di Patrizia Larese
Sul volo per Corfù due giovani sposi, seduti accanto a me, mi raccontano che stanno tornando a casa dopo aver trascorso alcuni giorni a Roma. Sono molto contenti della vacanza e della loro situazione. Si ritengono fortunati in un periodo difficile come l’attuale. Entrambi hanno un lavoro: lei è tecnico in una piccola impresa, lui cassiere in un supermercato. Si considerano dei privilegiati rispetto ai loro coetanei, hanno avuto la possibilità di questa breve vacanza a Roma però, nonostante i sorrisi, sento nelle loro parole un senso di insicurezza perché, spiegano, vedono un futuro incerto e molto instabile. Quando chiedo la loro opinione sul governo Tsipras rispondono che non sanno cosa pensare e che attendono quello che succederà a breve.
Dialogando con altre persone, ho l’impressione di trovarmi di fronte ad un popolo stanco e rassegnato. La gente intervistata riferisce di sentirsi vessata da anni da una politica di austerità che li ha costretti in ginocchio e che ha ridotto molti di loro in miseria. Il numero dei cittadini sotto la soglia della povertà, cioè con reddito inferiore ai 5mila euro l’anno, è calcolato sui tre milioni di persone (su una popolazione di circa 11 milioni di individui).
Anche se la situazione sulle isole pare meno grave, perché in fondo il turismo aiuta a superare la crisi, tuttavia anche qui si respira aria di timore e di incertezza per ciò che accadrà prossimamente. Una signora di Corfù, Sella, mi racconta che ha due figli ventenni, uno studia ad Atene e l’altro lavora a Londra. Ė preoccupata perché non sa se potrà sostenerli in futuro a causa della situazione precaria e chissà sa se il marito potrà conservare il lavoro al Ministero. In Grecia, infatti, nel 2009 i dipendenti pubblici erano 900mila, alla fine del 2014 i dati riferiscono di 650mila impiegati, ossia il 25% in meno.
La proprietaria dell’albergo in cui alloggio a Kalampaka, nel centro della Tessaglia, la signora Ioanna, mi racconta che sua figlia vive e lavora in Germania e che non ha nessuna intenzione di tornare: conosce quattro lingue, si è diplomata alla scuola per interpreti di Trieste e, dopo aver seguito un master all’Università di Urbino, ha avuto l’opportunità di questo lavoro e non se l’è lasciata sfuggire.
I disoccupati sono il 25% della popolazione in età lavorativa ed i giovani disoccupati sono il 50% della popolazione giovanile. Negli ultimi anni circa 250mila neo-laureati sono emigrati all’estero. Speriamo che molti di essi possano ritornare tra qualche anno per contribuire alla ripresa e alla ricostruzione di questo Paese. Ricostruzione nel vero senso della parola, perché percorrendo i centri abitati, le strade della terraferma e delle isole si incontrano molti edifici in costruzione ma lasciati incompiuti, prede dell’incuria, abbandonati come enormi scheletri di dinosauro.
La signora Ioanna dichiara che la sua gente si è arresa allo scorrere degli eventi, mentre, continua, «ora sarebbe il momento di tirare fuori la grinta, rimboccarsi le maniche e prendere in mano la situazione.
Si è avvolti da un senso di tristezza e di abbattimento, soprattutto se si pensa all’importante storia millenaria di questo popolo. La storia, la letteratura, la filosofia, l’arte della Grecia classica sono passate sui banchi di scuola di molti di noi e sono parte fondamentale anche del nostro patrimonio culturale.
Una settimana prima del referendum del 5 luglio, vedo lunghe e continue code ai bancomat. Appena una cassa automatica si svuota, viene subito ricaricata e riprende subito la fila. È stato promulgato un decreto legge che consente di prelevare solo 60 euro per volta, ma quando io stessa vado al bancomat la selezione è tra 40, 80, 120 e 200 euro e, dal momento che per i turisti non ci sono restrizioni (così si dice) provo a scegliere 200 euro, ma la richiesta viene rifiutata. Anche qui le contraddizioni non mancano.
La ragazza che serve in uno dei bar sulla piazza principale di Kalampaka si chiama Penelope, ha un viso triste per la sua età e quando le chiedo cosa pensi del referendum e cosa si aspetti dal risultato mi dice che sia che vincano i No sia che abbiano la supremazia i Sì la situazione per la gente sarà sempre dura e difficile, forse però – lei spera, insieme a molti altri – questa volta il primo ministro riuscirà a farsi ascoltare dalla troika (Fondo monetario internazionale, Banca centrale europea, Commissione europea). Le notizie che giungono riferiscono costantemente di messaggi allarmanti da parte della dirigenza europea: se il piano dei creditori non sarà accettato, la Grecia finirà in bancarotta.
La Germania, per evitare l’uscita della Grecia dall’Eurozona, continua a chiedere ulteriori misure di austerità ad Atene, senza tenere in alcuna considerazione l’eventualità che il Paese sprofondi in una terribile recessione. Tuttavia, la politica disumana e coercitiva di Merkel e Schäuble ha provocato un’ondata di reazione in tutto il Vecchio Continente. L’immagine pubblica della Germania ha subìto un grave danno politico mettendo in discussione il suo ruolo di nazione egemone in Europa.
Il referendum è passato con il 61,3% dei No. Il risultato della consultazione ha mandato un messaggio politico forte e inequivocabile: i greci non vogliono l’austerità ed una Grexit è molto improbabile, vista la collocazione geopolitica della Grecia, membro della Nato e dell’Unione europea.
Anche se oggi è un paese che vale meno del 2% del Pil comunitario, tuttavia la sua posizione è strategica nello scacchiere internazionale.
Le tre principali potenze mondiali hanno interesse a impedire la destabilizzazione della Grecia e a mantenerla agganciata al resto dell’Unione Europea e della Nato: l’America per evitare che la penisola sia fagocitata dalla politica di Putin, la Russia stessa perché preferisce tenere nella famiglia Ue un Paese che, anche se in crisi, è a lui vicino, pronto a sostenere la propria causa nella partita delle sanzioni europee indotte dal conflitto ucraino e la Cina (avendo allungato ormai le mani sul Pireo, il porto di Atene) ha tutto l’interesse che la Grecia resti in Europa, per poter mantenere il Pireo quale polo strategico nella struttura del commercio sino-europeo.
Il popolo greco pensa che il risultato del referendum sia stato uno strumento per rigettare il ricatto europeo e non sottoscrivere con il voto la sottomissione all’imposizione di ulteriori, devastanti misure di austerità.
Siamo alla fine di agosto, Tsipras ha dovuto, obtorto collo, trovare un accordo con la troika. Dopo il burrascoso vertice del 13 luglio, sono arrivati nelle casse di Atene i primi fondi del nuovo piano di salvataggio da 86 miliardi di euro, il terzo programma in poco più di cinque anni. Speriamo che anche questa volta il popolo greco possa farcela ad uscire dal guado e risalire il baratro in cui è sprofondato negli ultimi anni.