Un documento molto pensato e politicamente utile, nato in seno alla recente edizione della International Summer School on Religions (che si è tenuta a San Gimignano dal 24 al 27 agosto 2016).
Dirigenti, docenti e partecipanti della XXIII International Summer School on Religions (San Gimignano, 24-27 agosto 2016) [1], avendo messo a tema delle loro molteplici analisi l’attualità dirompente del problema “Violenza e Religioni”, e riflettendo di conseguenza anche sulle reali e potenziali ricadute del fenomeno nella specificità del contesto sociale italiano, esposto non solo a una crescente e convulsa pluralità di presenze etnico-religiose, ma tuttora inspiegabilmente privo di una adeguata legge nazionale sulla libertà religiosa, che possa garantire l’esercizio di fondamentali diritti, tra cui il diritto educativo – per tutti i minorenni e non solo – a una conoscenza obiettiva, comparativa, non discriminante, del multiforme fenomeno religioso,
ribadiscono che compete in particolare alla scuola pubblica il ruolo di ‘alfabetizzare’ la totalità degli alunni sulle grandi aree dell’esperienza umana, non esclusa l’area dell’universale esperienza simbolico-religiosa, alla cui lettura critica peraltro si dedicano, con serietà di metodi e plausibilità di risultati, non poche scienze storiche, filologiche, ermeneutiche, teologiche ecc.;
sottolineano l’urgenza che – in presenza di un processo irreversibile di trasformazione della demografia culturale e religiosa della società italiana (incluse le frange crescenti di agnosticismo), con il conseguente bisogno di rintracciare riferimenti culturali comuni e una tavola di valori etici condivisi per garantire una coesione sociale in un legittimo pluralismo – almeno i dati elementari di detta esperienza simbolico-religiosa unitamente agli interrogativi che suscitano, diventino quanto prima oggetto di un regolare approccio disciplinare, da scandire opportunamente lungo le tappe dei curricoli scolastici e in permanente organica connessione con gli altri saperi disciplinari, salve restando la responsabilità e la competenza dei titolari delle varie discipline di elaborare i fatti religiosi intercettati nello svolgere i rispettivi programmi;
non ignorano il fatto che, fino al presente, la gestione di una parziale “istruzione religiosa” nella scuola italiana resta monopolizzata dagli accordi tra Stato e Chiesa cattolica e dalle successive intese applicative, ma ritengono tuttavia non più rinviabile il superamento dei limiti oggettivi di tale normativa pattizia, almeno per quanto attiene al capitolo “istruzione religiosa”. Limiti e incongruenze che, oggi più che ieri, continuano a produrre discriminazione tra cittadini credenti e diversamente credenti, discredito culturale della materia IRC e discredito professionale del suo insegnante, discontinuità organizzative nella didattica, tendenze identitaristiche fra studenti. Limiti e incongruenze che spesso, paradossalmente, non permettono nemmeno di conseguire i livelli di prima alfabetizzazione religiosa presso gli stessi alunni avvalentisi del corso; [2]
auspicano a tal fine che le competenti Autorità del MIUR e della Conferenza episcopale riaprano un tavolo d’intesa per addivenire:
anzitutto, in via transitoria e a breve/medio termine, a sanare quell’increscioso “vuoto culturale” o “insulto pedagogico” creato dalla quasi totale assenza di una qualche “materia alternativa” [3], la quale, per esclusiva competenza statale, dovrebbe comunque essere assicurata, nel curricolo degli alunni che liberamente non si avvalgono dell’offerta confessionale;
a istituire – prescindendo qui da logiche pattizie con la chiesa di maggioranza o con le formazioni religiose minoritarie, ma sollecitandone comunque gli opportuni pareri e discrezionali apporti collaborativi – il profilo giuridico e pedagogico di una “nuova” [4] disciplina curricolare tesa a fornire gli strumenti minimi e necessari per apprendere la grammatica-base del “religioso”, sia esso storico e contemporaneo, sia simbolico che esperienziale, sia esso inteso come patrimonio culturale che come fonte di ricerca di senso e di valori umanizzanti; il tutto da progettare e implementare entro le comuni finalità educative proprie di una scuola pubblica di un paese democratico e di una società multiculturale [5];
propongono che – nella ricerca di un nucleo forte di contenuti per fondare epistemologicamente e sostanziare culturalmente la nuova materia di “cultura religiosa” o comunque la si voglia chiamare – sia data la priorità (anche se non l’esclusività) alle tre maggiori tradizioni abramitiche, sia per l’indiscussa centralità euromediterranea che per l’alta problematicità teologica ed etica che queste fedi, e i rispettivi Testi sacri, hanno avuto e stanno tuttora avendo nella genesi e nello sviluppo della storia e della cultura occidentale;
