Le “parole chiave” delle Comunità di Capodarco per celebrare 50 anni di cammino condiviso, a fianco delle persone più deboli.
di don Vinicio Albanesi (presidente Comunità di Capodarco – Redattore Sociale)
CADODARCO DI FERMO – Dalla Sicilia al Veneto. Sono tanti i rappresentanti delle Comunità sparse in Italia che si sono incontrate l’11 e 12 novembre, nella sede centrale di Capodarco, per celebrare 50 anni di cammino condiviso, a fianco delle persone più deboli. E proprio alla loro voce, ai racconti degli inizi e alle proposte future, è stata dedicata la prima giornata di incontri di “L’Utopia che si fa storia”, evento che celebra mezzo secolo dalla fondazione.
La Comunità di Capodarco nasce nel Natale del 1966. La radice della nascita è da collocare nel mondo del cattolicesimo sociale. Nei viaggi a Lourdes e Loreto – unica occasione perché i disabili possano uscire dagli Istituti dove sono isolati – un sacerdote, don Franco Monterubbianesi, intuisce che qualcosa può cambiare nella vita di molti ragazzi e ragazze che, con la scusa d’improbabili terapie riabilitative, di fatto, sono bloccati negli “istituti”, ambienti chiusi e inutili: sottoposti a rigide regole istituzionali, separati tra maschi e femmine, non hanno futuro.
L’inizio è spontaneo, precario, utopico. Ben presto i tredici disabili che abitano con don Franco la villa abbandonata nelle Marche (Capodarco – Comune di Fermo) diventano oltre cento. Provengono da varie regioni d’Italia: Campania, Friuli, Puglia, Sardegna, Umbria. Un secondo gruppo numeroso di giovani (italiani e stranieri) partecipa all’esperienza che oscilla tra una “comune” e una “comunità”: sono i ragazze e le ragazze del ’68 “minore”. Se molti dei giovani contestatori si erano dedicati alla lotta politica, molti altri si erano diretti verso il sociale; altri ancora si dedicheranno al mondo della cultura e della comunicazione. Il clima è pieno di fermento e coltiva un orizzonte di ampio respiro: in parole esplicite (anche se oggi appaiono “puerili”): occorre cambiare la società.
Nell’esperienza limitata di una comunità nata nella periferia del mondo, si celebrano i primi matrimoni tra persone disabili cui seguiranno figli nati in comunità, l’approccio al lavoro (sorgeranno cooperative di lavoro), alla cultura (molti disabili riprendono gli studi fino all’Università). La comunità vive e cresce insieme: sono tutti un po’ fondatori perché sono impegnati nel realizzare il sogno che avevano voluto. Accogliere, condividere, progettare futuro: i valori.
Il principio base della Comunità è accogliere. Significa occuparsi della persona con tutta la sua storia. È necessario un altissimo concetto di persona, capace di fugare paure, pregiudizi, egoismi. Le radici dei motivi dell’accogliere (siano esse politiche o emotive) non sono moltissime: amore, amicizia, compassione, volontà di superare il male e il dolore, ma anche la visione di una società giusta, benevola, coerente, ugualitaria. Il secondo moto dell’anima è condividere. Entrare nella vita dell’altro e farsi condizionare la propria. Il passaggio è delicato. La condivisione comunitaria è semplicemente vivere la vita insieme con comuni ideali: nella stessa casa, con lo stesso cibo, rispettando gli orari essenziali della giornata. Infine il terzo moto dell’anima è progettare futuro. Questa dinamica indica che l’interessamento dell’amore guarda lontano. Cerca soluzioni e prospettive. Inventa percorsi; procura risorse. Anche nelle situazioni più difficili c’è sempre uno spiraglio che fa guardare lontano. Probabilmente non darà soluzioni definitive, ma mette in moto doni e occasioni che altrimenti rimarrebbero nascosti Dopo il periodo degli inizi nelle Marche, a partire di primi anni del 1970 “si fa sempre più forte il desiderio di ritornare alle proprie terre”; un processo che porta, fino alle soglie degli anni ’90, alla nascita di nuove realtà. Le Comunità di Sestu e di Udine saranno le prime a diventare autonome; seguirà la nascita della Comunità di Roma, di Bergamo, di Lamezia e man mano di tutte le altre. Le idealità di allora, le nuove richieste che oggi emergono da una società in profonda trasformazione e come e con quali strumenti progettare il futuro saranno i temi al centro del confronto di queste giornate. A partire da 14 “parole chiave”, una per ogni comunità, che ne identificano obiettivi e storia. Dalla legalità alla convivenza, dalla fragilità alla famiglia: Così le comunità hanno fornito risposte a disabili fisici e psichici, madri con minori, famiglie sole, stranieri, ragazzi tossicodipendenti, persone in difficoltà.
In queste due giornate diversi gli ospiti intervenuti a dare il loro contributo. Enrico Mentana, giornalista e direttore del Tg de La7, e Andrea Pellizzari, direttore artistico del Premio L’Anello debole. Seguono i racconti e le esperienze del fondatore don Franco Monterubbianesi, di Marisa Galli, tra le fondatrici di Capodarco, di don Angelo Fanucci, presidente della Comunità di Capodarco dell’Umbria e don Vinicio Albanesi, presidente della Comunità. Un viaggio nel passato e nel presente raccontato anche dal docu-film “Un’utopia che si fa storia. La Comunità di Capodarco” (75’), realizzato dalla regista Maria Amata Calò con Roberto Fittipaldi, la cui proiezione chiude il pomeriggio della prima giornata di interventi. Documenta la vita delle diverse realtà attraverso la voce dei fondatori, delle persone accolte, delle famiglie, con documenti e filmati d’epoca. A seguire il dialogo tra Goffredo Fofi, scrittore e direttore della rivista “Lo Straniero”, e il sociologo Giambattista Sgritta su “Capodarco e la società italiana”, e stimolati dal giornalista e conduttore televisivo Giovanni Anversa, gli interventi delle autorità e dei rappresentanti locali del mondo economico, sociale, sanitario, ecclesiastico. Interverrà l’on. Livia Turco, ministra della Solidarietà sociale dal 1996 al 2001 e ministra della Salute nel secondo governo Prodi (2006-2008).