Patrizia Fiocchetti
VARIAZIONI DI LUNA
Lorusso editore, 2016
128 pagine, 12 euro.
di Alice Corte (redazione di Confronti)
In questo libro, Patrizia Fiocchetti racconta i suoi incontri con altre donne combattenti: nella resistenza iraniana post-rivoluzionaria, in quella afghana dopo la caduta dei talebani e in quella curda contro l’Isis.
Partire da sé. Il femminismo ne ha fatto una delle proprie basi e Patrizia Fiocchetti (“Mahshid”, come veniva chiamata dai resistenti iraniani) lo racconta nel suo libro Variazioni di Luna. Donne combattenti in Iran, Kurdistan, Afghanistan. Il dolore, la forza, la gioia, portate e sopportate dalle donne di tutto il mondo, dagli anni ’90 a oggi, ma frutto di una resistenza piena della «forza e tenacia delle ave, il ramo materno longevo e radicato alla terra che ha segnato la [mia] storia». Il libro intreccia alcuni episodi, particolarmente significativi per la vita dell’autrice, che l’hanno vista protagonista o osservatrice privilegiata nella resistenza iraniana post-rivoluzionaria, in quella afghana dopo la caduta dei talebani, e da ultimo in quella curda contro l’Isis. Episodi che si intrecciano alla storia e alla geopolitica degli ultimi trent’anni, rendendo le immagini televisive cui siamo abituati personali, intime, piene di amore e rabbia.
Nel libro prendono corpo le donne che Patrizia ha incontrato, con le quali e partita, che hanno messo testa e cuore al servizio della causa di un mondo migliore. Prende corpo un “unico sistema” di resistenza che rivive nella scrittura, che tocca chi la legge nel profondo, che produce nel lettore (forse ancor più nella lettrice) empatia data da azioni a volte apparentemente semplici, ma fondamentali, altre volte informata da coraggio estremo, per cambiare il mondo in cui viviamo. Il femminile, quello femminista, e il protagonista assoluto della narrazione, fino a renderlo carne. Quella stessa carne che per le donne, anche le combattenti, vuol dire ciclicità quotidiane, dolore, mestruo, gravidanza. Elementi che appaiono nel libro sporadicamente, ma che evidenziano la presenza di un corpo quasi sempre espunto dalle narrazioni che parlano di guerra.
Il libro si divide in tre parti, che si scandiscono non per spazi o luoghi, continuamente mescolati nella scrittura e che ci spostano in numerose città del mondo (da Roma a Tirana in Albania, a Camp Ashraf in Iraq, a Kobane in Siria, a Kabul in Afghanistan e a Dakar in Senegal), ma dall’immedesimazione dell’autrice nella storia di altre combattenti, resistenti, donne che hanno sfidato il patriarcato e che in nome della liberta hanno rischiato – e a volte perso – tutto.
La prima è Mahtab, amica e combattente con Patrizia in Iraq, a Camp Ashraf, luogo della resistenza iraniana, luogo desertico e reso fertile dalle e dai combattenti che lo abitavano. Incontriamo Mahtab sin dalle prime pagine, la incontriamo nell’ospedale albanese dal quale Patrizia parte per raccontarci di alcune delle tante donne che l’hanno accompagnata e sostenuta nel suo percorso di lotta. La testimonianza di Mahtab, che «come canna di bambù, pur piegata fino a terra dal violento vento della storia» non si e spezzata se non di fronte alla malattia, è bello e forte. Nel racconto si evidenziano anche i conflitti, con l’organizzazione di resistenza di cui Patrizia/Mahshid faceva parte, ma anche con le stesse amiche e compagne con cui aveva lottato.
La seconda è Xezni, giornalista curda che per amor di verità ha messo a repentaglio la sua vita a Kobane, difendendo l’informazione corretta sugli attacchi dell’Isis con il proprio lavoro e il proprio corpo. Una battaglia non secondaria, quella mediatica. E la battaglia mediatica va a raccontare, di nuovo, le donne, le combattenti, le truppe dell’Ypj (Unita di difesa delle donne), protagoniste del discorso politico contro il terrore di Daesh. Quelle donne, tuttora in trincea, cui il libro è dedicato.
Infine, una donna uccisa dall’estremismo, Farkhunda, lapidata brutalmente. Ma il libro si chiude con la sua voce che, come per le altre amiche e compagne menzionate (oltre a Mahtab, Angela, Carla, Hélène, Selay, Malalai, Miha e tante altre), diventa la voce delle donne, di quelle che ne hanno portata la bara in spalla, trasgredendo una norma secolare per la società afghana. Una marea, una marea che monta, perché mai più si smetta di lottare.