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“Padre Nostro? Dio, genere, genitorialità”

by redazione

di Patrizia Cupelloni (psicoanalista)

Vi proponiamo un intervento pronunciato in occasione dell’incontro sul libro della pastora Elizabeth Green “Padre Nostro? Dio, genere, genitorialità” (Claudiana, 2015) che si è svolto nella Comunità cristiana di base di San Paolo a Roma.

Il punto è il punto interrogativo. L’interrogativo del titolo percorre tutto il libro che proprio perché apre a tante domande, a domande che ne generano altre, non chiude l’argomentazione. Ne risulta una indagine molto interessante.

Dio è l’oggetto del discorso nella sua accezione di Padre. Ci si chiede come il modello patriarcale della nostra cultura giudaico-cristiana definendo Dio Padre gli sottragga tutte le implicazioni femminili. Quindi la domanda è: come le donne di fede possano riconoscersi in un Dio descritto come arcaico patriarca, espressione del potere assoluto. Un Dio onnipotente? Come può esprimersi la spiritualità femminile nel nominare un padre così lontano e imprigionato in parole vecchie? Il discorso di fede delle donne si fa critico in tante direzioni a partire dalla questione del potere e del linguaggio: quasi sempre maschilista e gerarchico, che anche quando è neutro rischia di annullare dietro una presunta omologazione paritaria, la ricchezza delle differenze di genere.

Elizabeht Green, teologa, fa emergere che la paternità, funzione umana maschile, si lega alla sessualità e che al contrario la paternità di Dio, funzione del divino, non avendo aspetti fisiologi e biologici mette in discussione che dio possa essere padre strictu senso. Ciò porta a chiederci: Dio in che senso può essere chiamato padre? O forse non è un padre? La questione è complessa, ma non possiamo negare o sottovalutare quanto l’espressione “Dio Padre” sovrintenda storicamente e teologicamente alle religioni monoteistiche e quanto le culture ne siano pregne. Se la cultura patriarcale segna la paternità di Dio questa rimane completamente dentro il sociale , se la paternità di Dio non trova relazione con la sessualità biologica, si desume e si mette subito in evidenza che se Dio non è padre, Dio non è neanche madre. Dio, e mi sento completamente d’accordo con la tesi che anche E. Green sembra condividere, resiste ad ogni declinazione di genere.(p. 61) Per parlare di Dio le categorie di sesso e/o di genere come ogni altra categoria antropomorfica, sono completamente inadeguate.

Se invece parliamo di fede in Dio la sensibilità individuale e di genere impregna ogni percorso in modo singolare, non oserei parlare genericamente della fede delle donne né di quella maschile. So per esperienza che ogni persona trova un suo linguaggio per parlare con Dio e di Dio. Però penso anche che sia opportuno non misconoscere né sottovalutare le forme di alcune pratiche religiose, in ogni contesto ecclesiale e in ogni religione, quando queste sono finalizzate all’alienazione delle donne e degli uomini.

Seguo il contributo di Elisabeth Green: apprezzando molto le analisi che ci propone. Nel cap. 4° del libro l’autrice ricostruisce la figura di dio Padre ripercorrendo il tracciato delle Scritture. Attraverso citazioni e argomentazioni il Vecchio Testamento presenta Dio come progenitore, Dio come Padre di Israele, Dio come Colui che è. Se si identifica il nome di Dio con l’”essere” da una parte e con il “Padre” dall’altra la sovrapposizione realizza una “struttura” totale di senso, (p. 50) e quindi il problema diventa strettamente ontologico, teologico, politico . Il nome di Dio è Essere, Unità, Totalità e questo può essere compreso solo se il nome di Dio viene liberato dall’identificazione con il Padre. (A volte scrivo dio con la minuscola a volte con la maiuscola, corrisponde ad una mia oscillazione tra l’ancoraggio e l’abitudine alla modalità tradizionale e una personale rinnovata tendenza a pensare e scrivere dio in modo laico).

