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Usa-Iran: il nodo nucleare

by redazione

di Mostafa El Ayoubi

Il 30 giugno prossimo dovrebbe essere siglata l’intesa raggiunta ad aprile sul nucleare iraniano. La preoccupazione dei paesi arabi del Golfo, in particolare l’Arabia Saudita, e soprattutto la contrarietà assoluta di Israele, che vede l’Iran come una minaccia gravissima. Soddisfatto Obama, ma la maggioranza repubblicana del Congresso è contraria alla linea di apertura all’Iran. Le ragioni che hanno portato gli Stati Uniti a cambiare strategia e le importanti trasformazioni geopolitiche nella regione mediorientale.

L’accordo preliminare sul nucleare tra l’Iran e il gruppo 5+1 (i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu più la Germania), firmato a Losanna all’inizio di aprile, costituisce un nuovo elemento importante da tenere in considerazione nel complesso puzzle geopolitico del Levante e del Golfo. Salvo imprevisti, il 30 giugno prossimo verrà siglata l’intesa che metterà fine a più di trent’anni di sanzioni ed embarghi imposti dagli Usa e dall’Ue al governo di Teheran, con l’impegno di quest’ultimo di rinunciare alla produzione del nucleare per scopi militari, l’atomica in sostanza!

«Un’intesa storica», l’ha definita il presidente Usa Obama, mentre i paesi arabi del Golfo, in particolare l’Arabia Saudita, si sono mostrati molto preoccupati e Israele l’ha considerata un precedente pericoloso che mette a rischio la sua sicurezza. Sulla stessa linea anche il Congresso americano a maggioranza repubblicana, vicina a Netanyahu.

E, nonostante alcune critiche avanzate dall’opposizione interna, il governo iraniano ritiene di aver portato a casa un risultato positivo che consentirà al Paese di proseguire con meno difficoltà nel suo progetto di diventare una grande potenza economica e militare della regione, nonché un attore di prim’ordine nella geopolitica del mondo islamico.

Questa apertura verso l’Iran è stata voluta in gran parte dal governo americano che da anni, e sotto banco, conduceva delle trattative con il suo omologo iraniano. Cosa nasconde questa mossa strategica della Casa Bianca di oggi? E cosa l’ha convinta che Teheran non costruirà la bomba atomica?

Gli americani sapevano sin dall’inizio che l’Iran degli ayatollah non aveva nessuna intenzione di sviluppare un’industria nucleare per scopi militari. Nel 1988 l’imam Khomeini si era espresso apertamente contro le armi di distruzione di massa: una specie di fatwa. Il suo successore, l’attuale guida della rivoluzione, Ali Khamenei, aveva dichiarato nel 2005 che l’Iran non avrebbe costruito la bomba atomica perche è contro i dettami della religione islamica.

Il programma nucleare iraniano risaliva già all’epoca dello Shah, che era filo occidentale e quindi non era un problema. Ma, dopo la rivoluzione islamica del 1979, l’Iran è uscito dalla sfera d’influenza degli americani. Questi ultimi da allora hanno sempre cercato di recuperare la loro egemonia sul paese, ma senza successo: le varie forme di sanzioni, la guerra dell’Iraq contro l’Iran tra 1980 e 1988, la rivoluzione «colorata» del 2009 contro Ahmadinejad ecc.

Il cambio di strategia di Washington è dettato molto verosimilmente dagli sviluppi geopolitici nel mondo arabo negli ultimi anni. Il caos «costruttivo» che gli americani hanno creato attraverso i loro alleati del Golfo, Arabia Saudita in primis, ha finito per favorire alla fine l’Iran, che si sta confermando come una potenza regionale. Oggi, oltre ad appoggiare la rivolta nel Bahrein e i movimenti palestinesi, l’Iran è influente in Siria, in Iraq, in Libano e anche nello Yemen.

La guerra lanciata il 25 marzo scorso dai sauditi contro quest’ultimo è un tentativo di recuperare la sua egemonia su Sana’a ora sotto controllo dei Houthi, sciiti, zeiditi yemeniti alleati di Teheran.

L’aggressione militare dei ricchi sauditi contro lo Yemen, il paese più povero del mondo arabo ha provocato «circa un migliaio di morti, più di tremila feriti e una situazione umanitaria catastrofica» (Le Monde, 22 aprile 2015). Tra i paesi arabi, l’Egitto è stato uno dei primi ad appoggiare questa aggressione. E oltre a Usa, Gran Bretagna e Francia, anche l’Italia ha approvato questo intervento bellico che non aveva alcuna legittimità stando ai trattati internazionali. Nessun mandato Onu ha autorizzato i sauditi a bombardare le città yemenite, compresa la capitale. Una delle conseguenze indirette di questa guerra è il rafforzamento dell’imprevedibile organizzazione terroristica al Qaeda nello Yemen – che solo i Houthi combattono seriamente – e la possibilità della sua infiltrazione in modo massiccio anche in Arabia Saudita.

Il piano americano per destabilizzare il Medio Oriente – per rimodellarlo e controllarlo ancora di più, eliminando le sacche di resistenza come quella siriana, irachena, libanese (di hezbollah) – affidato alle (politicamente, culturalmente e socialmente) fragili monarchie arabe del Golfo non ha prodotto i risultati sperati, anzi al contrario ha rafforzato l’influenza dell’eterno nemico sciita, l’Iran, ora diventato un attore determinante nelle dinamiche geopolitiche della regione.

Gli Usa temono che il loro fedele alleato nella regione, ovvero l’Arabia Saudita, perda il suo peso politico a causa dei litigi interni alla famiglia Al Saud per il potere e della guerra che ha scatenato contro il vicino Yemen e che potrebbe avere dei risvolti negativi anche all’interno dello stesso regno. Un’eventuale crisi politica e sociale in Arabia Saudita potrebbe compromettere gli interessi Usa nella Regione. In tal caso occorre un «piano B». L’Iran potrebbe diventare il nuovo alleato strategico nel Levante e nel Golfo. Tanto gli Usa non ragionano in termini di amici o nemici, ma solo di interessi. E il nemico di ieri potrebbe diventare l’amico di domani se è funzionale agli interessi di Washington!

Teheran, da parte sua, potrebbe approfittare di questa potenziale apertura degli americani per cercare di risolvere i problemi interni economici e sociali, in parte dovuti alle eterne sanzioni, e dedicare maggiore attenzione e risorse a quelle riforme politiche e sociali – urgenti e necessarie – per consentire maggiore libertà e democrazia per gli iraniani.

 

(pubblicato su Confronti di maggio 2015)

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1 comment

Usa-Iran: il nodo nucleare 29 Aprile 2015 - 10:39

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