A cent’anni dal genocidio degli armeni, polemica fra il papa e il governo turco - Confronti
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A cent’anni dal genocidio degli armeni, polemica fra il papa e il governo turco

by redazione

di Luigi Sandri per Confronti/Riforma

Grande giornata armena, a Roma, il 12 aprile: papa Francesco ha ricordato ufficialmente il centenario del Metz Yeghern (il Grande Male), cioè l’inizio del genocidio del popolo armeno nell’impero ottomano, cominciato il 24 aprile 1915. Il pontefice ha celebrato messa nella basilica vaticana, insieme al patriarca cattolico di Cilicia degli armeni, Nerses Bedros XIX Tarmouni; ad essa hanno assistito Karekin II, supremo patriarca e catholicos di tutti gli armeni, e Aram I, catholicos della Grande Casa di Cilicia (di Antélias); presente anche il presidente dell’Armenia, Serz Sargsyan. Poi Francesco ha ricevuto tutte queste personalità, consegnando loro un apposito messaggio, nel quale ricordava: «Un secolo è trascorso da quell’orribile massacro che fu un vero martirio del vostro popolo, nel quale molti innocenti morirono da confessori e martiri per il nome di Cristo… Il vostro popolo, illuminato dalla luce di Cristo e con la sua grazia, ha superato tante prove e sofferenze, animato dalla speranza che deriva dalla Croce… Questa fede ha accompagnato e sorretto il vostro popolo anche nel tragico evento di cento anni fa che “generalmente viene definito come il primo genocidio del XX secolo” (come afferma la Dichiarazione comune firmata da Giovanni Paolo II e Karekin II il 27settembre 2001, a Etchmiadzin, la città santa degli armeni, vicino a Erevan)».

Auspicando che «questa dolorosa ricorrenza diventi per tutti motivo di riflessione umile e sincera e di apertura del cuore al perdono, che è fonte di pace e di rinnovata speranza», Francesco ha auspicato: «Dio conceda che si riprenda il cammino di riconciliazione tra il popolo armeno e quello turco, e la pace sorga anche nel Nagorno Karabakh. Si tratta di popoli che, in passato, nonostante contrasti e tensioni, hanno vissuto lunghi periodi di pacifica convivenza, e persino nel turbine delle violenze hanno visto casi di solidarietà e di aiuto reciproco. Solo con questo spirito le nuove generazioni possono aprirsi a un futuro migliore e il sacrificio di molti può diventare seme di giustizia e di pace». Il Nagorno Karabakh è una regione dell’Azerbaigian, abitata prevalentemente da armeni, da quasi trent’anni in contrasto con il governo di Baku, e che oggi vive praticamente indipendente, senza però che tale situazione sia accettata dall’Azerbaigian.

Infine, il papa ha assicurato che sarebbe stato spiritualmente presente, il 23 aprile, ad Etchmiadzin, alla cerimonia di canonizzazione dei martiri della Chiesa apostolica armena (non in comunione con Roma) e, in luglio, alle commemorazioni del Metz Yeghern che si terranno ad Antélias. E, come segno della particolare attenzione della Chiesa romana agli armeni, Francesco lo stesso 12 aprile ha proclamato «dottore della Chiesa» san Gregorio di Narek. Era, questi, un monaco e presbìtero armeno – vissuto nel secolo X nella zona armena dell’Anatolia orientale, vicino al lago di Van – già ai suoi tempi famoso per la santità di vita e per le sue profonde riflessioni teologiche.

Ankara ha risposto, immediatamente e con durezza, al papa: il governo, infatti, già poche ore dopo il discorso papale ha richiamato in patria l’ambasciatore turco presso la Santa Sede e ad Ankara ha convocato per spiegazioni il nunzio Antonio Lucibello.

Sulla stessa linea il Gran Mufti Mehmet Gormez, la principale autorità religiosa islamica sunnita turca, che ha criticato a sua volta il Papa per le dichiarazioni sul genocidio armeno a suo parere «senza fondamento» e ispirate da «lobby politiche e ditte di relazioni pubbliche».

Perché questa reazione?

Giovanni Paolo II e il catholicos Karekin II nel 2001 avevano firmato a Etchmiadzin una Dichiarazione comunenella quale ricordavano che quello del 1915 contro gli armeni fu il primo «genocidio» del XX secolo. Quello, però, era uno scritto. Era invece la prima volta che – come ha fatto Francesco – in un discorso un papa utilizzasse un termine intollerabile per il governo turco. Sullo sfondo, una diversa interpretazione degli eventi del 1915. Gli armeni – e la loro tesi è stata via via sostenuta non solo dalla gran maggioranza degli storici, ma anche da una ventina di parlamenti nel mondo – sostengono infatti che autorità ottomane decisero, formalmente e cinicamente, lo sterminio di quanti più armeni fosse possibile, in modo da liberare il paese da quella troppo numerosa minoranza; e così morirono un milione e mezzo di persone, parte direttamente fucilate o impiccate, parte di stenti nella via dolorosa che portava la gente verso i deserti della Mesopotamia. La tesi turca, invece, sostiene che non vi fu nessun piano di eliminazione degli armeni; afferma che circa trecentomila di essi morirono, sì, ma vittime del caos che allora regnava nel decadente impero ottomano, in preda a varie bande; d’altronde, sottolineano i turchi, allora anche quattro milioni di musulmani perirono, vittime di opposte fazioni.

Ad acuire l’aspra reazione turca a Bergoglio, è stato il fatto che il papa ha equiparato il genocidio armeno con quelli compiuti dai nazisti e da Stalin. Ha detto, infatti, Francesco: «La nostra umanità ha vissuto nel secolo scorso tre grandi tragedie inaudite: la prima, quella che generalmente viene considerata come “il primo genocidio del XX secolo” [la citata Dichiarazione Comune]; essa ha colpito il vostro popolo armeno – prima nazione cristiana [dal 301] –, insieme ai siri cattolici e ortodossi, agli assiri, ai caldei e ai greci. Furono uccisi vescovi, sacerdoti, religiosi, donne, uomini, anziani e persino bambini e malati indifesi. Le altre due furono quelle perpetrate dal nazismo e dallo stalinismo. E più recentemente altri stermini di massa, come quelli in Cambogia, in Ruanda, in Burundi, in Bosnia». Al che il ministero degli esteri turco ha replicato a spron battuto: la dichiarazione del pontefice «è discutibile sotto tutti i punti di vista, è basata sul pregiudizio, distorce la storia e riconduce il dolore sofferto in Anatolia nelle particolari circostanze della Prima Guerra Mondiale ai membri di una sola religione».

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