Con il Nuovo Testamento, l’indagine di E. Green sul Padre cambia direzione e l’analisi si apre al campo semantico della promessa, che comporta implicite ma misteriose prospettive escatologiche. La promessa dilata il tempo e questo aspetto del discorso implica il piano genealogico della relazione. Risaliamo al padre tramite il figlio. (p. 59) e nel contesto storico non poteva che essere figlio, il figlio del Padre. È noto come la cultura gerarchica, autoritaria, patriarcale che serpeggia nelle Chiese, non demorde e che ancora oggi si utilizzi la fede, con la complicità delle istituzioni, per sottomettere i credenti e soprattutto le donne. Questo libro dà prova di come alcune donne sappiano offrire un approccio ai temi religiosi più libero, più creativo, a volte più laico. Le teologhe che hanno valorizzato una specifica sensibilità agli studi di genere aprono un campo di ricerca nuovo; questo significa che le donne, dal loro vertice di esperienza, osservazione e teoria, possono dare allo studio del sacro un interessante e originale contributo. Il libro che presentiamo oggi ne è un bell’esempio.

La differenza di genere è un modo di essere e di guardare, in altri termini di pensare e di vivere. In una prospettiva di genere il tema del Padre è centrale e irriducibile; interseca varie discipline.

La teologia e la psicoanalisi sono convocate nel discorso. Entrambe le discipline si interrogano sulla specificità dell’iter identitario per liberarlo dalle pastoie di modelli alienanti e violenti.

Con il cristianesimo sia per i cattolici che per i protestanti, Gesù è figlio di Dio Padre. Il tempo del sacro collassa sull’umano. Tale valenza simbolica, evoca il tema del soggetto nella vita e nella fede, e sempre anche quando il padre è rinnegato, non riconosciuto, nominato invano, bestemmiato, il figlio è figlio del Padre. Il Padre diventa nella storia impalcatura patriarcale, la sacralità dell’Altro è Dio . L’Altro rimanda ad una genealogia universale. Questo aspetto del monoteismo è molto difficile da pensare: un Dio Altro che fonda la religione del figlio. sembra tradire, nel senso di portare altrove, oltre la promessa del figlio, tradisce il cristianesimo e i cristiani, e in particolare le donne.

Freud ha aperto una possibilità inedita di pensare la religione e Dio, quindi il Padre. Freud già nel 1923 nell’“Io e l’Es” introduce il concetto di identificazione primaria diretta del piccolo dell’uomo al padre. All’infans che non parla viene trasmessa dai genitori che si prendono cura di lui, l’immagine, una sorta di sensazione primordiale che si fissa nella memoria corporea, di un padre onnipotente primigenio. Egli precise inoltre che questo “padre primigenio” non comporta alcun riferimento alla differenza di genere, perché l’infans non conosce la differenza dei sessi. Secondo Freud il padre primigenio è il simbolo asessuale, il simbolo di una Provvidenza che permane dalle origini nella cultura umana. La psicoanalisi toglie all’idea di Dio che si genera nell’inconscio dell’infans ogni riferimento antropomorfico e al genere sessuale. Inoltre Dio non è una entità astratta e metafisica ma è una sensazione inconscia umana che sin dall’infanzia ognuno ha inscritta nel corpo e nella mente come memoria inconscia che si trasmette tra le generazioni. Freud fa di Dio padre l’asse del monoteismo e lo distingue dal padre simbolico dell’edipo e dell’interdetto dell’incesto, in quanto privo di identità sessuale, un padre che non si declina nelle vicende umane. Freud distingue il dio padre del monoteismo dal padre simbolico.

La psicoanalisi distingue tra il padre onnipotente dell’infanzia che provvede ai bisogni dell’infans dal padre edipico che separa il figlio/a dalla madre e lo introduce nei legami sociali. Come vediamo lo stesso termine padre indica significati diversi. Noi psicoanalisti nell’ascolto attraverso i sogni e le fantasie dei nostri pazienti dovremmo saper distinguere il padre edipico dal padre Dio provvidenza. Ho potuto constatare con alcune pazienti che la fissazione alla figura di un padre onnipotente che provvede abbia impedito i processi separativi e al tempo stesso l’accesso alle fantasie amorose nei confronti del padre reale edipico. Nessuna triangolarità vivacizza la vita psichica.

Penso che, pur nella esplicita riduttività di questo accenno, si possa affermare che Elizabeth teologa, Maria pastora ed io psicoanalista siamo donne che cercano di costruire nel contatto e nel confronto con il fantasma del padre la nostra singolare identità. Il nostro essere soggetto diventa libero ed espressivo in un lavoro di autonomia dalle origini, un lavoro di trasformazione e separazione dai fantasmi genitoriali, dai legami parentali e dalle impostazioni culturali e dai modelli sociali a tutto questo sottesi .

