna favorire l’aborto, un atto di dignità procurare l’eutanasia… Tutti sappiamo che con tanti anziani, in questa cultura dello scarto, si fa questa eutanasia nascosta. Ma, anche, c’è l’altra. E questo è dire a Dio: “No, la fine della vita la faccio io, come io voglio”. Peccato contro Dio Creatore».

Queste parole mi hanno turbato: mi sono parse semplificatrici di problemi complessi. Non conosco donne che abbiano gioito al pensiero dell’aborto volontario; e, pare a me, è saggezza volere una legge dello Stato che regolamenti – entro casi ben precisi – l’interruzione volontaria della gravidanza. D’altronde, se ci fosse una corretta educazione sessuale, non ci sarebbero aborti. Ma perché allora Francesco non dichiara superata l’Humanae vitae, l’enciclica con cui Paolo VI proibiva i contraccettivi? È arduo, senza questo impegno, pensare di opporsi all’aborto.

Per quanto poi riguarda l’eutanasia – problema arduo che nessuno può affrontare in poche righe – ci si può chiedere: di fronte a mali incurabili e insopportabili (oppure di fronte a vite puramente vegetative, senza più coscienza e tenute in piedi artificialmente) è davvero immorale, e indegno, ipotizzare e desiderare che il Parlamento appronti una legge ad hoc che infine lasci sempre al paziente l’ultima parola? Gioverebbe a tutti, cattolici e non, confrontarsi responsabilmente sul fine-vita.

Il Sinodo, una buona scelta di metodo

Quello celebrato in ottobre è stato il miglior Sinodo dei vescovi. Prescindo qui dai suoi risultati (vedi Confronti 11/2014); parlo di metodo. Per la prima volta, da quando nel 1965 Paolo VI istituì questo organismo, si è visto un dibattito vero e una reale libertà di parola. Questa, in teoria, c’era anche prima; tuttavia Montini, Wojtyla e Ratzinger raccomandarono sempre ai «padri» la fedeltà al magistero, piuttosto che la parresìa, la franchezza. Dobbiamo a Francesco un chiaro e promettente cambiamento di clima e di prospettive. Spero che sulla strada intrapresa si cammini, si cammini fino a traguardi oggi inimmaginabili, così da inverare gli input della costituzione del Vaticano II, Lumen gentium, sulla Chiesa come popolo di Dio che cammina nella storia.

(pubblicato su Confronti di dicembre 2014)

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