ravvisano che a monte di questo progetto, anzi come precondizioni della sua fattibilità, stanno ben altri impegni e traguardi di grande respiro per la cultura nazionale, quali:
la approvazione di una legge parlamentare sulla libertà religiosa, che sancisca tra l’altro la pari dignità delle formazioni religiose e/o filosofiche nello spazio pubblico della scuola;
la riprogettazione dell’intero sistema del sapere religioso in Italia, università compresa, in quanto l’autorevolezza delle scienze religiose non è più solo problema interno di singole chiese, ma una necessità della società civile nonché un ruolo inalienabile dell’università;
la globale revisione dei programmi e dei libri di testo, soprattutto in area di materie umanistiche, che sulle religioni manifestano spesso lacune culturali e silenzi imperdonabili, valutazioni faziose, o semplicemente ritardi conoscitivi rispetto all’avanzamento aggiornato delle scienze della religione;
il risanamento deontologico del più generale sistema mediatico di informazione religiosa, spesso da noi ancora polarizzata ideologicamente sul c.d. mainstream cattocentrico o, all’opposto, sul pregiudizio laicista;
la formazione accademica e professionale del futuro personale docente della nuova materia, incluso anche l’eventuale prevedibile problema del “ri-orientamento professionale” degli attuali incaricati di religione cattolica …
raccomandano infine, per fedeltà a una corretta “cultura della verifica” e come misura di sano realismo operativo, che ogni innovazione che si intenda introdurre in queste materie a livello nazionale sia debitamente anticipata da congrue temporanee sperimentazioni locali, su campioni monitorati di scuole, di insegnanti, di programmi; sperimentazioni i cui esiti effettivi potranno riscuotere sempre maggior forza persuasiva e decisionale rispetto alle consuete, spesso ridondanti, dichiarazioni di principio, che, pur logicamente ineccepibili, finiscono per risentire inevitabilmente di sospette venature ideologiche.
San Gimignano, 27 agosto 2016
[1] Organizzata dal Centro internazionale di Studi sul Religioso contemporaneo (CISRECO), in collaborazione con l’Associazione Italiana di Sociologia/Sezione Sociologia della Religione (AIS/, l’Università di Firenze, l’Università Autonoma Metropolitana di Città del Messico, la rivista “Religioni e Società”.
[2] Cfr. il Rapporto sull’analfabetismo religioso in Italia, a c. di A. Melloni, Il Mulino 2014. Ovviamente, non si tratta solo di predisporre tattiche per contrastare il tradizionale analfabetismo religioso (il cui concetto, peraltro, varia da cultura a cultura, da epoca a epoca), ma di saper rispondere tempestivamente all’avanzata di integralismi e fondamentalismi religiosi, spesso originati anche da una carente o impropria educazione scolastica.
[3] Facciamo presente che laddove, in Europa, si istruiscono corsi scolastici a contenuto confessionale, e per ciò stesso a iscrizione opzionale, vige sempre l’obbligo di iscriversi a un corso suppletivo-alternativo, attivato in genere su materie attinenti l’educazione ai valori dell’etica personale e sociale, e sottoposto alle normali valutazioni scolastiche. Sorprende e rammarica non poco che da noi due lontane sentenze del Consiglio di Stato (n.203/1989 e n.13/1991) siano giunte ad argomentare – sulla base di una curiosa elucubrata definizione di “laicità all’italiana” – il non-obbligo di fruire della materia alternativa, quando, al contrario, in tanti altri sistemi nazionali occidentali, gli indirizzi delle recenti politiche educative vanno in direzione totalmente opposta! Ma c’è ragione di pensare che forse nemmeno le sentenze del nostrano Consiglio di Stato durino in eterno…
[4] “Nuova” nel sistema italiano, ma non certo inedita in altri contesti nazionali, persino a maggioranza cattolica, come in Belgio, nel Lussemburgo, nel Québec, ecc., dove corsi obbligatori di iniziazione religiosa aconfessionale hanno sostituito, con il consenso delle chiese coinvolte e sulla base di opportune e positive sperimentazioni, i precedenti insufficienti corsi opzionali relativi alle tradizioni cristiane.
[5] In altri termini, pensiamo a un percorso legislativo-amministrativo in due tempi: giungere prima a sancire e a collaudare una forma di opzionalità obbligatoria tra due discipline a rispettiva gestione ecclesiastica e statale, per affermare poi una vera e propria disciplina curricolare a gestione statale, affiancata da possibili corsi mono-confessionali facoltativi organizzati a discrezione di chiese o di altre formazioni religiose o filosofiche.
Centro Internazionale di Studi sul Religioso Contemporaneo/CISRECO
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