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Yemen: prosegue la guerra “silenziosa”

di redazione

di Mostafa El Ayoubi (caporedattore di Confronti)

Come è successo alla Siria, anche lo Yemen si è trovato in mezzo ad una guerra imposta al suo popolo, che dura ormai da due anni. Decine di civili, tra cui molti bambini, muoiono ogni giorno a causa dell’aggressione militare avviata il 25 marzo 2015 da parte di una coalizione di Paesi musulmani guidati dall’Arabia Saudita a sostegno del presidente yemenita Mansour Hadi, il cui mandato ufficiale è già scaduto.

La controparte nel conflitto sono gli Houthi, movimento sciita legato all’Iran, con i quali sono alleate le forze dell’ex dittatore Abdallah Saleh. Quest’ultimo è stato costretto nel 2012 a lasciare la poltrona dopo 34 anni di “governo” durante i quali manteneva rapporti stretti con la famiglia reale di Al Saoud. La coalizione guidata dagli Houthi ha istituito un Governo di salvezza nazionale nella capitale Sana’a, mentre Hadi, considerato un presidente illegittimo dai suoi avversari, ha formato un suo governo a Aden, designata come capitale temporanea del Paese dopo essere passata sotto il controllo militare dei sauditi e dei loro alleati.

Ad oggi, nonostante la massiccia offensiva militare – alla quale partecipano soldati dell’Arabia Saudita, del Qatar, degli Emirati Arabi, del Marocco, dell’Egitto e del Pakistan, oltre ai mercenari statunitensi della Blackwater prima e della DynCorp attualmente – con uso anche di armi proibite dal diritto internazionale come le bombe al fosforo, Sana’a e altre città sono ancora in mano agli Houthi. Come riconoscono molti analisti geopolitici, la complessità della storia, della cultura e della geografia dello Yemen rende quasi impossibile vincere qualsiasi guerra contro di esso. Ed è molto probabile che la guerra attuale duri a lungo senza raggiungere l’obiettivo prefissato, ovvero impedire che il Paese possa essere governato da una classe politica vicina all’Iran, il nemico giurato dell’Arabia Saudita sia dal punto di vista religioso che geostrategico.

Riguardo alla questione religiosa, l’ortodossia conservatrice sunnita dominata dal wahabismo saudita considera la dottrina sciita – largamente diffusa in Iran, dove condiziona ampiamente la vita politica e sociale – come un’eresia da estirpare dal corpo dell’islam, in maggioranza sunnita. Diversamente la pensano invece i moderati sunniti di Al Azhar in Egitto, il più grande paese arabo musulmano.

La questione geostrategica resta tuttavia quella predominante, perché chiama in causa gli interessi in Medio Oriente di diverse potenze mondiali come Usa, Gran Bretagna e Francia (oltre a quelli delle monarchie del Golfo), le quali vedono nell’Iran un ostacolo alla loro egemonia sull’intera regione. Tali interessi riguardano le risorse naturali e le vie del loro trasferimento verso i mercati occidentali e non solo. L’Iran controlla lo stretto di Ormuz, uno dei più importanti canali di transazione marittima del gas e del petrolio. Un governo guidato dagli Houthi potrebbe consentire agli iraniani di controllare anche lo stretto yemenita di Aden e ciò diventerebbe un grosso problema per le potenze occidentali, a causa del conseguente irrobustimento geopolitico dell’Iran in Medio Oriente e quindi anche di quello dei suoi alleati: Russia e Cina. Per questo motivo gli Usa e i loro alleati europei – e anche Israele, che vede in Teheran un pericolo per la propria sicurezza a causa del suo sostegno a Hamas, Hezbollah e alla Siria – hanno sostenuto diplomaticamente l’intervento militare saudita nello Yemen che di fatto ha cacciato gli Houthi da Aden, il cui porto oggi è completamente gestito dalla fedelissima petro-monarchia degli Emirati Arabi.

In tutto questo calcolo cinicamente geopolitico da parte delle potenze mondiali, che non hanno esitato a far scatenare la guerra contro uno dei paesi più poveri del mondo, non c’è spazio per la questione dei diritti umani, di cui si vantano le democrazie occidentali. Finora, i bombardamenti hanno causato la morte di decine di migliaia di civili di cui molti bambini. Dopo aver inserito l’Arabia Saudita nella lista nera a causa della morte di migliaia di bambini yemeniti, l’ex segretario generale Onu Ban Ki-moon aveva fatto un passo indietro sotto pressioni esterne. Strano!

Ma oltre ai bombardamenti vi è anche un disumano assedio militare che impedisce l’approvvigionamento di cibo e medicinali per una popolazione stremata dalla guerra. Secondo recenti dati Onu, l’80% degli yemeniti rischia la fame. Questo “embargo” sta aggravando drasticamente la situazione di un Paese in cui il 90% del fabbisogno in beni alimentari di base proviene dalle importazioni, e sta condannando migliaia di bambini alla morte anche per fame. E tutto questo dramma sta passando sotto il silenzio assordante e scandaloso dei grandi media.

(pubblicato su Confronti di aprile 2017)

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