dal nostro inviato al Cairo – Luigi Sandri
L’auspicio della pace nella regione, la denuncia del terrorismo, la proclamazione del diritto “intangibile” alla libertà religiosa, il rilancio del dialogo interreligioso con i musulmani e quello ecumenico con la Chiesa copta, l’attenzione ai migranti: questi i temi maggiori del pellegrinaggio al Cairo, il 28 e 29 aprile, di Bergoglio.
Le audaci speranze del viaggio di Francesco al Cairo erano già preannunciate dal logo Pope of peace in Egypt of peace che commentava un idilliaco manifesto, appeso lungo i viali che dall’aeroporto portavano l’ospite ad Heliopolis, residenza ufficiale del presidente della Repubblica: sullo sfondo la sfinge e le piramidi sovrastate da una mezzaluna e una croce, e in primo piano un pontefice sorridente che lancia nel cielo una colomba.
Per riassumere un pellegrinaggio intenso e complesso – seppur breve, dalle 14 di venerdì 28 aprile alle 17 di sabato 29 – seguiamo gli incontri di Bergoglio con le quattro personalità che lo avevano invitato, tutte da lui già ricevute in Vaticano: il presidente Abdel-Fattah al-Sisi; lo shaykh Ahmad Al-Tayeb, Grande imam di al-Azhar, la più alta istituzione teologica e di istruzione religiosa dell’islam nel mondo e la più antica Università islamica; Tawadros II, papa di Alessandria e patriarca copto ortodosso della Sede di san Marco; Ibrahim Isaac Sidrak, patriarca copto cattolico di Alessandria. Incontri diversi, uniti però dallo stesso filo rosso: favorire nel paese rispetto dei diritti umani, pace, unità contro il terrorismo, buoni rapporti interreligiosi ed ecumenici.
«L’islam è religione di pace»
Ricevuto con tutti gli onori dovuti ad un capo di stato ad Heliopolis, e qui calorosamente salutato da al-Sisi, il papa ha avuto con lui un incontro privato e, poi, ha raggiunto al-Azhar ove il Grande Imam lo ha “presentato” ai partecipanti (tra essi anche Bartolomeo I, patriarca di Costantinopoli) alla Conferenza internazionale per la pace, là in atto, insistendo sulla «nostra responsabilità storica collettiva come leader religiosi e studiosi che operano per la pace e per dare sollievo alle povere popolazioni, che sfuggono dalle guerre nei vasti deserti». E, dopo aver ipotizzato che, dietro a queste tragedie, ci siano anche «il commercio e la vendita delle armi», al-Tayeb si è domandato come mai oggi la pace «sia diventata un paradiso perduto»; ciò è avvenuto – ha spiegato – perché la civiltà moderna «ha ignorato le religioni divine e le loro etiche immutabilmente stabilite, che rimangono le stesse a prescindere dagli interessi e dai fini terreni, per non parlare del predominio dei desideri e dei piaceri. La prima di queste etiche è la fraternità umana e la compassione reciproca».
«Non dobbiamo dare alla religione la responsabilità dei crimini di un piccolo gruppo… Se spalancassimo le porte alle accuse così come vengono spalancate contro l’islam – ha aggiunto – nessuna religione, nessun regime, nessuna civiltà e nessuna storia sarebbe innocente riguardo alla violenza». Poi al-Tayeb ha ringraziato Francesco per gli interventi «a sostegno della verità e in difesa dell’islam contro le accuse di violenza e di terrorismo». Lui e il papa si sono allora dati un forte abbraccio: gesto che molti hanno interpretato come un superamento definitivo dell’ira di al-Azhar contro il Vaticano per il discorso di Benedetto XVI a Ratisbona (12 settembre 2006), da molti musulmani considerato un attacco frontale all’islam.
Ha preso quindi la parola Bergoglio, notando che la «gloriosa storia» dell’Egitto dimostra che esso è «terra di civiltà e terra di alleanze». Nel paese «si è levata alta la luce della conoscenza, facendo germogliare un patrimonio culturale inestimabile». Per proteggere, oggi, tale patrimonio, sono necessari l’educazione delle nuove generazioni e il dialogo: «Proprio nel campo del dialogo, specialmente interreligioso, siamo sempre chiamati a camminare insieme, nella convinzione che l’avvenire di tutti dipende anche dall’incontro tra le religioni e le culture».
