di Luigi Sandri
Sta facendo molto discutere l’annuncio di papa Francesco della costituzione di una commissione che studi la questione del diaconato femminile. Due pareri a confronto. Querido Francisco, la proposta che hai fatto, il 12 maggio, incontrando ottocento suore della Unione delle superiori generali, provenienti da tutto il mondo, e cioè di istituire una commissione per studiare la questione del diaconato femminile permanente, ha provocato quasi ovunque grande eco. Partiamo, intanto, dalla composizione della commissione: chi ne farà parte? Donne e uomini, immagino; ma scelte e scelti come? Tra chi si è già pubblicamente espresso/a a favore delle tesi più liberal sui ministeri femminili, o tra chi si è espresso/a contro? Ipotizziamo poi che il gruppo, dopo un certo tempo – un anno? due? tre? – infine si limitasse a consegnarti due contrapposti punti di vista (uno liberal e uno a favore di soli cambiamenti di facciata). Stallo completo! Al contrario, se poi arrivasse a proporti ipotesi che scuotono alla radice l’impianto patriarcale e maschilista della Chiesa romana, puoi star certo che i cardinali Leon, Carli, McTimothy, Camilli, Angeli, Von Joachim, e centinaia di vescovi, si ergerebbero per contestare quel responso, negandogli ogni autorità/autorevolezza.
Per proporre cambiamenti ecclesiali decisivi, infatti, non basta affatto una commissione, il cui peso teologico è praticamente nullo. Non basterebbe nemmeno un Sinodo dei vescovi, perché sarebbe davvero incredibile ancora una volta affidare a soli maschi il “chi è” della donna nella Chiesa romana. E allora?
Allora, caro Francesco, forse… è giunto il tempo di un nuovo Concilio. Esso sarebbe il luogo e il mezzo per porre autorevolmente fine, dopo secoli e secoli, a una Chiesa maschilista e, cercando di tornare all’input della prima comunità cristiana, inverare quel sogno che Gesù di Nazareth manifestò, compiendo, allora, gesti rivoluzionari per affermare la dignità della donna. Questo Concilio sarebbe davvero nuovo, intanto, per composizione: oltre ai “padri” avrebbe le “madri”, oltre a cento consiglieri teologi avrebbe cento consigliere teologhe. Un’impresa ardua, difficilissima. Ma nulla di meno sembra richiesto per compiere il giro di boa rivoluzionario che i tempi (e la fedeltà al messaggio evangelico) esigono. Il problema, infatti, non è affidare a donne la direzione di dicasteri curiali, anche se ciò va pur bene. Occorrerebbe ripensare il concetto di sacerdozio, così come dogmatizzato nel Cattolicesimo, e che costitutivamente ha escluso la donna dall’altare e dai luoghi decisionali. Sciolto questo nodo, e ponendo come principio base il carisma dei ministeri (=servizi), affidabili tanto a uomini che a donne, tantissime e felici conseguenze ne deriveranno. Non è possibile, perciò, cambiare solo la prassi, e dunque la “pastorale”; si dovrebbero relativizzare anche alcuni princìpi dottrinali che, validi forse un tempo, ora andranno ridiscussi.
D’altronde se, finora, nessun papa post-Vaticano II, sulla questione-donna, ha operato reali cambiamenti, non è perché non volesse farlo; è perché non poteva, prigioniero di una struttura in se stessa, dogmaticamente, respingente la donna dai compiti ministeriali e dai luoghi decisionali. Preannunciando un Concilio – non certo per domani, ma da celebrarsi tra qualche anno – si potrebbero invitare i fedeli cattolici a riflettere sul cruciale tema (con incontri locali, nazionali e continentali, assemblee, dibattiti) per poi fare tutto confluire nella grande Assemblea. Una riflessione che dovrebbe incrociare, desiderosa e attenta, la teologia e la prassi delle Chiese, legate alla Riforma, che hanno accolto tutti i ministeri femminili. Il lungo intervallo prima della celebrazione del Concilio non sarebbe una passeggiata romantica; piuttosto, forse, un tempo aspro, perché i cambiamenti che si profileranno saranno da molti avversati fino allo spasimo. Dunque, un fallimento è possibile, ed esso sarebbe un fallimento di tutta la Chiesa romana. Ma il Vento di Dio soffierà, e possiamo sperare che, nell’atteso Concilio, Adamo ed Eva, la mano nella mano, raccolgano messi copiose.
¿Porque no osar, querido Francisco? Un abrazo.
(pubblicato su Confronti di giugno 2016)