di Daniela Mazzarella
Alla Casa della Memoria e della Storia di Roma, lo scorso 1 marzo, è stato proiettato in prima visione nazionale il film “La storia di Irena Sendler” di Andrzej Wolf (Polonia, 2015).
Sono intervenuti Olek Mincer, presidente di Trykot-Teatro polacco di Roma, Anna Foa, storica e membro del comitato scientifico del Gardens of the Righteous Worldwide (Gariwo), e il regista Andrzej Wolf.
Ha coordinato l’incontro Pupa Garribba, della Comunità ebraica progressive Beth Hillel, che nella sua introduzione ha fatto notare quanto fosse indicata un’iniziativa su Irena Sendler proprio a ridosso di due date simboliche e significative come il 6 marzo (Giornata europea dei Giusti) e l’8 marzo (giornata dedicata alle conquiste delle donne). La protagonista del film è, infatti, proprio una donna, infermiera e assistente sociale, che insieme ad altre donne ha salvato 2500 bambini ebrei durante l’occupazione nazista di Varsavia e che per la sua coraggiosa impresa nel 1965 ha ricevuto dall’istituto di Yad Vashem la medaglia di “Giusto fra le Nazioni”.
Anna Foa nel suo intervento si è soffermata sul significato della Giornata europea dei Giusti che con la sua nascita nel 2012 ha voluto estendere il concetto di Giusto a tutti coloro che si sono opposti con responsabilità individuale ai crimini dei genocidi e dei totalitarismi. Per Foa il primo insegnamento che arriva dai Giusti è proprio la responsabilità e in un momento storico così difficile dove il degrado dell’opinione pubblica appare in crescente aumento è fondamentale insegnare ai giovani ad opporsi con determinazione e coraggio a qualsiasi forma di ingiustizia. E uno dei modi migliori per farlo è proprio quello di cercare e presentare chi nella sua vita ha fatto cose straordinarie in questo verso.
È stata poi la volta del regista, Andrzej Wolf, che ha parlato a lungo di Irena Sendler e dello sviluppo della sua idea di un film/intervista su di lei. Wolf ha descritto la protagonista del suo lavoro come una donna straordinaria, un’antieroina che fino agli ultimi giorni ha mantenuto lo spirito ironico e lo sguardo acceso. Wolf, oltre ad essere regista, direttore della fotografia e membro dell’Associazione cineasti polacchi, è anche un insegnante e l’équipe del suo film è composta interamente da suoi alunni. Ma la straordinarietà della sua opera si trova nell’intimità che il regista ha saputo creare con l’anziana protagonista che è stata intervistata lungo quattro anni, sempre con la sola presenza del suo interlocutore.
Irena Sendler era una socialista che aveva interiorizzato i valori socialisti, imparati anche da suo padre, medico che curava gratis i proletari ebrei e che morì quando lei era giovane per un’influenza “spagnola”, presa proprio da uno dei suoi pazienti. Sendler era iscritta al Partito socialista polacco e già durante l’università aveva combattuto contro il “ghetto dei banchi”, che prevedeva una zona delle aule riservate agli studenti ebrei. Nel 1939 Sendler decise di organizzarsi per cercare di aiutare gli ebrei del ghetto di Varsavia, creando una rete di donne molto ben strutturata e precedente agli altri gruppi di resistenza che si formarono in Polonia tra la fine del 1942 e l’inizio del 1943. In quel periodo in Polonia per qualsiasi aiuto agli ebrei si veniva immediatamente fucilati, spesso con tutta la propria famiglia e la solidità del gruppo di Sendler si può capire anche dal fatto che in tutti gli anni di attività ci fu solo l’arresto di una staffetta. Il regista ha concluso il suo intervento anticipando che il film, ricco anche di immagini di repertorio donate dalla Fondazione Spielberg, sarebbe stato molto forte e molto diretto, perché è impossibile capire questa storia se non si capisce bene cosa sia stato il ghetto in quegli anni.
Prima dell’inizio della proiezione ci sono state anche due letture di poesie di poeti ebrei polacchi a cura dei partecipanti di un corso di teatro dell’associazione Trykot-Teatro Polacco, organizzatrice dell’evento insieme all’Irsifar (Istituto romano per la Storia d’Italia dal fascismo alla Resistenza).
Poi la sala gremita della Casa della Memoria e della Storia ha assistito trattenendo il fiato e le lacrime a 27 minuti di Storia. Immagini durissime che per l’immaginario collettivo al quale siamo abituati conducono solo alle atrocità dei campi di sterminio. E così ci si ritrova in una Varsavia dilaniata dalla guerra, in un ghetto dove uomini, donne e bambini vagano con sguardi terrorizzati e corpi martoriati da ogni tipo di privazione. Si vedono cadaveri di bambini ai bordi delle strade, impiccagioni nelle piazze e fosse comuni dove vengono gettate decine di bambini morti che sembrano sagome di cartone. È in questa realtà che Irena si trova. Nel ghetto recintato di Varsavia sono stati trasferiti circa 400mila ebrei e al suo interno, con le condizioni igieniche pessime e la mancanza di cibo e di medicine, si moltiplicano le epidemie e il tasso di mortalità. In veste di infermiera, Irena riesce ad ottenere un lasciapassare: ufficialmente entra per la disinfestazione, in realtà organizza una rete di soccorso procurando cibo, generi di conforto, vestiti. Con la sua organizzazione Sendler inizia a organizzare la fuga dei bambini e in vari modi li porta nella parte “ariana” della città. Dopo l’uscita dal ghetto i bambini, per i quali sono stati creati documenti falsi con generalità polacche, vengono raccolti in centri di assistenza, dove imparano ad adattarsi al nuovo ambiente, e poi assegnati a famiglie, orfanotrofi o conventi. Irena decide anche di tenere una lista con i vecchi e i nuovi nomi dei bambini perché altrimenti si sarebbero persi tutti i contatti con le loro origini.
Le tremende immagini di repertorio del film si alternano a ricostruzioni della giovane Irena e ai primi piani del volto di questa donna straordinaria durante l’intervista. L’intervista che regala allo spettatore, oltre alle parole della protagonista, anche il suo sguardo sempre sereno, pieno di un vissuto drammatico ma ancora colmo di forza e vitalità.
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