In proposito, il papa ha ricordato che Francesco d’Assisi incontrò in Egitto il sultano Malik al Kamil (fu nel 1219: nel contesto della quinta crociata, a Damietta il Poverello si allontanò dai litigiosi militari cristiani occidentali e, “armato” solo di un bastone e del Vangelo, si incamminò verso gli accampamenti del sultano, che lo accolse con benignità). E, in questo paese – ove sorge il Sinai, «il Monte dell’Alleanza»: là risuonarono le «dieci parole» dell’Altissimo – «lungo i secoli, fedi diverse si sono incontrate e varie culture si sono mescolate, senza confondersi ma riconoscendo l’importanza di allearsi per il bene comune […]. Al centro delle “dieci parole” risuona, rivolto agli uomini e ai popoli di ogni tempo, il comando “non uccidere” (Esodo 20,13). Ad attuare questo imperativo sono chiamate, anzitutto, le religioni perché, mentre ci troviamo nell’urgente bisogno dell’Assoluto, è imprescindibile escludere qualsiasi assolutizzazione che giustifichi forme di violenza».
Dunque, «siamo tenuti a denunciare le violazioni contro i diritti umani, a portare alla luce i tentativi di giustificare ogni forma di odio in nome della religione e a condannarli come falsificazione idolatrica di Dio: il suo nome è Santo, Egli è Dio di pace, Dio salam. Perciò solo la pace è santa e nessuna violenza può essere perpetrata in nome di Dio, perché profanerebbe il suo Nome… Senza cedere a sincretismi concilianti, il nostro compito è quello di pregare gli uni per gli altri domandando a Dio il dono della pace, incontrarci, dialogare».
I presenti hanno applaudito a lungo. Quindi il papa, in altra sede, ha incontrato i rappresentanti delle istituzioni, del corpo diplomatico e della società civile egiziana. Qui al-Sisi si è rivolto così all’ospite: «La accogliamo con gioia in Egitto che nei secoli ha scritto capitoli illuminanti nella storia dell’umanità, una cultura che ha saputo mescolare i messaggi del Cielo con le conquiste umane della cultura. Una terra di tolleranza in cui si crede che la religione è per Dio e la pace per tutti». Il mondo sta vivendo «giorni in cui è alta la voce del terrorismo e dell’odio. I terroristi colpiscono i nostri cuori, le nostre famiglie e i nostri affetti… Il vero islam non invita mai a uccidere gli innocenti e a terrorizzare le persone. L’islam invita alla misericordia e alla tolleranza… L’Egitto è in prima fila contro il terrorismo e paga per questo suo atteggiamento».
Da parte sua, Bergoglio, dopo aver ricordato che Giovanni Paolo II nel 2000 aveva visitato il paese, ha lodato l’Egitto, terra che custodisce «vestigia che, nella loro maestosità, sembrano voler sfidare i secoli. Questa terra rappresenta molto per la storia dell’umanità e per la Tradizione della Chiesa, anche perché tanti Patriarchi [ebrei] vissero in Egitto o lo attraversarono… Sul suolo egiziano trovò rifugio e ospitalità la Santa Famiglia: Gesù, Maria e Giuseppe […]. L’Egitto, quindi, è una terra che, in un certo senso, sentiamo tutti come nostra! E come dite voi: “Misr um al dugna / L’Egitto è la madre dell’universo”. Anche oggi vi trovano accoglienza milioni di rifugiati provenienti da diversi Paesi, tra cui Sudan, Eritrea, Siria e Iraq, rifugiati che con lodevole impegno si cerca di integrare nella società egiziana». E ha proseguito: «L’Egitto, a motivo della sua storia e della sua particolare posizione geografica, occupa un ruolo insostituibile nel Medio Oriente e nel contesto dei Paesi che cercano soluzioni a problemi acuti e complessi i quali necessitano di essere affrontati ora, per evitare una deriva di violenza ancora più grave. Mi riferisco a quella violenza cieca e disumana causata da diversi fattori: dal desiderio ottuso di potere, dal commercio di armi, dai gravi problemi sociali e dall’estremismo religioso che utilizza il Santo Nome di Dio per compiere inauditi massacri e ingiustizie».
E ancora: «Signor presidente, lei, alcuni minuti fa, mi ha detto che Dio è il Dio della libertà, e questo è vero. Abbiamo il dovere di smontare le idee omicide e le ideologie estremiste, affermando l’incompatibilità tra la vera fede e la violenza, tra Dio e gli atti di morte». Poi ha ricordato le vittime, tra esse poliziotti, «cadute a causa di diverse azioni terroristiche»; le minacce e le uccisioni di cristiani nel Sinai del nord; gli attentati (rivendicati dall’Isis/Daesh del cosiddetto Califfato) alle chiese copte al Cairo [l’11 dicembre 2016: venticinque vittime] e a Tanta e Alessandria [9 aprile: quarantanove vittime]».
