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Per Macron Parigi val bene una marcia

by redazione

di Adriano Gizzi (redazione di Confronti) 

Con il suo movimento La République en marche, il nuovo presidente francese spera di trionfare anche alle politiche di giugno. Alle urne anche gli elettori britannici: i conservatori sono favoriti, ma si allontana il sogno della premier May di annientare il Partito laburista.

Il 7 maggio in Francia gli elettori hanno plebiscitato Emmanuel Macron o rifiutato Marine Le Pen? Entrambe le cose, perché quello che inizialmente per molti era solo “il meno peggiore” è diventato in breve tempo il migliore. Al primo turno delle presidenziali – dove gli elettori votano più liberamente – ha ottenuto solo il 24% e poi al ballottaggio il 66%, ma lì molti voti erano dati solo per fermare l’estrema destra. Ora però i sondaggi stimano i consensi del nuovo presidente intorno al 60%: una luna di miele in piena regola. Naturalmente non tutti questi consensi si trasformeranno automaticamente in voti per La République en marche nelle elezioni per l’Assemblea nazionale dell’11 e 18 giugno, ma – data l’attuale frammentazione politica – dovrebbe bastare un terzo degli elettori per garantire la maggioranza assoluta dei seggi al movimento fondato da Macron solo un anno fa (si veda “Tutti per uno, uno contro tutti”).

A opporsi con maggiore forza al progetto del neopresidente sono i Républicains. François Baroin, che li guida alle elezioni, ha già detto che chi è al governo, così come chi si candida con il movimento di Macron, è fuori dal partito. Tolleranza zero verso qualsiasi commistione: o di qua o di là. «Il fatto che il primo ministro sia di destra non significa che il governo farà una politica di destra», ha aggiunto Baroin, che continua a ostentare una certa sicurezza nonostante l’offensiva macroniana. Dopo aver “spolpato” i socialisti alle presidenziali, infatti, Macron si prepara ora a pescare più voti possibile dal bacino elettorale della destra moderata. Per questo motivo, avendo già coinvolto nel suo movimento numerose personalità provenienti dalla sinistra, nella formazione del governo è stato più attento alla destra: non solo nella scelta del premier, il repubblicano Édouard Philippe, ma anche affidando i ministeri economici a due politici di quello stesso partito, Bruno Le Maire e Gérard Darmanin.

Inoltre La République en marche non ha presentato propri candidati in una cinquantina di collegi elettorali, per mantenere aperto un dialogo con alcuni candidati considerati “Macron-compatibili”, in particolare molti socialisti che già sognano di correre in soccorso del vincitore – come diceva Flaiano – nel caso gli servisse qualche parlamentare di complemento. Dopo la débâcle alle presidenziali, con il 6%, il Partito socialista rischia di fare il bis a queste legislative. Jean-Luc Mélenchon, leader di France insoumise, è intenzionato ormai a egemonizzare la sinistra: ha rifiutato ogni accordo con i comunisti perché vuole fare tutto da solo e, anche se non riuscirà a raggiungere quel 20% sfiorato alle presidenziali, sarà forse l’unico leader ancora in piedi tra le macerie della sinistra.

In Gran Bretagna si voterà invece l’8 giugno. Se volete scommettere 100 sterline sulla vittoria dei laburisti, sappiate che potreste vincerne 1.000, mentre puntando sui conservatori se ne vincono solo 4. Un segnale molto chiaro delle scarse probabilità che la premier Theresa May perda il posto. Del resto, è stata lei stessa a volere queste elezioni anticipate nella speranza di trasformare la maggioranza risicata ai Comuni in una valanga conservatrice che potesse infliggere ai laburisti di Jeremy Corbyn un’umiliazione storica. Ad aprile i sondaggi indicavano un distacco di oltre venti punti tra i due partiti. Due mesi prima, i laburisti erano riusciti persino a perdere le elezioni a Copeland, un collegio che votava labour ininterrottamente dal 1935.

Certa del trionfo, May ha lanciato la campagna elettorale con lo slogan Forward together (“Avanti insieme”). Gli avversari l’accusano invece di tornare indietro, al thatcherismo più bieco, ma lei promette più fondi per scuola e sanità e si impegna a «costruire un’economia forte contrastando le divisioni sociali». Una linea da “conservatorismo compassionevole” che le assicura consensi anche tra la classe operaia spaventata dagli immigrati. E infatti tra le promesse vi è anche una riduzione dell’immigrazione: un cavallo di battaglia dell’Ukip, partito dal quale i conservatori hanno preso i temi principali (immigrazione e Brexit) e si apprestano a prendere anche gli elettori. I laburisti invece vogliono mantenere una relazione stretta con l’Unione europea, mercato unico compreso. For the many, not the few (“Per molti, non per pochi”) è il loro slogan elettorale: abolizione delle tasse universitarie aumentate da Cameron e rinazionalizzazione dei servizi di pubblica utilità come acqua, elettricità e ferrovie. Quasi sicuramente perderanno, ma alla vigilia del voto l’enorme gap pare in parte colmato e il risultato potrebbe essere un’avanzata consistente ma non così trionfale dei conservatori. Avanti, quindi, ma neanche troppo.

(pubblicato su Confronti di giugno 2017)

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