La formazione dell’edipo si colloca nella relazione primaria dove il genere è corpo, un corpo che convoca funzioni psicosessuali imprescindibili. Il passaggio dal padre infantile della provvidenza al padre edipico della vicenda familiare umana implica un percorso diverso per la bambina e il bambino; in ambedue i casi è ricco di sofferenza perché implica la perdita dell’illusione. La diversità semplificando consiste nel rispecchiamento della bambina con il corpo materno uguale al proprio. Anche sul piano della relazione terapeutica l’essere donna è un valore specifico ed identitario, che per quello che mi riguarda viene messo in gioco con tutti i miei pazienti sia donne che uomini. Ma la nevroticità, parlo della sofferenza che donne e uomini, eterosessuali, o bisessuali, o lesbiche o gay provano nei legami, in particolare quelli amorosi, riguarda il padre edipico non riguarda dio padre, anche se alcuni pazienti psicotici deliranti appoggiano spesso la rottura identitaria che li accompagna e disorganizza all’idealizzazione, che produce deliri di tipo religioso, quindi essere Gesù , essere pregno del diavolo, essere dio , ecc. Nella maggior parte dei casi le pazienti e i pazienti maschi che si rivolgono all’analista hanno problemi allo smarrimento e al vuoto. Problematiche legate alle non chiare identificazioni con le figure genitoriali. La triangolarità dell’edipo differenzia i sessi e trasforma l’illusione in un Dio onnipotente in Eros, forza della vita, energia libidica che spinge le donne e gli uomini a creare legami affettivi omo o etero sessuali. Investimenti libidici che cercano di contrastare l’egoismo narcisistico e l’odio distruttivo. Gesù come l’eros è debole, egli incontra nella sua testimonianza fino alla croce ostacoli distruttivi dove l’odio prevale sull’amore, la morte sulla vita. Elisabeth nel libro presenta un interessante approfondimento del tema del padre con riferimento a Zoja e a Recalcati.

Riprenderei allora dalle evoluzioni del pensiero freudiano.

Gli analisti post-freudiani di stampo strutturalista hanno proposto un approccio diverso alle religioni. Non dobbiamo dimenticare che questa impostazione intreccia storia, biologia e scienze dello spirito per scoprire che il simbolico di fatto coincide con l’interdetto dell’incesto. In particolare J. Lacan considera l’universabilità dell’interdizione dell’incesto, interdizione primaria o simbolica, come equivalente dell’inconscio. Questo equivale a dire che le strutture parentali e linguistiche sarebbero legate al simbolico che trascende l’individuo e la specie. Un equivalenza tra divino, simbolico, inconscio? Nella storia delle religioni monoteiste e nella storia della cultura “ la posizione simbolica” del Padre fonda una costante antropologica paradigmatica e inconscia che Cristo ribalta. Possiamo evocare la categoria freudiana della castrazione come simbolo del limite e della mancanza.

Lontana dagli studi teologici faccio ancora ricorso alla mia esperienza di psicoanalista. L’analista si interroga sulla formazione di un fantasma. Il fantasma paterno è impregnato di valenze simboliche rimandano all’esperienza dell’origine e della relazione. Padre e madre si installano nel nostro mondo interno come deposito del fantasma originario per eccellenza: la scena primaria. Le fantasie intorno all’accoppiamento dei genitori e quindi sulla propria origine sono fondanti e non sempre sane nel senso che a volte generano invidie, esclusioni e sofferenze non sopportabili, possiamo supporre che i disordini affettivi che conosciamo anche nelle più tradizionali famiglie tornino a presentarsi anche nelle cosiddette “nuove famiglie”. Il genere non è mai esclusivamente biologico, la valenza e l’indicazione che esprime si ancora a funzioni psicofisiche che si organizzano intorno ad un fantasma identificatorio di riferimento.

Ma se oggi parliamo di padre indebolito che evapora (Recalcati) vuol dire che c’è stato un forte rinnovamento culturale ed ecclesiale , e che parte di questo rinnovamento è dovuto alla psicoanalisi post freudiana, al contributo delle psicoanaliste donne e al femminismo che hanno messo in discussione l’ordine simbolico patriarcale e alla teologia femminista. È, a mio parere, utile e necessario dopo alcuni decenni, continuare ad interrogarci se è proprio vero che mettere in discussione il patriarcato, corrisponda tout-court alla cancellazione del nome del padre, e se alle donne e ai loro figli/e l’indebolimento simbolico del padre abbia o possa giovare.