I martiri copti. Reciproco riconoscimento del battesimo tra copti e cattolici
Altra scorrazzata per la capitale, e il papa è arrivato al patriarcato copto-ortodosso. Qui campeggiava un curioso manifesto: The Pope of love welcomes Pope of peace («il papa dell’amore dà il benvenuto al papa della pace»). Tawadros, citando il recentissimo attentato del 9 aprile, ha detto: «Troppo spesso l’Egitto paga con sangue innocente, offrendo il suo fiore più bello, che sono i nostri giovani». E, sottolineando i passi di riconciliazione tra copti e cattolici: «Attendiamo il giorno in cui spezzeremo insieme il pane sul sacro altare, il giorno in cui tutte le campane delle chiese suoneranno insieme per celebrare la nascita del Salvatore e la sua risurrezione».
La Chiesa copta (=egiziana), che ha il suo centro ad Alessandria – una chiesa che si gloria di essere stata fondata dall’evangelista Marco – non riconobbe il quarto Concilio ecumenico, quello di Calcedonia, che nel 451 definì che in Cristo vi sono due “nature”, divina e umana, e una “persona”; i copti, con armeni e siri, danno invece, in merito, un’altra spiegazione teologica. La Chiesa copta per mille e seicento anni in pratica non ebbe alcun vero rapporto con Roma. Questo gelo iniziò a sciogliersi il 10 maggio 1973, quando Shenouda III, l’allora papa copto, fu ricevuto da Paolo VI e con lui firmò una “Dichiarazione comune”: questa affermava che, in sostanza, pur con formulazioni diverse, le loro due Chiese proclamavano la stessa fede nel mistero del Verbo incarnato, e riconoscevano che, sul loro dissidio, pesarono divergenze culturali e pressioni politiche. D’altronde, i copti riconoscono solo i primi tre Concili ecumenici (Nicea, 325; Costantinopoli I, 381; Efeso, 431) e sono rimasti tagliati fuori dai successivi Concili e dallo sviluppo teologico bizantino e latino. Pur avendo subìto gravi limitazioni da parte degli arabi musulmani che occuparono l’Egitto nel VII secolo, e nei secoli successivi, i copti hanno però resistito e, con i loro dieci/dodici milioni di fedeli, a tutt’oggi sono la più numerosa comunità cristiana in Medio Oriente.
Ricordato che Giovanni Paolo II nel 2000 aveva visitato il paese, e ribadendo la sua adesione alla dichiarazione del 1973, Francesco l’ha attualizzata così: «La maturazione del nostro cammino ecumenico è sostenuta, in modo misterioso e quanto mai attuale, anche da un vero e proprio ecumenismo del sangue. Quanti martiri in questa terra, fin dai primi secoli del Cristianesimo! Ben lo testimonia il venerabile Martirologio della Chiesa Copta. Ancora recentemente, purtroppo, il sangue innocente di fedeli inermi è stato crudelmente versato. Carissimo Fratello, unico è il nostro martirologio, e le vostre sofferenze sono anche le nostre sofferenze».
I due papi hanno firmato una “Dichiarazione comune” che, sul versante teologico, ricalca quella del 1973. Essa, poi, sottolinea quanto siano importanti i doni che la Chiesa egiziana ha offerto all’ekumene, come il monachesimo (là nato nel III e IV secolo). E quindi viene all’attualità: «Ci sforziamo di promuovere la serenità e la concordia attraverso una coesistenza pacifica tra cristiani e musulmani, testimoniando in questo modo che Dio desidera l’unità e l’armonia dell’intera famiglia umana e la pari dignità di ogni essere umano. Abbiamo a cuore la prosperità e il futuro dell’Egitto. Tutti i membri della società hanno il diritto e il dovere di partecipare pienamente alla vita del Paese, godendo di piena e pari cittadinanza e collaborando a edificare la loro nazione. La libertà religiosa, che comprende la libertà di coscienza ed è radicata nella dignità della persona, è il fondamento di tutte le altre libertà. È un diritto sacro e inalienabile».
