di Luigi Sandri
La storia insegna che, quando tra un papa regnante e i fedeli s’intreccia un certo “feeling”, le parole d’ordine e gli esempi che vengono da Roma sono particolarmente sentiti e seguiti. Perciò, che Francesco abbia indetto un Giubileo straordinario della misericordia, è una scelta davvero feconda, in prospettiva capace di avviare una rivoluzione, pacifica ma trascinante, all’interno della Chiesa cattolica e, per contagio, almeno in parte, al di fuori di essa. Continuando per un anno a suonare l’inno della e alla misericordia, la campana di San Pietro rende dunque un servizio prezioso.
Ma che significa “misericordia”? Quella del Padre verso di noi che – sottolinea il papa – ci ama per primo e ci perdona sempre; e la disponibilità di ogni persona a perdonare chi le ha fatto un torto. È dunque l’invito a una conversione personale. Però la misericordia dovrebbe riguardare anche la Chiesa romana in quanto comunità semper reformanda, insiste Francesco. Dunque, sembra di poter riassumere: il Giubileo sarebbe monco, se esso non spingesse la Chiesa romana – posta in stato di misericordia – a domandarsi che cosa le impedisce, strutturalmente, di imboccare con coraggio la via di un radicale ravvedimento istituzionale e pastorale; e perciò ad avere misericordia verso se stessa. Partendo da quale angolazione? Da quella del Sud del mondo, indicata dal papa con la sua “ouverture” anticipata del Giubileo, il 29 novembre, a Bangui, disastrata capitale della Repubblica centroafricana. Un Sud depredato dall’ingordigia del Nord, e dunque vittima che dovrebbe perdonare il suo oppressore ma, anche, con la sua parte di responsabilità per la situazione spaventosa nella quale troppi suoi dirigenti, irresponsabili, prosperano sulla corruzione. E, l’8 dicembre, inaugurando ufficialmente il Giubileo con l’apertura della porta santa di San Pietro, a proposito del Vaticano II conclusosi 50 anni prima, egli affermava: «Il Concilio è stato un vero incontro tra la Chiesa e gli uomini del nostro tempo, segnato dalla forza dello Spirito che la spingeva a uscire dalle secche che per molti anni l’avevano rinchiusa in se stessa… Il Giubileo ci provoca a questa apertura e ci obbliga a non trascurare lo spirito emerso dal Vaticano II, quello del Samaritano, come ricordò il beato Paolo VI a conclusione del Concilio».
Il “linkage” Concilio-Samaritanità riguarda solo il passato, o anche il futuro? Finora Francesco non ha mai prospettato un nuovo Concilio. Tuttavia, a noi pare che il suo continuo richiamarsi alla “sinodalità”, come ha fatto anche in novembre parlando al Convegno della Cei, sia una “ouverture” che porterà lui, o un suo successore, a parlare di “conciliarità”. Infatti, proprio l’ultimo Sinodo ha dimostrato che, quando si arriva ai nodi – l’Eucaristia alle persone divorziate e risposate, le unioni civili, le convivenze prematrimoniali… – un Sinodo può solo sfiorare i problemi, ma non risolverli. Del resto, aprendo il ventaglio dei problemi incombenti, come sciogliere il ruolo della donna nella Chiesa se non si ridiscute, in un Concilio deliberante, il “sacerdozio”, istituzione estranea al pensiero di Gesù, che per la sua comunità immaginò solo dei “servizi” (ministeri), cioè ruoli e attività di per sé possibili per donne e uomini, per sposati e non? Utopia?
Intanto, i superiori generali degli ordini e congregazioni religiose (l’Usg, che rappresenta l’“esercito” di tutti i frati e religiosi del mondo) in novembre hanno suggerito al papa di convocare un Sinodo del popolo di Dio che coinvolga laici, religiosi e religiose nel governo della Chiesa. Non si parla di “Concilio del popolo di Dio”, ma esso balena all’orizzonte. Nel frattempo, “misericordia” dovrebbe significare che vengono derubricati a comportamenti moralmente legittimi alcuni di quelli che oggi il magistero ancora considera “peccato”. Può darsi, infatti, ad esempio, che quelle molte coppie di giovani cattolici che convivono siano una “massa dannata”; ma chissà che essi non suggeriscano alla gerarchia di prendere atto che i suoi “no” sono storicamente datati e non espressione genuina della volontà di Dio. Certo, in questa prospettiva sarebbe necessaria non solo una rinnovata “pastorale”, ma anche una rinnovata “dottrina”. Questo dilemma già si è posto, in passato, a diversi Concili. Sarà la sofferenza, la sfida, la grazia, del… “Vaticano III”.
(pubblicato su Confronti di gennaio 2016)