Senza quelle origini e quelle famiglie e quelle culture non saremmo noi stesse, in ricerca. Abbiamo bisogno delle nostre madri e dei nostri padri . Bisogna avere una eredità per investirla. Non ho esperienze analitiche di bambini nati da gestazioni artificiali , da gravidanze eterologhe, da uteri in affitto. Ho invece molta esperienza di quanto dolore producano figure genitoriali carenti di capacità affettiva e a maggior ragione quanto sia destabilizzante la carenza di figure genitoriali , padri e madri biologici o surrogati. Sempre coloro muoiono o che abbandonano ,e non solo in senso reale, evidenziano un vuoto che chiede rinforzo nella riattivazione di nuove identificazioni generate dal calore dell’affetto. Questo mi fa pensare che è sempre bene che là dove serve, un bambino/a trovino riconoscimento e appartenenza e che le famiglie omoparentali abbiano i diritti che a tutti i figli/e e ai loro ambienti affettivi necessitano.

La spinta psicosessuale che orienta ognuno si scontra con i modelli dominanti della sessualità imposta dalla cultura, e prende forme singolari che determinano l’orientamento affettivo di ognuno di noi, donne ,uomini, omosessuali, transessuali. Il discorso, ora è gioco forza generico e abbozzato. Nella pratica clinica prende forma un soggetto, un processo di soggettivazione che attraversa le età della vita. Ognuna/o con itinerari fantasmatici ed onirici di tipo autorappesentativo, esprime forme uniche della propria singolarità, come sono uniche le persone con la loro identità. E’ però vero che a volte una unica donna possa indicare un certo valore simbolico che esprime tutte le donne.. Non sempre però la generalizzazione che spesso è solo stereotipo, è o possa essere a nostro vantaggio.

Una mia paziente antropologa, studiosa di ex voto, mi racconta di una “immagine sacra”: la Madonna dei camorristi. Con tanto di corona con le stelline luminose in testa rappresenta un volto di donna con un evidente livido sulla faccia. Che sia ben chiaro i camorristi pregano una madonna violata e sottomessa. Coscientemente nessuna di noi si riconoscerebbe in questa immagine. Ma come escludere la presenza di un coinvolgimento masochistico inconscio da parte di molte donne, o di parti di noi coinvolte in un arcaico sentimento di sottomissione al padre?

Sottratta all’ideologia e a ogni forzatura teorica, anche sul piano della relazione terapeutica, l’essere donna è un valore specifico ed identitario che, per quello che mi riguarda, viene messo in gioco con tutti i miei pazienti sia donne che uomini. Ma la nevroticità, parlo della sofferenza che donne e uomini eterosessuali, o bisessuali, o lesbiche e gay provano nei legami amorosi e con se stessi ,non riguarda dio padre, anche se alcuni pazienti psicotici deliranti appoggiano spesso la rottura identitaria che li accompagna e disorganizza all’idealizzazione, che produce deliri di tipo religioso, quindi essere Gesù , essere pregno del diavolo, essere dio , ecc. Nella maggior parte dei casi le pazienti e i pazienti maschi che si rivolgono all’analista hanno problematicità relative alla figura del proprio padre storico problematiche che è possibile trasformare attraverso il transfert, ed è evidente che la formazione dell’edipo segue strade diverse ovviamente in ogni donna e in ogni uomo.

La bisessualità di Dio, padre e madre, ci fa orrore anche se conosciamo alcune rappresentazioni arcaiche di figure divine con caratteri sia femminili che maschili o con caratteri misti. Uno dei tanti tentativi umani per avvicinarsi a Dio. L’arte questa funzione l’ha esplorata in tutte le sue forme spesso mirabili e mi chiedo ora che abbiamo messo in discussione la rappresentazione antropomorfica di dio quale sarà il futuro dell’arte sacra?