Si noti: la cittadinanza, e non la religione (musulmana o cristiana) deve fondare i diritti. Il testo tocca poi una questione pastorale assai viva e, non raramente, motivo di acrimonia: fino al Vaticano II, spesso i cattolici ribattezzavano i copti che avessero voluto aderire alla Chiesa di Roma; una tale prassi, rovesciata, è tuttora abituale sul fronte copto, ma «oggi noi, papa Francesco e papa Tawadros II, dichiariamo che cercheremo di non ripetere il Battesimo amministrato in una delle nostre Chiese ad alcuno che desideri ascriversi all’altra».
Una seminagione che attende ora la fioritura
Il sabato 29 Francesco lo ha dedicato ai cattolici – copti, maroniti, melkiti, armeni, latini – che nell’insieme del Paese sono circa duecentottantamila su una popolazione di novantadue milioni. Per loro il papa ha celebrato messa in uno stadio ove erano confluiti anche copti non cattolici e musulmani devotamente curiosi. Bergoglio è stato salutato dal patriarca copto-cattolico Sidrak (da fine Ottocento, infatti, esiste in Egitto una comunità proveniente dalla Chiesa-madre di Alessandria, e legata a Roma. Sono “uniati”, in passato spesso assai malvisti dai copti-doc). Nella sua omelia il papa ha detto: «Dio gradisce solo la fede professata con la vita, perché l’unico estremismo ammesso per i credenti è quello della carità! Qualsiasi altro estremismo non viene da Dio e non piace a Lui!». E, prima di ripartire per Roma, ha raccomandato a religiosi, suore e seminaristi di rifuggire dalla tentazione del «faraonismo».
Tv e giornali egiziani hanno dato molto risalto alla visita papale; e, stando al Cairo, si è avuta l’impressione che la gente apprezzasse l’evento. I gruppi integralisti, però, erano disgustati dal manifesto che poneva appaiate la mezzaluna e la croce. Un accostamento assai sgradito anche all’Arabia Saudita, che dà un consistente aiuto all’Egitto per la costruzione di moschee. Al-Sisi ha bisogno del sostegno di Riyadh ma, nel contempo – inquietando i sauditi – afferma di voler garantire piena libertà ai cristiani.
Sul piano politico, poi, il rais vuole essere protagonista per risolvere la crisi libica, e “mediatore” per comporre finalmente il conflitto israelo-palestinese (conflitto non espressamente ricordato dal papa: e perciò media arabi hanno criticato il suo silenzio). Intanto, all’interno del paese, i “Fratelli musulmani”, pur umiliati dal colpo di Stato che nel 2013 rovesciò il presidente costituzionale Mohammed Morsi, loro esponente, portando al potere il generale al-Sisi (che nelle elezioni del 2014 è stato trionfalmente eletto presidente dal popolo), non sono debellati; e l’Isis/Daesh spadroneggia nel Sinai e, spesso, attacca obiettivi degli “infedeli” cristiani. Imprese terroristiche che provocano danni ingentissimi al turismo (vedi scheda a pagina 11).
Stanno per essere aperti due tunnel, l’uno all’inizio e l’altro al termine del canale di Suez, per favorire il traffico da e verso il Sinai: un’opera sulla quale al-Sisi conta molto per sviluppare l’economia nella penisola e migliorare l’accoglienza ai turisti. Però, condicio sine qua non perché questi tornino in massa è che l’Egitto si dimostri uno Stato di diritto. L’eco della tragedia di Giulio Regeni è ancora ben viva: i genitori del giovane – rapito al Cairo il 25 gennaio 2016, torturato e ucciso, non si sa ancora da chi – avevano pregato il papa pellegrino di sollevare la questione. Interrogato in proposito nell’aereo che lo riportava Roma, egli ha confermato: «Non dirò come né dove, ma ci siamo mossi».
Sul versante religioso, davvero importante, a livello simbolico e per le parole dette, è stato l’incontro del papa con il Grande Imam di al-Azhar: insieme hanno posto le premesse per una straordinaria fioritura del dialogo cattolico-musulmano. Niente, però, è scontato: le difficoltà sono enormi. Difficoltà obiettive, confermate dalla strage di 29 copti, genitori e bambini pellegrini verso un monastero nella regione di Minya, il 26 maggio uccisi da guerriglieri dell’Isis; al-Sisi ha accusato della strage terroristi provenienti dalla Libia. Anche l’incontro tra il papa di Roma e quello di Alessandria ha, in sé, feconde potenzialità di sviluppo ecumenico. Il Nilo e il Tevere, oggi, certamente sono più vicini. Ma non raramente – historia docet – il Mediterraneo in tempesta ha reso perigliosa la navigazione tra l’una e l’altra riva.
(pubblicato su Confronti di giugno 2017)