Se dio non è né padre né madre, come immaginare Dio. Un discorso che in comunità abbiamo cominciato ad affrontare. Dio è , è per chi lo sente, lo invoca, lo avvicina. Per chi lo fa suo sapendo, come dice Giovanni Franzoni, che è Altro, è straniero, è sfuggente, inquietante. Mi sfugge anche se mi orienta, mi porta là dove non c’è certezza di conoscenza, ma solo bisogno di credere (Kristeva). Penso sia questo il bisogno di credere, una domanda aperta al mistero, un bisogno antropologico di “sacro”, di fede. Pregare è parlare con un dio amico e soccorrevole ma anche terrificante nella sua estraneità. Ma può anche non essere così .Spesso muto e allo stesso tempo dimenticato. Chi prega genera un “dio bambino” che può fare suo, accettando che lo potrà perdere anche prima di conoscerlo. Penso ad Alda Merini quando scrive che l’essenza della maternità è l’attesa, attesa di un figlio che mai sarà tuo/a o che sarà come lo/a desideri. Penso all’esperienza delle mistiche e dei mistici che si uniscono a dio impalpabile in un amplesso scevro da implicazioni corporee, anche se ricco di erotizzazione. Allo strazio dell’estasi. E non è così per le madri sempre alle prese con un bambino/a amato/odiato che sfugge?

Dire dio mio, non sempre è dire padre mio, ma certamente l’espressione apre ad una ricerca del “divino che è in noi”. E’ un discorso di fede, ma anche un discorso di genere. Sappiamo bene come la cultura gerarchica, autoritaria, patriarcale ha utilizzato la fede con la complicità delle chiese per sottomettere le donne, ma noi possiamo dare prova come donne di un approccio ai temi religiosi più libero, più critico, più laico.

Grazie alla psicoanalisi, alle filosofie del soggetto e della differenza, grazie alla pratica e alla teorizzazione del primo femminismo, ormai implicita in ogni ambito culturale, anche se non interiorizzata da tutte le donne, il metodo del “partire da sé” è acquisito. Mi auguro che vada oltre la narratologia, oltre la nominazione, non basta dirsi è necessario sentirsi, autopercepirsi, autorappresentarsi. Funzioni che presuppongono l’altro, l’Io si fonda e si sviluppa attraverso l’Altro.

La rappresentazione del proprio corpo e della propria sessualità può essere differenziata o confusa, ma è sempre psicosessuale, questo livello dell’organizzazione psichica si intreccia in un tutt’uno con il corpo, sede dell’impasto emozionale di genere. Ma anche solo questa espressione è complessa e la definizione di cosa sia il femminile e il maschile è assai problematica. Per questo ben vengano gli studi sul genere e di genere.

L’identificazione primaria è con la madre, il primo Altro è la madre. sia per la bambina che per il bambino .

la formazione dell’edipo siamo in grado di collocarla nella relazione primaria dove il genere è corpo. La rappresentazione del proprio corpo e della propria sessualità può essere differenziata o confusa, ma è sempre psicosessuale , un livello dell’organizzazione psichica che si intreccia in un tutt’uno con il corpo, sede dell’impasto emozionale di genere. Il genere è questione fondamentale che si organizza intorno ad un fantasma identificatorio di riferimento. Ma anche solo questa espressione è complessa e la definizione di cosa sia il femminile e il maschile è assai problematica. Per questo ben vengano gli studi sul genere e di genere.

(l’incontro si è tenuto il 3 febbraio 2016 nella comunità cristiana di base di San Paolo a Roma. Vi hanno preso parte, oltre all’autrice, anche Maria Bonafede, pastora valdese a Torino, padre Bernardo Antonini, professore di Teologia morale al Marianum di Roma, e Gianna Urizio, Federazione delle Donne Evangeliche in Italia)

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“Padre Nostro? Dio, genere, genitorialità” – Articolo21 7 Dicembre 2016 - 11:00

[…] Dio è l’oggetto del discorso nella sua accezione di Padre. Ci si chiede come il modello patriarcale della nostra cultura giudaico-cristiana definendo Dio Padre gli sottragga tutte le implicazioni femminili. Quindi la domanda è: come le donne di fede possano riconoscersi in un Dio descritto come arcaico patriarca, espressione del potere assoluto. Un Dio onnipotente? Come può esprimersi la spiritualità femminile nel nominare un padre così lontano e imprigionato in parole vecchie? Il discorso di fede delle donne si fa critico in tante direzioni a partire dalla questione del potere e del linguaggio: quasi sempre maschilista e gerarchico, che anche quando è neutro rischia di annullare dietro una presunta omologazione paritaria, la ricchezza delle differenze di genere… continua su confronti […]

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